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Cultura e scienza / Intervista

Per una storia sociale del terremoto dell’Irpinia, quarant’anni dopo

In “Memorie dal cratere” lo storico Gabriele Ivo Moscaritolo racconta l’esperienza personale delle popolazioni colpite dal sisma che il 23 novembre 1980 rase al suolo decine di paesi tra Campania e Basilicata. Attraverso il metodo della storia orale l’autore dà voce ai ricordi privati di donne e uomini appartenenti a diverse generazioni, trasferendoli nella sfera pubblica

Mettere in parola la memoria delle popolazioni colpite da un disastro naturale. Dare forma alle modalità con cui l’esperienza della frattura è ricordata, interpretata e rielaborata. È l’obiettivo del saggio “Memorie dal cratere. Storia sociale del terremoto in Irpina” (Editpress), ricerca condotta dallo storico Gabriele Ivo Moscaritolo sul terremoto che il 23 novembre 1980 colpì un’area di 25mila chilometri quadrati tra la Campania e la Basilicata. La scossa di magnitudo 6.9 -con epicentro tra le province di Avellino, Salerno e Potenza- rase al suolo decine di paesi causando quasi tremila vittime e centinaia di migliaia di feriti. Della cicatrice mai del tutto sanata, Moscaritolo racconta l’aspetto personale: come le trasformazioni sono state rilette e ricomprese nelle singole biografie e a quale significato sono ricondotte dopo quarant’anni.

“Quando si parla di terremoto si tende a fermare la discussione alla ricostruzione post-sisma, lasciando a margine l’esperienza delle popolazioni. Nel caso dell’Irpinia emerge con forza perché nella memoria pubblica si è consolidata la percezione che questo sia stato il sisma del malaffare, del clientelismo e della corruzione. Ma il terremoto non deve essere ricondotto solo ai ritardi o alla cattiva gestione dei fondi che pure ci sono stati”, spiega ad Altreconomia Moscaritolo. Unendo lo studio della documentazione ufficiale alle interviste a chi ha vissuto il terremoto, l’autore ha spostato lo sguardo sugli aspetti soggettivi di un trauma collettivo. “La storia orale ragiona sulla trasmissione del ricordo nel tempo e restituisce una visione più complessa della storia. Attraverso la sua metodologia ho voluto mostrare il senso che le popolazioni hanno attribuito all’evento, e ai cambiamenti che hanno interessato il loro territorio, e come si sono adattate a quello che è seguito”, precisa Moscaritolo.

Moscarito, lei ha focalizzato lo studio su due comunità che hanno subito una devastazione quasi totale: Conza della Campania, dove le vittime sono state 184, e Sant’Angelo dei Lombardi dove hanno perso la vita 432 persone. Perché questa scelta?
GIM
Le due storie rappresentano un dilemma antico: se ripristinare il passato oppure avviare un nuovo percorso da zero. Sono l’esempio di come a partire dalla stessa esperienza si possano avere esiti divergenti che potremmo considerare come i due estremi di quello che è successo nelle ricostruzioni post-1980. Conza della Campania, che era già stata distrutta da altri terremoti, optò per essere ricostruita ex novo in una piana poco distante dall’insediamento originario. Attraverso assemblee pubbliche la popolazione prese la decisione di cambiare anche se la trasformazione non fu accolta con facilità dalle persone più anziane. Al contrario Sant’Angelo dei Lombardi ricostruì il suo centro storico “dove e come era”: prevalse il sentimento diffuso di volere ripristinare il passato, anche per motivazioni affettive e identitarie, e di non rompere con la propria storia. Inoltre Sant’Angelo dei Lombardi stava conoscendo una fase di crescita e sviluppo. Non era sicuramente riconducibile all’immagine che rimandarono i giornali, quella del “paese-presepe”, e ci fu il desiderio di recuperare il “prestigio” di cui godeva nel periodo precedente.

Le sue interviste hanno coinvolto diverse generazioni, anche chi non ha vissuto direttamente il terremoto. Quali sono le differenze nella rielaborazione del ricordo?
GIM Il terremoto è descritto come una frattura improvvisa che si cerca di ricucire ma l’esperienza è sempre soggettiva: chi era adulto lo ha considerato un trauma insuperabile, una linea tra il prima e il dopo. Chi era un ragazzo lo ha affrontato con l’idea di doverlo superare. Ma è importante riflettere sulle modalità con cui questa esperienza è stata trasmessa perché permette di capire come è stata percepita. Le generazioni successive al 1980 hanno rielaborato il terremoto attraverso i ricordi di chi lo ha vissuto, come la famiglia, e attraverso la percezione diretta degli spazi trasformati. Ci collochiamo nell’ambito della post-memoria, distinta dalla memoria perché non implica un’esperienza diretta degli avvenimenti sebbene si abbia la consapevolezza che appartengano alla storia della propria comunità.

L’aspetto interessante è che la connessione con l’oggetto è mediata da uno sforzo di creazione e immaginazione. Si cerca di colmare il vuoto attraverso i racconti della generazione precedente, le foto, le commemorazioni, i filmati. È un tentativo di stabilire un contatto e creare un anello di congiunzione. Nelle mie interviste sono emersi due punti di vista: chi ha interiorizzato il terremoto e chi invece lo ha rifiutato rivendicando un diritto al distacco dal peso dei ricordi e a non essere più “vittime della memoria”. Il passato e i luoghi che non ci sono più possono essere il punto di riferimento dell’identità collettiva ma anche trasformarsi in un peso che priva di un riferimento esperito direttamente.

Lei fa parte del collettivo Emidio di Treviri, autore di una ricerca indipendente sul terremoto che ha colpito il Centro Italia nel 2016. Anche in questo caso è stato utilizzato il metodo della storia orale. Che cosa permette di ottenere uno studio come il suo?
GIM La storia dell’Italia è scandita dai terremoti. Se consideriamo gli ultimi 150 anni, vediamo che in media ogni quattro o cinque anni si verifica un disastro sismico che ha un esteso impianto distruttivo. Parlare di come le popolazioni vivono il sisma consente di elaborare una cultura del terremoto a partire da un’esperienza reale: è questa particolarità che deve essere capita e studiata in vista delle future emergenze che potremo dovere affrontare. Così nella ricostruzione si potranno evitare scelte non corrispondenti alle esigenze della popolazione che possono sradicarle dal loro territorio aumentandone spaesamento e smarrimento.

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