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Crisi climatica / Opinioni

Einaudi e Mattarella, due presidenti con i piedi nell’acqua a confronto

Sergio Mattarellao in occasione della visita in emilia romagna il 30 maggio 2023 © Ufficio Stampa per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica

Dopo l’alluvione del Polesine del 1951 l’allora presidente della Repubblica spese parole nette contro la distruzione del suolo, richiamando i governanti a “guardare anche contro la volontà degli uomini viventi oggi”. Sensibilità ecologica che non si ritrova nei discorsi d’oggi, orientati a una cieca “ripartenza”. L’analisi di Paolo Pileri

Mi domando se i discorsi istituzionali che sentiamo (vuoi nelle cerimonie, vuoi in televisione, vuoi sui social media) si stiano rendendo responsabilmente conto della combinazione tra gravità ecologica e governo del territorio?

Nell’archivio storico del Quirinale possiamo trovare i discorsi dell’allora presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, in occasione dell’alluvione del Polesine, del novembre 1951. Quell’evento fu una strage terribile, in un’Italia ancora piegata dalle atrocità della guerra, con un piede nel boom economico. Un tempo in cui avrebbero avuto molto meno senso discorsi su suolo e fragilità idrogeologica o parole per spingere la politica ad assumersi il coraggio di un cambiamento del modello di sviluppo. Einaudi fece visita alle aree colpite portando la sua vicinanza alle vittime, incoraggiandole a rimettersi in piedi, congratulandosi per lo sforzo nei soccorsi e promettendo interventi riparatori.

Ma non finì qui. Il 20 novembre scrisse un lungo discorso pubblico all’allora presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, del quale ripropongo alcuni passaggi che mi hanno consentito di rivedere con altri occhi i fatti recenti di Ravenna e della Romagna.

“Ci rassegneremo ancora una volta? Dimenticheremo, di fronte all’urgenza di sempre nuovi problemi pressanti, che il problema massimo dell’Italia agricola è la difesa, la conservazione e la ricostruzione del suolo del nostro Paese contro la progressiva distruzione che lo minaccia? Dalle Alpi e dagli Appennini fronteggianti la valle padana, giù sino alle montagne della Calabria, della Sicilia e della Sardegna, gran parte della terra italiana va in disfacimento”, scriveva Einaudi.

“Per sapere il perché dei villaggi e delle case travolti dalle acque, degli agrumi, dei vigneti e degli orti scomparsi non basta guardare alle strade, ai ponti ed agli argini. Porre rimedio alle cause immediate visibili è dovere di governo e di autorità locali. Ma l’uomo di Stato deve guardare più lontano nello spazio [e] nel tempo -proseguiva il presidente della Repubblica-. Deve guardare anche contro la volontà degli uomini viventi oggi”.

E ancora, concludendo: “La lotta contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito d’oggi, se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani. La direzione generale delle foreste dovrebbe chiamarsi direzione generale della conservazione del suolo e delle foreste”.

Mi fermo qui. Sebbene l’allora presidente della Repubblica avesse tutte le ragioni per prendersela con la “natura avversa” (mentre oggi è vietato), Einaudi senza giri di parole puntò il dito contro il modo scomposto e distruttivo con il quale si stava rovinando il territorio; mise in guardia il governo dal limitare l’attenzione alle sole infrastrutture; alzò la voce per pretendere di occuparsi di suolo e difesa idrogeologica e richiamò con orgoglio la postura che proprio in questi frangenti occorre tenere: guardare al solo interesse comune anche contro le sirene del consenso politico. Lo fa lo statista, il resto non credo interessasse Einaudi.

Veniamo all’oggi: 30 maggio 2023, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella visita le alluvionate Faenza, Ravenna e Forlì. Parlando delle piogge, si riferisce a un “fenomeno imprevedibile” quando sappiamo bene che il cambiamento climatico ha reso frequenti e più che prevedibili tempeste come quelle che hanno colpito la Romagna. Nessun accenno a suolo, impermeabilizzazione e mal governo del territorio. Abbiamo invece letto che: “Le condizioni climatiche sono sempre più preoccupanti, e il nostro Paese dovrà preoccuparsi di organizzare delle difese preventive per fenomeni di questo genere, più di quanto non sia avvenuto fin qui”.

Se possiamo convenire sulla prima parte, non riesco a concordare sulla seconda che affida la soluzione alla sola risposta difensiva delle infrastrutture quando si dice da tempo che l’adattamento più urgente al clima sta nel cambiare radicalmente il modo di governare i territori e di fare produzione. Fare opere senza prima occuparsi delle cause che continuano a peggiorare clima e ambiente non sortirà gli effetti necessari. Ho poi letto in più parti l’invocazione a una “ripartenza veloce, immediata, senza pause” assieme all’auspicio che, “superata la fase di immediata emergenza, continua ininterrotta l’azione di rilancio e di ripresa del territorio”.

Ma come ininterrotta? Ma noi invece dobbiamo interrompere quel modello. L’alluvione l’ha fatto per noi, perché noi -testardi- non vogliamo smettere di fare e rifare le stesse cose. Continuiamo a desiderare di ricostruire anziché decostruire. Di riparare (male) anziché prevenire (bene). Di aggiungere anziché togliere.

Infine, non mi par di aver avvertito nessuno scossone indirizzato ai governatori e alle forze politiche per chiedere loro uno scatto d’orgoglio richiamandoli alla necessità di essere statisti più che amministratori e contabili del consenso, pretendendo da loro di guardare più lontano dell’emergenza e degli interessi di bottega, cessando per sempre il mal governo del territorio, di cui il consumo di suolo è simbolo.

Due presidenti entrambi con i piedi nell’acqua, ma con due risposte dalle opposte sensibilità ecologiche. Chissà che per rimettere in carreggiata la politica non occorra disseppellire il suolo, ma imparare da quel che di meglio abbiamo avuto in passato.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

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