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Diritti / Attualità

Le lotte per i diritti delle donne del commercio equo. Per cambiare il mondo

Ruth Salditos, fondatrice del Panay Fair Trade Centre © Beatrice De Blasi

Quando le donne dispongono delle conoscenze e delle competenze necessarie per essere coinvolte hanno il potere di plasmare un futuro migliore per loro, le loro famiglie e le loro comunità. Le storie straordinarie di alcune protagoniste del fair trade, dall’Amazzonia alle Filippine

Uguaglianza di genere oggi per un domani sostenibile è il tema scelto dalle Nazioni Unite per l’edizione 2022 della Giornata internazionale della donna che si celebra l’8 marzo. È un riconoscimento al contributo delle donne e delle ragazze di tutto il mondo che guidano il movimento globale contro il cambiamento climatico, per costruire un futuro più sostenibile per tutti.

Nel mondo una donna su cinque subisce violenze dal proprio partner, a livello globale solo il 23,4% dei parlamentari sono donne e, secondo l’ultima edizione del Global gender gap report, ci vorranno 217 anni per colmare il divario retributivo di genere. In Italia non va meglio, secondo i dati Istat su 101mila occupati in meno 99mila sono donne. Il tasso di occupazione femminile italiano è di 13,5 punti sotto la media europea.

Non siamo messe bene e i fronti su cui portare avanti la battaglia sono davvero tanti, primo tra tutti la violenza contro le donne, ma il nostro invito è quello di guardare al presente per progettare il futuro. Occorre rimboccarsi le maniche e lottare per i diritti tutte insieme, nei Paesi del Nord del mondo come in quelli a medio e basso reddito. Esattamente come hanno fatto le femministe prima di noi. La storia ci insegna che quando le donne dispongono delle conoscenze e delle competenze necessarie per essere coinvolte, hanno il potere di plasmare un futuro migliore per se stesse, le loro famiglie e le loro comunità.

Anche in questo il commercio equo e solidale fa la sua parte ed è per noi la più importante nell’impegno per la cooperazione internazionale da parte di Fondazione Altromercato: garantire il rispetto delle lavoratrici e dei lavoratori, promuovendo al contempo anche la cultura della parità di genere, attraverso programmi di formazione e sensibilizzazione. L’altissima partecipazione femminile nelle organizzazioni del commercio equo e solidale fa delle donne le protagoniste di incredibili storie di cambiamento. Ad alcune di queste vogliamo simbolicamente dedicare l’8 marzo 2022.

Nina Vjukam ha 26 anni ed è la coordinatrice delle produttrici di arachidi della comunità Shuar di Tsentsakentsa, in Amazzonia ecuadoriana. Nina scherza, sorride sempre e fa progetti. Ci racconta che il fulcro della cultura tradizionale Shuar e Achuar è la famiglia estesa: un uomo, le sue mogli e i loro figli, cui possono aggiungersi i genitori dei coniugi, i mariti delle figlie e i bambini orfani. Fino a pochi anni fa in Amazzonia si praticava la poligamia sororale.

La divisione del lavoro è ancora oggi determinata dal sesso: le donne coltivano, preparano gli alimenti, accudiscono i figli e producono ceramiche e collanine in fibra e semi destinate al circuito del commercio equo e solidale. Gli uomini cacciano e pescano, possono avere il ruolo di sciamani, producono oggetti di legno e cesti, tessono e costruiscono le case. In Ecuador il codice civile permetteva il matrimonio a partire dai 12 anni per le bambine e dai 14 per i bambini: solo nel 2015, grazie al movimento delle donne, si è ottenuta una riforma che ha finalmente dichiarato l’illegalità del matrimonio infantile e ha innalzato l’età minima a 18 anni per entrambi i sessi.

“La cultura indigena della regione è ancora piuttosto machista”, dice Nina, ma finalmente le donne detengono il controllo del denaro guadagnato con la vendita nel circuito del commercio equo delle arachidi e degli oli essenziali ottenuti da specie autoctone come l’ocotea quixos, una sorta di “cannella amazzonica”, e da specie introdotte molti secoli fa ma ormai presenti nella tradizione etnobotanica delle popolazioni Shuar e Achuar, tra cui l’olio di zenzero, curcuma, hierba Luisa e agrumi. Il denaro guadagnato viene reinvestito negli studi dei figli, bambine comprese: “È questa la nostra vittoria”.

Ruby e Nandy Mediavilla di Copropap © Beatrice De Blasi

Ruby (21 anni) e Nandy Mediavilla (24 anni) sono due piccole imprenditrici, di Copropap, organizzazione di piccoli produttori di Dulcita, zucchero di canna dal caratteristico aroma di miele, di Pacto una località nel Nord dell’Ecuador. Qui le donne hanno scelto di scendere letteralmente in campo a gestire la propria terra. Ruby e Nandy testimoniano l’emergere delle donne in un contesto che fino a poco tempo fa era gestito esclusivamente da uomini e che spesso relegava le donne esclusivamente al ruolo ruolo di madri: “Le donne sono creative, oneste, generose, intelligenti”, dice Nandy.

