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Diritti / Reportage

L’ipotesi di un Cpr a Trento e il fallimento orchestrato dell’accoglienza diffusa

©  Assemblea antirazzista Trento

Le politiche discriminatorie ed escludenti della giunta provinciale trentina guidata dal leghista Maurizio Fugatti hanno spinto centinaia di richiedenti protezione internazionale in strada, costringendoli in condizione di grave marginalità. Disarticolato un sistema virtuoso, il ceto politico propina la “soluzione facile” di un Centro di permanenza per il rimpatrio. Ma è distrazione di massa. Il nostro reportage 

A fine settembre un servizio della trasmissione “Fuori dal coro”, in onda su Rete 4, ha dipinto Trento come una città allo sbando, in cui regnerebbero degrado e violenza a opera di cittadini stranieri -spesso richiedenti protezione internazionale- fuori controllo.

È anche questa la narrazione a cui fa riferimento il leghista Maurizio Fugatti, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 2018, quando parla dell’istituzione di un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) come cosa fatta.

“Abbiamo preso accordi tecnici con il ministero dell’Interno per la realizzazione di un Cpr a Trento”, ha dichiarato a fine settembre, convinto che questa sia “la soluzione per espellere gli stranieri che commettono reati”. Come già pianificato dai vertici della vicina Provincia autonoma di Bolzano, anche il Cpr trentino dovrebbe avere una capacità tra i 20 e i 25 posti ed essere utilizzato a “uso locale”, ovvero trattenendo solo le persone già presenti sul territorio provinciale. 

“Le sacche di disagio ci sono, anche tra chi ha affrontato un percorso di migrazione forzata -spiega Stefano Canestrini, coordinatore del Centro Astalli di Trento-, ma se si vuole affrontare la situazione in maniera costruttiva va innanzitutto fatta un’analisi sulle cause che hanno spinto i più fragili ai margini”.

E una di queste è lo smantellamento del sistema di accoglienza trentino, un tempo virtuoso, operato dalla Giunta Fugatti dal 2018 ad oggi.  

Ripercorrendo la storia recente dell’accoglienza in provincia di Trento un ruolo centrale lo ha svolto il Centro informativo per l’immigrazione (Cinformi) in stretta collaborazione con gli enti privati del Terzo settore. Fondato nel 2001, Cinformi -agenzia provinciale nata per coordinare i servizi legati all’Ufficio immigrazione della questura di Trento- negli anni divenne la vera e propria “cabina di regia” dell’accoglienza, puntando con convinzione sul modello di accoglienza diffusa. “La Provincia di Trento aderì al progetto Sprar per la prima volta nel 2006, mettendo a disposizione 15 posti”, continua Canestrini, ricordando come “l’iniziativa poi si ampliò progressivamente fino a contare 50 posti alla fine del 2010”. Una visione lungimirante, dunque, su cui le istituzioni trentine continuarono a investire anche negli anni dei grandi flussi di arrivi dalla rotta del Mediterraneo.  

“La rete dei progetti Sprar venne ulteriormente allargata con l’Emergenza Nord Africa, coinvolgendo 12 Comuni di diversi territori -Val di Cembra, Valsugana, Vallagarina, Riva del Garda e, ovviamente, Trento e Rovereto- e arrivando a garantire 132 posti”, dice Emiliano Bertoldi, direttore dell’Associazione trentina accoglienza stranieri (Atas), realtà del terzo settore che a partire dal 2011 affiancò il Centro Astalli come ente gestore all’interno del circuito dell’accoglienza.  

La ricerca “Quality of life in European cities”, realizzata da Commissione europea e Istat, ha stabilito che Trento è la città con la percentuale più alta di persone soddisfatte della propria vita in città, il 95,4%.

Come nel resto d’Italia, poi, dal 2014 anche in Trentino fecero la loro comparsa i primi Centri di accoglienza straordinaria (Cas), che furono inseriti all’interno di una “filiera” virtuosa. I Cas furono utilizzati principalmente come luogo di transito in attesa di posti liberi negli Sprar, che rimasero la spina dorsale del sistema. Dal 2016 al 2018 sempre più Comuni -e comunità- del Trentino parteciparono all’accoglienza: furono 42 nel 2016, 65 l’anno successivo e 69 nel 2018. “Due terzi delle circa 1.750 persone accolte ogni anno dal 2016 vennero inserite in accoglienza diffusa- continua Bertoldi- ma in ogni caso sia nei centri straordinari, sia negli appartamenti ‘ordinari’ riuscimmo a fornire i medesimi servizi trasversali: consulenza legale, supporto di assistenti sociali, operatori per l’integrazione e sostegno psicologico”.  

