Diritti / Opinioni
L’attualità del monito di Rolland su guerra e imperialismo
Lo scrittore invitava gli europei a guardare il mondo con gli occhi dei colonizzati. Vedersi in modo diverso è il primo passo per cambiare. La rubrica di Tomaso Montanari
Romain Rolland, un grande musicologo che vinse anche il premio Nobel per la letteratura, quando scoppiò la Grande guerra provò a levare la sua voce per la pace, finendo malamente insultato, come succede anche oggi: traditore della propria nazione e traditore dei valori dell’Occidente, si scrisse allora. In una bellissima risposta, che pubblicò nel 1914 su un giornale svizzero (era andato a vivere nella neutrale Confederazione), raccontò che un suo amico, missionario in Africa, gli aveva riferito di un mito locale che spiegava la diversità del colore della pelle. Diceva che tutti gli uomini un tempo erano neri, finché un giorno Dio chiamò gli europei e chiese loro: “Che cosa avete fatto ai vostri fratelli?”. E gli europei impallidirono, diventando bianchi.
Oggi non impallidiamo per nulla, ben sicuri che i nostri sbandierati valori occidentali ci garantiscano una superiorità morale e culturale. Anche se la verità è che la nostra superiorità è solo brutale dominio ormai messo pesantemente in discussione. Le riflessioni di Rolland contro la Grande guerra, e contro l’ipocrisia della retorica dei valori occidentali, il lettore italiano di oggi le può conoscere grazie a un bel libretto profeticamente comparso nel 2019 (“Patrie. Lettere. Tolstoj, Zweig, Rolland e don Milani. Piccola antologia di scritti sul patriottismo con quattro tavole di Frans Masereel”, Analogon).
“Il nemico peggiore -notava Rolland- non si trova al di là delle frontiere, esso è all’interno di ciascuna nazione e nessuna nazione ha il coraggio di combatterlo. Questo mostro a cento teste si chiama imperialismo, un orgoglio e una volontà di dominio che vuole assorbire, sottomettere o distruggere tutto, che non tollera alcuna libera grandezza al di fuori di se stesso”.
Rolland aveva la rara capacità di guardare la sua “parte” da fuori: come ha scritto Edward Said “più si è capaci di staccarsi dalla propria patria culturale, più è agevole giudicarla, e giudicare il mondo stesso, con quel distacco culturale e quella generosità indispensabili per un’autentica visione delle cose. E tanto più, inoltre, si riuscirà a valutare se stessi e le altre culture con l’identica combinazione di intimità e distanza”.
Intimità e distanza: è proprio questa preziosa combinazione quando si sorprende Rolland a citare le parole che il grande poeta indiano Rabindranath Tagore aveva appena pronunciato, in una conferenza, a Tokyo sulla civiltà occidentale: “Essa consuma i popoli che invade; stermina o annienta le stirpi che ostacolano la sua marcia di conquista. Una civiltà di cannibali. Opprime i deboli e si arricchisce a loro spese. Col pretesto del patriottismo essa tradisce la parola data, tende senza vergogna i suoi tranelli di menzogne, erige idoli mostruosi nei templi dedicati al Guadagno, il dio ch’essa adora. Ebbene noi profetizziamo che tutto ciò non durerà per sempre”. Rolland sottolineava le ultime parole, che annunciavano giustizia al mondo, ma insieme un inesorabile declino all’Occidente: “Tutto ciò non durerà per sempre”. E supplicava: “Avete sentito uomini europei? Non tappatevi le orecchie!”.
Ebbene, queste parole oggi risuonano per noi, un secolo dopo: se non vogliamo un futuro di guerra continua, non tappiamoci le orecchie, non copriamoci gli occhi. A ragione, il resto del mondo non ama la presunzione e la violenza dell’Occidente: e allora usiamo gli occhi, gli occhi degli altri. Vedremo noi stessi in modo profondamente diverso: e sarebbe il primo passo per poter davvero cambiare.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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