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Finanza / Opinioni

L’Italia è un Paese per ricchi

© Katelyn Perry - Unsplash

Negli ultimi trent’anni il “modello italiano” ha impoverito i lavoratori e arricchito il capitale. Il nostro Paese si ritrova così terra di monopolio estero e di formidabili speculazioni (dalle reti alle infrastrutture). Con eventi paradossali, come la recente indicizzazione delle tariffe telefoniche (e non dei salari). L’analisi di Alessandro Volpi

Dal 1991 a oggi in Italia i salari sono cresciuti soltanto dell’1% mentre nei Paesi Ocse la crescita è stata del 32,3%. Inoltre la quota dei salari sul Pil è passata nello stesso arco di tempo dal 60 al 40% mentre quella dei profitti dal 40 al 60%. Questi dati suggeriscono due considerazioni.

La prima. Il modello economico italiano -se così si può definire- negli ultimi trent’anni ha impoverito i lavoratori e arricchito il capitale. La seconda. I contratti nazionali non sono stati in grado di difendere la tenuta salariale, alla faccia di chi sostiene che siano sufficienti a garantire i redditi dei lavoratori di fronte alla perdita di potere d’acquisto. Una nota, invece, per chi tira sempre in ballo la scarsa produttività del sistema economico italiano: i salari sono cresciuti assai meno anche della produttività, che evidentemente ha giovato solo ai profitti.

In sintesi, a seguito del lungo Dopoguerra del conflitto sociale e politico, siamo approdati nel paradiso dei ricchi che hanno fatto pagare il conto ai lavoratori. Per capire meglio un simile quadro forse dovremmo ripetere all’infinito anche che l’Italia è ormai terra di monopolio estero, e di formidabili speculazioni. I francesi di Iliad propongono alla multinazionale con sede a Londra Vodafone una joint-venture in Italia, dove si spartiscono la rete con Tim, in via di concentrazione proprietaria nelle mani di Kkr, partecipata da Vanguard, con WindTre, di proprietà di CK Hutchison Holdings, partecipata da Vanguard, e con Fastweb, in mani svizzere. In pratica, i milioni di utenti italiani sono gestiti da società estere che hanno tutte sede fiscale fuori dall’Italia e, nella stragrande maggioranza dei casi, in paradisi fiscali.

Le scorribande finanziarie sono all’ordine del giorno: Vivendi, socio forte di Tim, ha avviato una causa contro la cessione a Kkr, ma avendolo fatto senza chiedere la sospensiva, ha subito generato un aumento del valore del titolo di Tim, con grande gioia dei fondi già proprietari della società. Nel frattempo, l’Agcom, l’autorità di regolazione del settore, pur con varie cautele, consente l’indicizzazione delle tariffe telefoniche che quindi possono essere agganciate all’inflazione. Si tratta di una novità assoluta, e certamente assai favorevole per i gestori, che avviene, guarda caso, proprio quando prendono corpo queste grandi manovre. Naturalmente Tim ha già dichiarato che si avvarrà di tale prerogativa, insieme a WindTre.

In Italia non indicizziamo gli stipendi ma le tariffe telefoniche, gestite dai fondi, possono seguire, e dunque alimentare, il corso dell’inflazione. Sembra incredibile ma nulla è ormai incredibile nel nostro Paese. Airbnb ad esempio ha firmato di recente un accordo con l’Agenzia delle entrate per chiudere i rilievi relativi alle indagini fiscali per il periodo 2017-2021, versando 576 milioni di euro. Airbnb, che fattura miliardi in Italia, non ha mai pagato un euro di imposta fino ad oggi perché anche sul periodo 2022-2023 è aperto un contenzioso non ancora saldato. I suoi principali azionisti sono i grandi fondi finanziari: Vanguard, BlackRock, State Street e pochissimi altri detengono quasi il 40% del suo capitale. Sono gli stessi fondi a cui l’Italia ha ceduto o sta cedendo le proprie infrastrutture e i propri servizi. Torniamo al dato iniziale: l’Italia è un Paese per ricchi che, molto spesso, abitano solo l’esclusivo Pianeta della finanza, privo di qualsiasi idea di cittadinanza.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. “Prezzi alle stelle. Non è inflazione, è speculazione” (Laterza, 2023) è il suo ultimo libro

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