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La “cattiva scienza” a favore del glifosato che ha condizionato l’Unione europea

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La maggior parte degli studi forniti dal settore industriale alle autorità europee per dimostrare la sicurezza del glifosato non ha soddisfatto gli standard scientifici internazionali. Lo rivela un’analisi indipendente dell’Istituto di ricerca sul cancro dell’Università di Vienna. Il report di Corporate europe observatory sull’ingrediente chiave del diserbante Roundup

Secondo una recente analisi scientifica condotta da Siegfried Knasmueller e Armen Nersesyan, ricercatori in Tossicologia genetica presso l’Istituto di ricerca sul cancro del Centro ospedaliero universitario di Vienna, la maggioranza dei 53 studi consegnati dall’industria alle autorità dell’Unione europea a supporto della sicurezza dell’erbicida più usato a livello globale, il glifosato, non soddisferebbe gli standard scientifici internazionali di base fissati dall’Ocse per la valutazione della genotossicità.

Le valutazioni critiche sulla serietà di questi studi, espresse dai due ricercatori viennesi, costituiscono un vero e proprio terremoto capace di minare la credibilità delle autorità europee di regolamentazione che, anche su questi studi dal segno meno, si sono basate per autorizzare il discusso diserbante impiegato in agricoltura. Sui 53 studi di settore “incriminati”, solo due, infatti, a detta dei ricercatori, potrebbero essere valutati come scientificamente “affidabili”, 34 sarebbero invece “non affidabili” e 17 solo “parzialmente affidabili”.

Una “cattiva scienza”, dunque, basata su una metodologia non aggiornata, che peraltro difetterebbe anche dei test più efficaci per escludere o meno il pericolo di cancro da glifosato, rischio, questo, che ha portato in alcuni Paesi a una stretta regolamentazione dell’erbicida, o addirittura alla sua messa al bando, come prevista in Messico nel 2024. L’analisi è stata rilanciata da Corporate europe observatory (Ceo), gruppo di ricerca che indaga sull’accesso privilegiato e sull’influenza esercitata dalle aziende e dai loro gruppi di pressione nel processo decisionale dell’Ue, che ha anche curato un report sul glifosato, con cui ha ripercorso la sua storia segnata da ombre.

I dubbi sulla sicurezza dell’erbicida, apparso sul mercato nel 1974, brevettato con il nome di Roundup e oggi molto usato nei prodotti fitosanitari (PPP) vanno avanti infatti da parecchio tempo. Anche da quando, nel 2015, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Oms, sulla base di studi scientifici pubblicati, lo citò fra le sostanze “probabilmente cancerogene”, classificandolo non più a “2b” ma a “2a”.

Nello stesso anno però l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che è anche l’autorità principale in materia di pesticidi, e l’Autorità sanitaria tedesca BfR, sulla base non solo di studi scientifici pubblicati, ma anche di studi di settore non divulgati, espressero tuttavia una valutazione sulla sua improbabile genotossicità o capacità di costituire un pericolo cancerogeno per l’essere umano. Tanto che due anni dopo, nel 2017, la Commissione europea approvò il suo uso fino al 15 dicembre 2022.  

Nel 2019, un cartello di otto aziende, il Glyphosate Renewal Group (Grg) produttrici di glifosato, con in testa Bayer, chiese il rinnovo stesso dell’autorizzazione europea (la cui scadenza è prevista alle fine dell’anno prossimo), presentando un dossier con numerosi studi e articoli scientifici a supporto della sicurezza del glifosato. Dopo questa richiesta, è partita la nuova rivalutazione che è ancora in corso, e che, se positiva, dovrebbe servire alle aziende produttrici per continuare a commercializzare la sostanza all’interno dell’Ue. Ma nel percorso potrebbe esserci anche dei colpi di scena, come del resto avvenuto in passato.

Come si ricorda nel report di Corporate europe observatory, rispetto alla precedente valutazione, gli studi di settore non divulgati ma presi in considerazione dalle autorità, furono infatti già riesaminati nel 2015 da uno dei più importanti esperti di salute ambientale e cancerogenità, Chris Potier, che contestò, insieme a 100 scienziati, le conclusioni dell’Efsa relative alla non pericolosità del glifosato. In aggiunta, a minare l’attendibilità dei risultati a cui si era pervenuti, c’era stata anche la proposta, avanzata dai produttori di glifosato, di valutare tutto il corpo di studi accademici pubblicati fino a quel momento secondo un sistema di valutazione piuttosto dubbio messo a punto a fine anni Novanta da tre dipendenti BASF (noti come Klimisc Criteria), una delle più importanti compagnie chimiche a livello globale.

E a compromettere ancor di più l’idea di imparzialità e indipendenza delle autorità di regolamentazione si aggiunse persino lo scandalo scoppiato nel 2017, provocato dalla scoperta che circa 100 pagine del rapporto dell’Efsa sui pericoli dell’utilizzo del glifosato non erano altro che un copia e incolla pressoché integrale dei documenti di Monsanto.

Attualmente la valutazione del nuovo dossier presentato dal GRG è stata sottoposta all’attenzione delle autorità nazionali di quattro Paesi (Francia, Paesi Bassi, Svezia e Ungheria) che costituiscono il gruppo di valutazione del glifosato (Agg), e che hanno già inviato la loro relazione (una bozza di 11mila pagine circa) all’Efsa e all’Agenzia Europea per le sostanze chimiche (Echa) per una revisione tra pari, sulla cui base si esprimerà poi la Commissione con un parere finale.

Per il momento, ancora una volta, nelle conclusioni del rapporto preliminare, il glifosato “sorvegliato speciale” non risulterebbe né cancerogeno, né mutageno e né tossico per la riproduzione, anche se viene sottolineato come sarebbero però necessarie altre indagini relative al suo impatto sulla biodiversità. Posto che nella precedente procedura di autorizzazione europea, Bfr in Germania e l’Efsa spinsero -sbagliando- sugli studi di settore a loro pervenuti per sostenere la mancanza di genotossicità da glifosato, già da un primo screening del nuovo dossier -ricorda Corporate europe observatory- 38 degli stessi studi di genotossicità sul glifosato “puro”, in precedenza inviati, sarebbero stati ripresentati alle autorità dell’Ue dall’industria come “validi o supplementari”. Di qui l’appello di Corporate europe observatory, che insieme ad altre organizzazioni della società civile chiede alle autorità dell’Ue di “tenere conto di questi nuovi risultati -dal punto di vista ambientale e sanitario molto preoccupanti- nella nuova procedura di autorizzazione”.

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