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L’Agenzia europea delle sostanze chimiche tenta ancora una volta di salvare il glifosato

© Corporate Europe Observatory

A fine maggio l’Echa ha dichiarato che “le prove scientifiche disponibili non soddisfano i criteri per classificare il glifosato per la tossicità specifica per organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o reprotossica”. Una tesi antiscientifica e prona agli interessi dell’industria, denuncia la rete “Ban Glyphosate”

Il 30 maggio scorso il Comitato per la valutazione dei rischi dell’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) ha fatto sapere in una nota che “le classificazioni esistenti per il glifosato come sostanza che provoca gravi lesioni oculari ed è tossica per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata dovrebbero essere mantenute”. Ma, ed è questo il passaggio controverso, “le prove scientifiche disponibili non soddisfano i criteri per classificare il glifosato per tossicità specifica per organi bersaglio o come sostanza cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione”.

Una valutazione che sembra seguire la scia del via libera (nel 2017) all’erbicida più usato al mondo da parte dall’Autorità stessa, che ne aveva autorizzato l’uso per cinque anni. E allarma quanti avevano già visto con preoccupazione quanto espresso nel 2015 dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), che lo aveva considerato appartenente al Gruppo 2A “probabilmente cancerogeno” focalizzandosi su una classificazione basata proprio sul pericolo.

Con questa nota dell’Autorità europea il glifosato, il cui uso è consentito nell’Ue fino al 15 dicembre 2022, potrebbe avere una chance per vedersi rinnovata la licenza e continuare così a circolare negli Stati membri per ancora 15 anni. Non si è fatta attendere l’opposizione della coalizione “Ban Glyphosate”. Il tossicologo Peter Clausing, che ne fa parte, va dritto al punto: “È triste vedere che l’Echa ha ovviamente ripetuto la sua cattiva condotta scientifica dal 2017. Per giungere a una conclusione ha dovuto ignorare i risultati dei tumori riscontrati in cinque studi di cancerogenicità sui topi e sette sui ratti”. E ha concluso: “In tal modo non solo ha violato la buona pratica scientifica ma anche le proprie linee guida e persino i regolamenti europei, come dimostrato in diversi articoli sottoposti a revisione paritaria”. Queste includono, in particolare, studi di laboratorio che descrivono il meccanismo cancerogeno del glifosato, nonché studi epidemiologici che riportano un aumento del rischio di danni al Dna e di cancro nelle persone esposte.

A essere messa sul banco degli imputati sarebbe dunque la parzialità del giudizio espresso dall’Agenzia europea, fondato più che altro sugli studi dell’industria (non in linea con i minimi standard scientifici). E che non sembra aver tenuto in debito conto quanto rilevato da una revisione di studi di settore circa gli effetti dannosi sul Dna del glifosato, condotta dagli scienziati del Vienna cancer research institute: soltanto due dei 35 studi di settore presi in esame sarebbero infatti da considerarsi “affidabili”, e 15 “parzialmente affidabili”. Ben 18, invece, sarebbero da etichettare come “non affidabili”.

Prima di arrivare al definitivo orientamento dell’Ue in materia, con la decisione della Commissione e degli Stati membri, si attende anche il parere dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), chiamata a sua volta ad esaminare i contributi raccolti nel corso della consultazione pubblica. “Solo pochi giorni fa l’Efsa ha annunciato di non essere in grado di rispettare i tempi previsti per la valutazione del glifosato e di aver bisogno di un anno in più per valutare l’ampiezza dei commenti e degli studi presentati nel corso della consultazione pubblica, fino al luglio 2023”, ricorda il Corporate europe observatory.

Per questo la rete “Ban glyphosate” ha chiesto all’Efsa di spendere bene il suo “anno in più” per effettuare una valutazione approfondita di tutti gli studi pertinenti secondo le buone pratiche scientifiche e in linea con le linee guida applicabili.

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