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La trasparenza zero sulla “gestione” delle frontiere: il ricorso di Altreconomia al Tar
Il 2 dicembre verrà discussa la causa promossa con il supporto dell’Asgi contro i ministeri dell’Interno e della Difesa, oltreché l’Agenzia industrie difesa, per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico a documenti che riguardano le forniture alla Libia. E per annullare il decreto del Viminale che vuole spegnere la luce sugli appalti
Il 2 dicembre il Tar del Lazio discuterà il ricorso presentato da Altreconomia contro i ministeri dell’Interno, della Difesa, della Pubblicazione amministrazione, oltreché l’Agenzia industrie difesa (Aid), per vedere riconosciuto il diritto all’accesso civico generalizzato a documenti che riguardano le forniture italiane alla Libia e il conseguente utilizzo di ingenti risorse pubbliche. E per annullare il recente decreto del Viminale che punta ad azzerare la trasparenza sulle frontiere.
La causa, promossa grazie agli avvocati Giulia Crescini e Nicola Datena dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (asgi.it) e membri del progetto Sciabaca&Oruka, ruota intorno all’accordo di collaborazione stipulato il 21 ottobre 2021 tra l’Agenzia industrie difesa (Aid), ente pubblico nato nel 2001 e “vigilato” dal ministro della Difesa, e la direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere, insediata presso il ministero dell’Interno.
Questo patto formale era ed è finalizzato alla fornitura di mezzi e materiali alla Libia per “rafforzare la capacità nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione e in materia di ricerca e soccorso in mare”, come ha scritto il Viminale. Una collaborazione che avrebbe previsto anche la fornitura di non ben precisati “mezzi e materiali” alla Libia per dare impulso alla seconda fase del progetto “Support to integrated Border and Migration Management in Libya” (Sibmmil), legato al Fondo fiduciario per l’Africa, dal valore di 15 milioni di euro.
Quando quest’estate Altreconomia ha fatto istanza di accesso civico generalizzato al ministero della Difesa per ottenere copia dell’accordo e dei suoi allegati, è stato opposto un secco diniego. “L’atto non è ostensibile atteso che lo stesso rientra nella categoria dei documenti sottratti all’accesso per motivi attinenti alla sicurezza, alla difesa e alle relazioni internazionali”, scrisse il 21 luglio il direttore generale dell’Aid, Nicola Latorre. Tesi che sarebbe stata “sostenuta”, per usare le parole di Latorre, anche da un fresco decreto firmato dall’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese datato 16 marzo 2022 che aveva incluso tra le “categorie di documenti sottratti all’accesso” anche la “gestione delle frontiere e dell’immigrazione”. Un provvedimento così generico da porre un limite assoluto e incompatibile con lo spirito del Freedom of information act.
La tesi del ricorso messo a punto dagli avvocati Crescini e Datena, inoltre, è che il rigetto dell’amministrazione sia stato generico, apodittico e privo di motivazione e che non argomenti in alcun modo quale rischio concreto arrecherebbe la divulgazione dell’accordo. “Si tratta di un accordo tra due amministrazioni statali per la gestione di risorse pubbliche, date dalla Commissione europea al ministero dell’Interno per il rafforzamento e il supporto delle autorità libiche, le quali rimangono totalmente estranee all’accordo stesso”, spiega l’avvocata Crescini. Che ricorda come l’intesa di cui i ministeri negano oggi le carte non potrebbe in alcun modo riguardare materiale militare od offensivo. Se così fosse saremmo davanti alla palese violazione della risoluzione dell’Onu sull’embargo in Libia del 2011 (1970/2011).
Il fatto che l’Aid -e quindi il ministero della Difesa che la vigila- non abbia argomentato in dettaglio il suo rigetto rappresenta un “insanabile svuotamento degli obblighi di pubblicità e del diritto di trasparenza”, aggravato dal fatto che si sta parlando del “controllo dell’attività della pubblica amministrazione e dell’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Ecco perché la richiesta al Tar è quella di autorizzare l’esibizione dei documenti richiesti anche in forma riservata per poter sottoporre gli atti al controllo giurisdizionale e al contraddittorio tra le parti o quanto meno di fornire una relazione sul contenuto dell’accordo. E in via subordinata di annullare quel “pezzo” di decreto che vuole spegnere la luce sulle frontiere.
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