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Le nuove sfide dei movimenti per l’acqua contro gli interessi privati
Nonostante i successi ottenuti in questi anni da attivisti e comunità per riportare in mano pubblica la gestione dei servizi idrici, il modello privato continua a essere proposto -anche dalle Nazioni Unite- come il più adatto per affrontare le crisi globali. Il report “Rivers of resistance” di Tni smonta la retorica e dà voce alle alternative
Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila il movimento globale per l’acqua ha ottenuto importanti vittorie nella lotta contro la privatizzazione dei servizi idrici e per il loro ritorno in mano pubblica. Nel 2000 Cochabamba, in Bolivia, è stata la prima comunità a vincere questa battaglia e nel 2004 l’Uruguay è stato uno dei primi Paesi a modificare la propria Costituzione per proteggere l’acqua dalla privatizzazione.
Con il passare del tempo, però, il movimento ha compreso che questo non era sufficiente e ha iniziato a concentrarsi anche sulla democratizzazione e sul miglioramento dei servizi idrici pubblici. “I partenariati tra i sistemi idrici e igienico-sanitari governati dalla comunità e i servizi pubblici progressisti hanno svolto un ruolo chiave in questo lavoro, attingendo alle competenze e alle risorse di entrambi per rafforzare alternative democratiche che gestiscono ecosistemi e servizi idrici per la vita, non per il profitto. Nel processo, una vasta gamma di sistemi idrici, lotte e organizzazioni, comprese le comunità rurali, contadine e indigene, sono state impegnate ad ampliare, rivitalizzare ed espandere la portata del movimento per l’acqua” si legge nel report “Rivers of resistance” curato dal Transnational institute (Tni).
Il documento ricostruisce la storia di queste lotte e le prospettive future del movimento globale che si batte contro la privatizzazione dell’acqua. Un testo basato sulle riflessioni che si sono svolte a Santiago del Cile dal 29 novembre al 2 dicembre 2022 in occasione della conferenza “Our future is public” e che lancia un allarme preciso: “Lo sviluppo economico basato sull’estrazione di valore e la crisi climatica minacciano i sistemi idrici globali mentre miliardi di persone rischiano di non avere accesso all’acqua potabile -si legge nel report-. Nonostante i costanti fallimenti delle soluzioni ‘di mercato’ la governance globale dell’acqua e le istituzioni internazionali per lo sviluppo continuano a insistere sul fatto che il solo modo per vincere queste sfide è spingere ulteriormente sulla privatizzazione e sulla finanziarizzazione dell’acqua in tutte le sue forme”.
Il movimento per l’acqua ha alle spalle successi importanti: al marzo 2023 erano 339 i servizi idrici tornati in mano pubblica o creati ex novo. A livello internazionale un risultato particolarmente importante è stato raggiunto nel 2010 con l’adozione da parte delle Nazioni Unite della risoluzione che riconosce il diritto umano all’accesso all’acqua potabile.
Risultati non sufficienti. Le società che traggono profitto dallo sfruttamento delle risorse e dalla gestione delle infrastrutture idriche hanno cambiato infatti strategia e sono riuscite a catturare l’attenzione delle istituzioni globali (come la Banca mondiale) per promuovere le proprie politiche a attraverso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Gli investimenti pubblici per lo sviluppo nel Sud del mondo, infatti, sono stagnanti e si punta a colmare il gap con investimenti privati. La partita, secondo le stime di Tni, è di 150 miliardi di dollari l’anno per realizzare le infrastrutture necessarie a centrare l’Obiettivo 6: accesso universale all’acqua e servizi igienico-sanitari per tutti.
Un’offerta difficile da rifiutare per Paesi impoveriti e che non hanno risorse sufficienti ad affrontare una sfida infrastrutturale così complessa e impegnativa. Inoltre, i bilanci di questi Stati sono gravati da pesanti interessi sui debiti contratti con l’estero e sono quindi particolarmente “vulnerabili” alle proposte di partnership pubblico-private per la gestione dei loro servizi idrici.
Le alternative però ci sono e, come dimostra l’esperienza di questi vent’anni, sono praticabili e possono avere successo. È il caso, ad esempio, del progetti di gestione idrica comunitaria (community water management) particolarmente forti in America Latina e promossi da migliaia di organizzazioni nelle aree rurali, contadine, indigene e peri-urbane di tutto il mondo.
“Queste associazioni democratiche e partecipative gestiscono la fornitura di acqua alle loro comunità, la conservazione e il ripristino dei bacini idrografici e la cura delle fonti di approvvigionamento idrico -scrive Tni-. Collettivamente raccolgono e distribuiscono l’acqua in un territorio specifico, relativamente indipendenti dallo Stato o dal settore privato, lavorando insieme in partenariati e in reti più ampie. La gestione comunitaria dell’acqua è una forma di autogestione collettiva, reciproca e solidale di un bene comune, spesso con le sue radici in accordi consuetudinari di lunga data”.
Questi sistemi idrici comunitari lavorano sempre più spesso in partnership con i servizi pubblici e possono essere reciprocamente vantaggiosi. I servizi idrici pubblici, i lavoratori e i loro sindacati possono offrire risorse alle comunità (tra cui competenza tecnica e solidarietà, importanti per difendersi dagli interessi privati) mentre queste ultime mostrano la partecipazione e la democratizzazione di cui hanno disperatamente bisogno molti operatori idrici pubblici.
Lo scorso marzo il movimento si è dato appuntamento a New York in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’acqua. Anche in questa occasione, stigmatizza Tni, il ruolo delle aziende e della finanza è stato indicato come strumento privilegiato per affrontare il cambiamento climatico. “Ci viene detto che rappresentano l’unica soluzione alle crisi esistenziali e intrecciate del clima e dell’acqua -si legge nel report-. Nel frattempo, nonostante la persistente austerità, gli operatori idrici pubblici e comunitari continuano a gestire e fornire acqua alla maggior parte di coloro che hanno accesso in tutto il mondo. A differenza dei servizi privati, i sistemi idrici pubblici sono in grado di funzionare in base sull’efficienza sociale piuttosto che economica, e hanno, al loro meglio, dimostrato a lungo il loro successo”.
In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite il movimento per l’acqua, unito sotto la sigla del People’s water forum, ha presentato il proprio Manifesto in cui si chiedono una serie di interventi e riforme strutturali del sistema per garantire l’accesso universale all’acqua e fare in modo che la garanzia di questo diritto sia la base di partenza per una società più giusta e resiliente, capace di affrontare con maggiore successo la sfida del cambiamento climatico.
Per raggiungere questi obiettivi il movimento chiede innanzitutto lo stop alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici; posti di lavoro, salari e condizioni di lavoro dignitosi per i lavoratori del settore; il ripristino o la restituzione territoriale del rapporto tra produzione alimentare e acqua; la cura della quantità e qualità dell’acqua, la difesa delle falde e delle risorse idriche territoriali. Soprattutto si chiede una governance partecipata, trasparente e democratica dei servizi e delle risorse idriche pubbliche e comunali, con particolare attenzione al livello territoriale locale oltre al finanziamento pubblico dell’acqua socialmente sostenibile e a lungo termine.
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