Diritti / Attualità
Migranti, le Ong sotto attacco. Parla il comandante di Proactiva
Riccardo Gatti lavora per la spagnola Proactiva Open Arms. Dal luglio 2016 ha contribuito a salvare nel Mediterraneo oltre 18mila persone. Le missioni sono coordinate dalla Guardia costiera e i finanziamenti arrivano da donazioni private. “Siamo lì per rispondere a un bisogno che le istituzioni europee non sanno gestire”
“Servizio taxi per gli immigrati”, danarosi “alleati degli scafisti”. Le Organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo e soccorrono i migranti alla deriva stanno subendo attacchi violentissimi. Secondo l’agenzia europea che controlla le frontiere, Frontex, funzionerebbero da “fattore di attrazione” dei disperati. Per il procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, l’attività delle Ong agevolerebbe i “facilitatori”, ovvero, come ha spiegato il magistrato in audizione parlamentare lo scorso marzo, quelle “imbarcazioni che accompagnavano nei primi tratti delle acque internazionali i barconi di migranti”.
Da lì è partita la caccia a chi specula sul “business dell’immigrazione”, diffondendo sospetti sui finanziamenti delle Ong e sui contatti tra queste e i trafficanti di esseri umani. L’europarlamentare Laura Ferrara ha formulato a fine aprile un’interrogazione alla Commissione europea citando un estratto dell’audizione di Zuccaro: “Abbiamo cercato di capire come si potessero affrontare costi così elevati senza disporre di un ritorno in termine di profitto economico”.
Riccardo Gatti è il capo della missione dell’associazione spagnola di stanza a Barcellona “Proactiva Open Arms” nel Mediterraneo (oltre 44mila arrivi dall’inizio del 2017 e 1.092 morti accertati), che per sua natura non fa utili ma semmai raccoglie risorse per finanziare gli interventi in mare. La sua organizzazione batte quelle acque dal luglio 2016. Fino ad oggi, dopo 37 missioni, tutte coordinate dalla Guardia costiera italiana, ha contribuito a trarre in salvo 18.012 persone. Prima della campagna anti “servizio taxi”, erano in pochi a prestare attenzione al suo operato, anche quando navigava al largo delle isole greche.
Oggi è “infastidito” perché il clima pesante che si è creato condiziona il suo lavoro. “Un mese fa ho trasportato cinque cadaveri nel porto di Catania. Avevamo chiesto di poterli portare a Pozzallo ma ci è stato negato. Mentre stavamo arrivando ci sono giunte informazioni e avvisi da parte di attivisti e avvocati dall’Italia che ci mettevano in guardia sul fatto che a Catania le autorità ci avrebbero creato dei problemi. Il comandante dell’imbarcazione è stato interrogato dalla Digos, io dalla squadra mobile. Le domande non riguardavano solo i fatti specifici del naufragio ma le nostre fonti di approvvigionamento, la struttura organizzativa della Ong e così via. Allora ho smesso di parlare e chiesto un avvocato. Una settimana più tardi, a marzo, abbiamo avuto dei problemi anche ad Augusta. Le autorità ci hanno bloccato la barca contestandoci infrazioni banali come ad esempio il pane nel congelatore”.
L’agenzia Frontex vi accusa di incentivare involontariamente le partenze e di fatto a contribuire all’aumento delle vittime nei naufragi.
RG “È ridicolo. Noi siamo lì per un bisogno che già c’era e per soccorrere chi scappa dalla Libia. È incredibile pensare che queste persone lascino la Libia perché ci siamo noi a prenderle. Ci contestano perché siamo vicini alla linea delle 12 miglia di distanza dalle coste libiche”.
Perché operate lì?
RG “Perché siamo vicini alla zona dove empiricamente si è visto che ci sono barconi e gommoni alla deriva e quindi naufragi. È confermato dai rapporti della stessa Frontex. Se restassimo a 30 o 35 miglia vorrebbe dire impiegare perlomeno 2 ore e mezza in più a raggiungere le aree critiche. Funziona come sulle ambulanze: quello che conta è il tempo di risposta. Se facessimo come Frontex, che sta a 10 ore dalla zona Search and rescue (SAR), non serviremmo a nulla. Cercare un’imbarcazione alla deriva in 600 miglia quadrate, o per 14 ore come mi è capitato, non è uno scherzo”.
44.059, gli sbarchi in Europa attraverso il Mediterraneo dall’inizio dell’anno (fonte UNHCR)
Vi accusano di scarsa trasparenza sui finanziamenti.
RG “Il 97% delle donazioni che riceviamo provengono da privati. Dalla signora di Barcellona che ci dona la sua eredità, 118mila euro, a Pep Guardiola, da premi ricevuti alle squadre di calcio come il Manchester city o il Barcellona. Il 5% del nostro bilancio viene speso per logistica, comunicazione e stipendi. A bordo in questa missione siamo 18 persone, 3 dell’equipaggio. Io sono l’unico lavoratore stipendiato della Ong in quanto capo missione: tutti gli altri sono volontari”.
All’inizio di aprile sei stato audito in Senato insieme al direttore di Proactiva Open Arms, Oscar Camps. Alcuni senatori vi hanno rivolto domande come se foste sotto interrogatorio. Che cosa hai provato?
RG “Tristezza. Un membro della Commissione Difesa, dopo aver espresso il desiderio che ce ne andassimo, ha giocherellato con il tablet e fatto inavvertitamente partire un audio di una bambina, forse la nipote. Mi chiedo perché non vengano a bordo con noi. Lo spazio è aperto. Tutte le volte imbarchiamo due giornalisti indipendenti: siete gli occhi di quello che succede”.
La vostra base nel Mediterraneo è Malta. Perché?
RG “Siamo a Malta perché a livello logistico è il punto più vicino alla Libia e più gestibile. Ci sarebbe piaciuto stare a Lampedusa, anche perché è più bella, ma i voli sono complicati. È una semplice ragione logistica”.
1.092, i migranti morti accertati in mare dal primo gennaio al 27 aprile 2017 (fonte UNHCR)
Il procuratore di Catania, in Senato, ha stigmatizzato il fatto che le vostre imbarcazioni battano bandiere di Paesi non europei “non propriamente in prima fila per la collaborazione con le autorità giudiziarie”. Che ne dici?
RG “La Golfo Azzurro non è nostra, è affittata e batte bandiera di Panama. La Astral ci è stata prestata per queste operazioni da un imprenditore italiano che ha scelto di far battere bandiera inglese. Sono scelte che non dipendono da noi e che comunque non mi sembrano affatto problematiche. La Open Arms, la nave di proprietà di Proactiva, batte bandiera spagnola”.
Smetterete di lavorare?
RG “No, anzi. Entro metà maggio torneremo in acqua e continueremo a fare quello che le istituzioni europee, nei fatti, non fanno: salvare le persone”.
© riproduzione riservata