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Ambiente / Opinioni

La Toscana sott’acqua e quei soldatini di piombo che ignorano la “prevenzione civile”

Una Fiat 500 sommersa dalle acque a San Piero a Ponti, frazione di Campi Bisenzio. È il 5 novembre 2023 © Michele Lapini

Le intense piogge di inizio novembre hanno provocato esondazioni e allagamenti nella Regione. La piana che va da Pistoia a Firenze era una naturale vasca di laminazione dei corsi d’acqua che scendono dall’Appennino ma è stata riempita di cemento, fino a soffocarla. Il ceto politico si indigna ma non agisce. I dati e il commento di Paolo Pileri

Uno a sei, ma forse anche uno a otto. Lo diciamo e ripetiamo da mesi, anni. Si tratta del rapporto tra l’acqua che si infiltra nel suolo cementificato e quella che può penetrare in un terreno non cementificato. Quando si urbanizza, si impermeabilizza. E di conseguenza la forza dell’acqua troverà meno ostacoli, facendo più danni. Se il clima è cambiato e piove tanto in poco tempo, dopo mesi di siccità in cui il suolo è diventato meno permeabile di suo, le conseguenze si fanno peggiori. Se nel frattempo Comuni e Regioni giocano a trovare scuse, rimandi, proroghe, deroghe e mirabolanti invenzioni per continuare a consumare suolo, la situazione si aggrava ulteriormente. È sufficientemente chiaro scritto così? Il terreno asfaltato e cementificato moltiplica gli impatti di piogge come quelle toscane, quelle romagnole, quelle marchigiane, quelle liguri. Se poi ci si aggiunge una cattiva manutenzione del reticolo idraulico superficiale, come legname che non viene rimosso e lavori di arginatura che sono stati rimandati, la situazione non può che peggiorare.

La piana toscana che va da Pistoia a Firenze era una naturale vasca di laminazione dei corsi d’acqua che scendono dall’Appennino ma è stata riempita di cemento sempre di più, fino a soffocarla, soprattutto negli ultimi decenni, con imbarazzanti opere: Università sopra aree paludose, grandi edifici militari, ampliamenti aeroportuali, centri sportivi, strade, svincoli autostradali, capannoni e via dicendo. Onestamente ogni volta che capitano cose del genere assistiamo alle stesse scene. Il presidente di Regione che, come un Paperinik dei poveri, tira fuori dall’armadio la divisa luccicante, e mai usata prima, della protezione civile e se sale su un elicottero o su una jeep per ispezionare i danni e poi, puntuale, ci fa pure la lezione da presidente sbigottito e rattristato. Ci manda messaggi dicendo che è il cambiamento climatico. Spettacoli inguardabili. Strategia dell’emozione per distrarci dalle reali responsabilità. Perché se è pur vero che il riscaldamento globale ha acutizzato gli eventi estremi, citare questo fenomeno come unico colpevole porta l’attenzione generale più lontano dalla loro responsabilità di politici che poco o nulla fanno. Peraltro di cambiamento climatico non sanno granché visto che poi qualcuno di loro sceglie tra i massimi dirigenti di un’agenzia ambientale regionale degli autentici negazionisti climatici. 

La vista aerea di San Piero a Ponti, 5 novembre 2023 © Michele Lapini

A noi interessano i presidenti e i sindaci della “prevenzione civile”, ovvero quelli che nei loro uffici pubblici, nelle stanze dei governi e nelle aule consiliari decidono di fermare il consumo di suolo prima che arrivi l’ennesima alluvione. A noi interessano i presidenti e i sindaci che mettono all’ordine del giorno le decostruzioni e organizzano gite e visite di studio a cantieri della depavimentazione. A noi interessano presidenti regionali che nel loro club, la Conferenza delle Regioni, discutono dell’urgenza di interrompere la cementificazione senza compromessi e rimandi. Ma non lo fanno da tempo. Sul sito della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome la pagina “difesa del suolo” è aggiornata al 6 luglio 2022, un anno e mezzo fa. Non gli interessa. Non fanno pressioni sul governo nazionale. Non si intestano riforme regionali neppure per fare il censimento del patrimonio edilizio esistente e non utilizzato (usiamo ancora quello Istat del 2012, mai aggiornato da allora).

Quindi rimandiamo al mittente le lezioni commoventi del giorno dopo dei presidenti di Toscana, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia o Veneto o di altre Regioni, perché non sono credibili. Sono tutte Regioni che non hanno azzerato il consumo di suolo nell’ultimo anno, come ci ha appena confermato il rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) del 2023 sul consumo di suolo, ma se lo sono tenuto ben stretto o addirittura l’hanno aumentato, guardandosi bene dal prendere posizione collegiale.

Volontarie e volontari puliscono le strade di Campi Bisenzio. 5 novembre 2023 © Michele Lapini

La Toscana, con i suoi 238 ettari (ha) appena cementificati nel 2022, ha 7.886 ettari edificati in aree a media pericolosità idraulica ed è la Regione con la più alta superficie edificata esposta a frane in Italia: 10.518 ettari. Firenze è tra le tre città toscane più impermeabilizzate: 42,6% della superficie. Dati simili per Prato (33,3%) e Sesto Fiorentino (20,8%). E tutti i Comuni della piana hanno cementificato nell’ultimo anno come se nulla fosse. Prato ha esteso la superficie impermeabilizzata di 4,99 ettari nel 2022, Pistoia di 1,11 ettari. Situazione analoga a Campi Bisenzio (+8,86 ha), Sesto Fiorentino (+8,69 ha), Calenzano (+0,31 ha), Firenze (+2,34 ha), Scandicci (+4,35 ha) e Bagno a Ripoli (+5,07 ha).

La montagna di mobili e oggetti provenienti dalle case alluvionate a Seano, Prato. 5 novembre 2023 © Michele Lapini

Non ricordo un tweet preoccupato del presidente della Toscana su questi dati. Neppure uno del presidente della vicina Emilia-Romagna che ha da poco concesso una deroga al limite del consumo di suolo per le aree alluvionate della provincia di Ravenna e che non si indigna del fatto che a Faenza il Comune non rimuove l’edificabilità da un’area (l’orto della Ghilana) che era stata sommersa da trenta centimetri d’acqua a maggio, ma anzi stanno per dare il via libera a una nuova urbanizzazione. Perché poi, quando passa la tempesta, la politica rimette gli abitini da protezione civile nell’armadio e tutto continua come prima. Semmai picchiano un po’ i pugni sul tavolo per chiedere soldi al governo centrale così da rimettere tutto come era prima, cemento incluso. Quale lezione imparano da tutto questo? Niente, perché niente vogliono imparare.

Ricordo, di nuovo, quel che diceva al governo nazionale il presidente della Repubblica Luigi Einaudi all’indomani della alluvione del Polesine nel 1951: “Il problema massimo dell’Italia agricola è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo del nostro Paese contro la progressiva distruzione che lo minaccia”. E quella distruzione arriva, massimamente dall’inazione politica e urbanistica, dalle proroghe, dall’ignoranza ecologica e dalla non comprensione, colpevole, che l’uso del suolo è forse la cosa più importante di cui occuparsi: prima dei guai, non dopo. Per attualizzare il pensiero del presidente di allora, basta mettere tra parentesi l’aggettivo “agricola” e il messaggio è splendidamente attuale. Chissà se il nostro presidente in carica lo ricorderà ai governatori in divisa gialla e blu.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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