Per sette anni, dunque, questo modello garantì ottimi risultati in termini di inserimento delle persone accolte nel tessuto sociale ed economico locale. Lo conferma il Rapporto “Il tramonto dell’accoglienza in Trentino”, pubblicato nel 2019 da Fondazione Migrantes, che indica come “nel 2016, a fronte di una spesa di 9,4 milioni di euro”, il modello di accoglienza trentino avesse generato “un ritorno economico di 18,5 milioni”. 

Le cose sono cambiate drasticamente a partire dalla fine di ottobre 2018 con l’elezione del leghista Maurizio Fugatti a presidente della Provincia di Trento. Bertoldi è preciso nel ricostruire i passaggi che hanno portato al cambio di rotta del sistema di accoglienza locale. “Fugatti ha guidato l’azione della sua giunta secondo alcune coordinate precise: abbandono dell’accoglienza diffusa e raggruppamento delle persone in poche strutture di grandi dimensioni concentrate soprattutto a Trento; applicazione rigorosa del decreto legge 113/2018 con il taglio di tutti i servizi trasversali; limite massimo di persone accolte e mancata accoglienza dei richiedenti asilo inviati dal ministero dell’Interno, dato che il Trentino si dovrebbe già fare carico dei cosiddetti ‛territoriali’ (persone che arrivano in autonomia sul territorio della Provincia di Trento percorrendo rotte differenti da quella del Mediterraneo, ndr)”.  

Questo piano, perseguito e realizzato con determinazione dalla giunta leghista, ha ribaltato i risultati positivi degli anni precedenti. Le statistiche messe a disposizione dal Cinformi rilevano che al primo settembre 2024 nei Cas del territorio su 730 posti disponibili sono stati accolti 715 richiedenti asilo. Di questi, poco meno di 500 sono inseriti in quattro strutture. La più grande è la “Residenza Fersina di Trento”, che verrà demolita entro la fine del prossimo anno, con una capacità di 290 posti.

“Il nostro sistema di accoglienza oggi è fortemente sottodimensionato rispetto a tutti i parametri -riflette Bertoldi-. Se rispettassimo le quote assegnate dal ministero dell’Interno, che fissa per il Trentino l’accoglienza dell’1% dei richiedenti asilo, secondo le nostre stime dovremmo garantire tra i 1.200 e i 1.500 posti in accoglienza”. 

E le persone che ne potrebbero beneficiare sul territorio non mancano. I dati del Centro Astalli riferiscono che, nel corso del 2023, delle 1.800 persone entrate in Trentino, 1.300 persone hanno presentato domanda di protezione internazionale presso la questura di Trento.

“Lasciate in strada a causa della mancanza di posti liberi, 600 di loro hanno resistito con tenacia e sono entrate in accoglienza dopo diversi mesi, mentre tutte le altre sono rimaste fuori”, riprende Stefano Canestrini. Un ulteriore nodo problematico è rappresentato dall’esclusione dai circuiti dei dormitori per senza dimora -la cui gestione è di pertinenza comunale- dei richiedenti asilo costretti all’addiaccio.

“Qui si realizza un vero e proprio paradosso”, commenta con amarezza il coordinatore del Centro Astalli. “Da una parte la Provincia vieta ai richiedenti asilo di accedere alle strutture di Emergenza freddo, perché andrebbero a togliere il posto ai ‛veri’ senzatetto, dall’altra, mantenendo il limite di 730 posti in accoglienza, si nega loro l’accoglienza di cui avrebbero diritto come sancito dal decreto legislativo 142/2015”. 

Il risultato è che centinaia di persone vivono -e dormono- in strada, sottoposte a condizioni che hanno forti ripercussioni anche sul loro stato di salute. Quest’anno il Centro Astalli ha registrato un incremento del 25% degli accessi in psichiatria e del 15% di abuso di sostanze tra le persone che assiste. “Le persone che incontriamo sono frantumate”, dice Canestrini, che, alla luce di questa situazione, reputa “il richiamo a una ‛soluzione facile’ come il Cpr un’arma di distrazione di massa, dato che non ha nulla a che vedere con i richiedenti asilo”.

I Cpr, infatti, sono luoghi in cui verrebbe recluso chi si trova in attesa di esecuzione di un provvedimento di espulsione perché sprovvisto di regolare titolo di soggiorno. Per andare oltre la propaganda, secondo il coordinatore del Centro Astalli, è un altro l’orizzonte a cui il Trentino dovrebbe volgere lo sguardo: “La questione migratoria va posta immaginando sguardi futuri, come viene fatto per la sanità o la scuola, così da coinvolgere tutti noi come parte di una comunità”. Perché, come accaduto in Trentino all’inizio degli anni Duemila, spesso è proprio la comunità a fare la differenza.  

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