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Diritti / Attualità

Le lunghe code davanti alla questura a Torino e le “falsa” soluzione del cambio di sede

L'ingresso degli uffici della Questura di Torino in corso Verona © Lorenzo Ligas

Un video delle persone accampate fuori dai locali di Corso Verona ha riacceso il dibattito sulla lunga attesa a cui sono condannate centinaia di persone straniere in fila per il permesso di soggiorno. In autunno è stato annunciato lo spostamento degli uffici immigrazione in un locale messo a disposizione dalla Diocesi. “Ma il problema non è il luogo né la carenza di personale bensì le prassi illegittime”, denuncia l’avvocata Elena Garelli

Un video amatoriale girato all’alba che mostra decine di persone accampate al freddo fuori dalla questura di Torino in Corso Verona ha nuovamente acceso l’attenzione sugli ostacoli che le persone straniere devono affrontare per poter chiedere o rinnovare i documenti di soggiorno.

C’è chi si mette in coda anche due o tre giorni prima dell’apertura settimanale degli sportelli senza aver la certezza che potrà farvi accesso. “Scene come queste si ripetono da anni, si solleva il polverone mediatico di tanto in tanto ma poi torna tutto esattamente come prima”, spiega l’avvocata Elena Garelli del foro di Torino e socia dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che da anni si occupa del tema.

Le immagini hanno infatti nuovamente generato prese di posizione da parte di diversi soggetti istituzionali della città, anche da parte della politica. Il sindaco Stefano Lorusso ha chiesto di “accelerare la soluzione del problema” spiegando che la questura prevede “a breve-medio termine di spostare l’ufficio in locali della Curia nell’attesa che un nuovo edificio, di proprietà del ministero, venga completato in via definitiva”.

I sindacati Cgil, Cisl e Uil, durante un presidio indetto il 27 gennaio, hanno richiamato l’attenzione sulla carenza di personale negli uffici soprattutto con riferimento ai lavoratori interinali che svolgono lavoro di supporto ai funzionari. “Non è questo il punto”, sottolinea Garelli.

Avvocata Garelli perché sostiene che sia sbagliato concentrarsi sulle strutture e sul personale?
EG Perché il problema sono le prassi illegittime che la questura quotidianamente mette in atto e che già due anni fa abbiamo denunciato con l’Asgi e altre sessanta organizzazioni della società civile (qui l’inchiesta di Altreconomia del novembre 2022, ndr). La maggior parte non riguardava, lo sottolineo, né il numero di funzionari coinvolti né i luoghi ma concretamente ciò che viene pretestuosamente e illegittimamente richiesto alle persone. Molto del lavoro svolto dalla questura è finalizzato a scoraggiare l’accesso alle procedure di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno ostacolando l’esercizio dei loro diritti. Oltre che essere illegittimo, tutto questo genera un sovraccarico per i funzionari.

Ci fa qualche esempio?
EG Ce ne sarebbero tanti e dipende dalla tipologia di permesso di soggiorno che si va a richiedere. Il più eclatante è la richiesta di residenza o di una “dichiarazione di ospitalità” alle persone che per la prima volta presentano domanda di protezione internazionale. Un paradosso, oltre che illegittimo: la residenza puoi ottenerla solo una volta che hai il documento e, se sei irregolare sul territorio, non puoi ottenere la dichiarazione di ospitalità presentandoti in un commissariato perché rischieresti di essere denunciato. Possiamo trovare anche la struttura più funzionale possibile ma queste richieste dipendono da ben altro. E moltiplicare i luoghi in cui avvengono potrebbe addirittura peggiorare la situazione.

Persone in coda davanti alla questura di Corso Verona a Torino © Lorenzo Ligas

Perché?
EG Il decentramento delle pratiche favorisce la difficoltà di monitorare le prassi illegittime e, soprattutto, rischia di coinvolgere funzionari meno preparati. E lo vediamo già oggi. I problemi non sono solo in corso Verona, le code sono molteplici e le violazioni dei diritti si ripropongo analoghe dappertutto.