In questi anni grazie all’attività all’interno di un’organizzazione di commercio equo, le donne di Copropap hanno trovato la loro voce. Partecipano alle riunioni pubbliche, dicono la loro, hanno assunto dei ruoli da leader nelle comunità e sanno che possono contribuire a trasformare la società. Ma non solo: a Pacto stanno conducendo in prima fila una lotta per la salvaguardia della Riserva Naturale del Chocó Andino, riconosciuta dall’Unesco come zona di conservazione e sviluppo sostenibile attualmente minacciata dalle concessioni minerarie che operano illegalmente nella zona, essendo prive di licenza ambientale. Una difesa del territorio che a Copropap rischiano di pagare con la vita, in un Paese dove le aggressioni mortali ai danni dei difensori dell’ambiente, negli ultimi dieci anni, sono state in costante aumento, come denunciato dall’Alianza de organizaciones por los derechos humanos en Ecuador nel suo ultimo rapporto di giugno 2021.

Bahala na” è un’espressione filippina che possiamo tradurre con: “Succeda quel che succeda”. E riassume lo spirito di resistenza tipico delle donne in un Paese dove la povertà estrema e le violazioni dei diritti umani sono parte della quotidianità. “Bahala na, noi continueremo la nostra lotta per i diritti”, dice Ruth Salditos, raccontando la storia del Panay fair trade centre (PFTC), organizzazione che produce zucchero di canna nata trent’anni fa e che, all’inizio, dava lavoro a 25 donne. Oggi sono circa 10mila le persone che a Panay beneficiano delle sue attività. Le condizioni di pagamento del commercio equo, che anticipa il 50% e paga la quota restante una volta confermata la spedizione, hanno permesso a PFTC di gestire le proprie attività al di là della semplice creazione di redito per i contadini.

Sono passati 30 anni e dalle due tonnellate iniziali spedite ad Altromercato nel 1992, si è passati alle oltre 900 tonnellate l’anno di zucchero Mascobado con certificazione biologica, che viene distribuito a 17 partner di commercio equo tra Europa, Corea del Sud e Hong Kong. A questa produzione si sono poi aggiunti le banana chips, lo zenzero candito e la curcuma in polvere.

Il commercio equo e solidale nelle Filippine è molto di più che comprare e vendere prodotti a prezzi equi, poiché PFTC lavora per difendere i diritti umani, i diritti delle donne, le vittime della schiavitù, dei grandi latifondisti mafiosi e del land grabbing. Un impegno che a PFTC hanno pagato ad un prezzo altissimo, con sparizioni forzate e omicidi di diversi suoi leader.

Infine c’è la storia di Ela, pioniera del commercio equo e solidale. Ha creato dal nulla la prima banca di microcredito al mondo riservata alle donne ed ha fondato il Self employed women’s association (Sewa), il primo sindacato di genere per le lavoratrici indiane precarie e analfabete. Progetti che sembravano impossibili: eppure lei c’è riuscita, ben 50 anni fa. Oggi Ela Bhatt, che ha da poco compiuto 88 anni, è una donna gentile dalla volontà d’acciaio, ancora attiva nel testimoniare a favore dei diritti delle donne nel mondo.

Ela Bhatt © Profilo Fb

Nel 1972 Ela ha fondato come detto il Self employed women’s association, dove self-employed non significa “libera professionista” bensì “autonoma e precaria” ed è negli slum di Ahmedabad (grande città dello Stato del Gujarat, nell’Ovest dell’India) che va a cercare le donne: una ad una. Ma non basta. Ela sa che le donne hanno un grande problema:sono ricattabili. Sono per ben tre volte ricattabili: perché povere, perché analfabete, perché donne.

Un giorno, parlando con una raccoglitrice di stracci, Ela ha un’intuizione potente, grazie a una domanda: “Ma perché con Sewa non facciamo una nostra banca? Siamo povere, ma siamo così tante!”. Si è messa al lavoro e in soli sei mesi, emettendo azioni da dieci rupie l’una, Ela ha raccolto il capitale necessario per fondare la banca: è nato così il microcredito, con l’obiettivo di sottrarre le donne ai ricatti degli strozzini.

Le sue socie? Quindici donne, tutte analfabete, tanto che per poter firmare un atto costitutivo valido, Ela ha dovuto portarsele tutte a casa sua la sera prima dell’appuntamento dal notaio per farle esercitare fino a notte fonda affinché imparassero a tracciare a memoria i pochi segni del loro nome. È nata così, nel 1974, la prima banca al mondo di sole donne. La prima banca che considerava i poverissimi come clienti affidabili e desiderabili e che oggi ha due milioni di socie. È una storia che emoziona profondamente: cinquanta anni dopo, in mezzo alla pandemia, è un invito a tornare a mettere al centro le storie di donne che fanno sentire la propria voce per rivendicare diritti calpestati.

Anche per questo l’8 marzo vi invitiamo ad appoggiare la lotta di Ruby e Nandy e le donne di Copropap in Ecuador al fianco di Fondazione Altromercato. È un invito a sostenere concretamente il loro progetto. Anche un piccolo e simbolico sostegno può contribuire alla loro lotta per costruire relazioni più paritarie, salvaguardare un ecosistema andino per una società più inclusiva e soprattutto sostenibile. Un lavoro da fare insieme perché un giorno, insieme, l’8 marzo si possa anche fare festa.

Beatrice De Blasi, Fondazione Altromercato

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