Restiamo su Corso Verona. Chi sono le persone in coda?
EG Il martedì e il giovedì possono entrare coloro che devono chiedere un appuntamento per il rilascio o il rinnovo di permessi di soggiorno che non possono essere richiesti tramite kit postale. Ad esempio, si tratta di appuntamenti per il rinnovo della richiesta d’asilo o di alcuni primi rilasci per chi ha già ottenuto un documento a seguito della sentenza di un Tribunale. Queste persone si mettono in coda a volte anche tre giorni prima e attendono l’apertura di poche ore: su centinaia, solitamente ne entrano circa 30/35. Quelle che riescono, però, non vedono “risolta” la loro pratica: una volta entrati, infatti, ottengono esclusivamente un nuovo appuntamento in cui potranno poi procedere con la loro richiesta.

Quindi la coda è esclusivamente finalizzata a prendere un ulteriore appuntamento?
EG Sì, è così. Il motivo per cui questo avviene, a mio avviso, è che c’è una sorta di scrematura delle domande. Tu entri e se non hai tutti i documenti necessari non ricevi neanche la nuova data in cui recarsi in questura. Come visto, però, spesso le richieste sono illegittime. Quindi potenzialmente una persona sta giorni ad aspettare al freddo, entra dentro gli uffici, si vede rifiutare la possibilità di proseguire per un motivo illegittimo -contestato tra l’altro da agenti che spesso non hanno preparazione specifica sul tema- e quando esce non ha neanche un documento in cui ci sia scritto nero su bianco quali siano le ragioni per cui è stata mandata via. Così non può neanche contestare alla questura l’irregolarità di quanto gli è successo, perché non ha un provvedimento da impugnare. Inoltre, questa “organizzazione” incide anche sul carico di lavoro dei funzionari.

Ci aiuti a capire.
EG La seconda volta che una persona torna dopo aver preso l’appuntamento deve farsi registrare le impronte. Tutto avviene nella stessa struttura: se davvero si volesse ottimizzare il lavoro basterebbe fare tutto in una volta. Invece non è così perché, evidentemente, non c’è la volontà di farlo. Da dopo il Covid-19 la situazione è così e le code avvengono a prescindere da qualsiasi altra variabile. Non cambia che ci siano centomila o cinquantamila sbarchi all’anno, la situazione è sempre la stessa.

Raccontava che ci sono anche altre code, molto meno raccontate, in città. Quali?
EG Sempre in Corso Verona c’è la lunga coda di chi ha ottenuto questo fantomatico appuntamento, o facendo prima le code pomeridiane del martedì e del giovedì o attraverso l’invio del kit postale, e deve presentarsi per il fotosegnalamento. Vengono dati gli appuntamenti tutti alle 9 del mattino ed è assurdo: chi arriva di notte, forse, riesce a liberarsi a metà mattinata per tornare a lavorare, gli altri invece stanno fino al tardo pomeriggio. Certo, almeno loro la certezza di entrare ce l’hanno. Non è così per coloro che per la prima volta chiedono protezione internazionale. C’è un’altra coda, in centro, dietro la stazione di Porta Susa: entrano tra le cinque e le dieci persone al giorno, nonostante in alcuni giorni siano un centinaio quelle che aspettano. Una volta entrate, come visto, non è detto che tutto fili liscio.

Torino è un caso isolato in Italia?
EG No, non lo è. Se è vero che in alcuni luoghi esistono modalità organizzative che permettono un accesso più agevole agli uffici, nelle questure delle più importanti città italiane si verifica quanto osserviamo a Torino. Asgi ne ha dato conto in un dettagliato report. Il tema che andrebbe affrontato è l’approccio securitario da parte del ministero dell’Interno e le direttive che vengono inviate alle questure: banalmente anche l’utilizzo di sistemi di prenotazione online, di per sè un valido strumento per facilitare l’accesso alle procedure, possono diventare un ulteriore ostacolo e come le assunzioni o la moltiplicazione di strutture non eliminano le prassi illegittime. Rischiano solo di moltiplicarle e renderle invisibili.

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