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Ambiente / Approfondimento

L’inesorabile avanzata del cemento in Umbria. E le pratiche dal basso per contrastarla

La cementificazione della zona Ovest di Perugia vista dall'alto. © Google Earth

Lo scorso anno nella Regione sono stati consumati suoli per 120 campi da calcio, più 44% rispetto al 2021. Ogni umbro ha in dote 517 metri quadrati di cemento. Il “cuore verde” del Paese non c’è più ma fioriscono pratiche di cittadinanza attiva che in varie forme mostrano traiettorie alternative possibili. L’approfondimento dal territorio

Numerose campagne di comunicazione dipingono l’Umbria come un luogo ameno in cui trovare pace, serenità ma soprattutto tanto verde. Un’immagine che si scontra con la realtà dei dati che mostra l’esatto contrario, con una progressiva impermeabilizzazione irreversibile della risorsa suolo nella Regione.

Nonostante l’evidente inadeguatezza delle modalità di gestione del territorio, come dimostrato dalla conta dei danni legati alle frequenti calamità climatiche e ambientali che affliggono le nostre città, non si scorge un reale cambio di direzione. Al contrario, il rapporto dell’Istituto superiore per protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul consumo di suolo nel 2022 fotografa una situazione preoccupante. 

In un anno sono stati consumati 65 nuovi ettari di suolo -circa 120 campi da calcio- nel 2021 la crescita era stata di “soli” 44,5 ettari con un incremento quindi del 46% in un anno.

Cresce di altri due metri quadrati il suolo consumato per ogni umbro che risulta circa 517 metri quadrati di cemento a persona. Di fatto, gli umbri ne consumano molto più della media italiana (+42%), anche a parità di prodotto interno lordo (+62%), di addetti dell’industria (+42%) e delle costruzioni (+33%). 

Elaborazione di Altreconomia su dati Ispra

Un aspetto importante da sottolineare è la tipologia di suolo consumato, poiché non si tratta di brownfield, cioè spazi contaminati che vengono bonificati e successivamente edificati, bensì di greenfield, ovvero terreni fertili spesso localizzati in pianura. 

Secondo l’Unione europea il suolo “è uno dei beni più preziosi dell’umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e dell’uomo sulla superficie della terra” (Carta europea del suolo, Art. 1). Si tratta di una risorsa particolarmente importante non solo a livello agricolo ma anche per una vasta serie di ‘servizi’ (cosiddetti ecosistemici) che fornisce gratuitamente, ad esempio produce cibo, regola la temperatura, immagazzina CO2 e produce ossigeno, conserva reperti archeologici e qualifica il paesaggio. Inoltre, regola il ciclo dell’acqua grazie al suo potere tampone che è fondamentale per rallentare il regime delle piogge (un ettaro di suolo sano trattiene circa 38 milioni di litri d’acqua) e per diminuire il conseguente afflusso nei fiumi e torrenti principali, filtrandolo e migliorandone la qualità. Quando perdiamo questa risorsa, lo stesso accade a tutte le funzioni che questa ci offre, dal trattenimento dell’anidride carbonica che con la cementificazione viene emessa in atmosfera, all’infiltrazione di acqua pulita nelle falde, fino alla bellezza del paesaggio e alla possibilità di produrre cibo. 

Osservando quello che sta succedendo in Umbria si rileva una progressiva saldatura insediativa tra i centri urbani principali lungo le direttrici viarie.

Consumo di suolo nel 2022 in Umbria rispetto allo storico. Fonte: Ispra, 2023

Un esempio è rappresentato dall’urbanizzazione perugina, caratterizzata da una crescita edilizia “a macchia d’olio” in particolare nelle aree di Corciano e Ponte San Giovanni. Lo stesso fenomeno sta avvenendo al confine tra i centri di Santa Maria degli Angeli nel Comune di Assisi e Bastia Umbra che costituiscono ormai una città unica.

Riprendendo il rapporto Ispra citato, in termini assoluti, Assisi presenta valori di suolo consumato nel 2022 pari a 1.434 ettari detiene il settimo posto della classifica regionale con in testa i due capoluoghi (Perugia 5.092 ettari e Terni 2.677 ettari). Se analizziamo l’incremento annuale di questo fenomeno dal 202o al 2021, invece, Assisi risulta in nona posizione con cinque ettari in meno rispetto alla capofila Perugia (11 ettari) a cui segue Gualdo Tadino (11 ettari) e Spoleto (10 ettari). Ma se consideriamo la quantità di suolo consumato in relazione all’estensione del territorio comunale, Bastia Umbra risulta prima in classifica con il 26,7% seguita da Corciano (14,82%), Terni (12,62%) e Perugia (11,34%). 

Si tratta di perdite irreversibili ormai note alle istituzioni, e le persone non possono fare a meno di osservare che il “cuore verde” d’Italia sia solo un’immagine sbiadita e intrisa di nostalgia. Le ragioni dietro questo scenario vanno ricercate a partire dalla pianificazione urbanistica. Una prima questione riguarda la dimensione normativa, con un’evidente lacuna a livello nazionale e una disattesa applicazione della disciplina urbanistica regionale, ferma a principi di buon senso senza reali leve attuative fondate sull’efficacia delle azioni nonché sulla promozione e finanziamento di pratiche di rigenerazione urbana diffuse. 

A livello locale, le amministrazioni comunali hanno il potere di decidere, attraverso lo strumento del piano regolatore generale, le scelte edilizie nel proprio territorio. A questa scala vediamo spesso come l’urbanistica diventi un’importante leva in chiave elettorale capace di attirare consensi ma al contempo, in particolare negli anni difficili della crisi economica del decennio scorso, anche un modo per rimpinguare le magre casse attraverso gli oneri di urbanizzazione compensando i tagli da parte dello Stato. Nel tempo, infatti, si è configurata una relazione perversa tra spesa corrente dei Comuni (che finanzia i servizi fondamentali e la spesa sociale) e gli oneri di urbanizzazione, che in assenza di trasferimenti sono stati sempre più utilizzati dai Comuni per pagare le spese con cui realizzare servizi indispensabili o addirittura la manutenzione.

Inoltre, si rileva una contraddizione tra un inarrestabile accumulo seriale di edifici nel tempo a fronte di un diffuso calo demografico che non giustifica più la dissipazione della risorsa suolo compromettendo il futuro del nostro territorio. Come abbiamo visto, cresce di molto il suolo consumato pro-capite -segno che non c’è alcun legame con la demografia- e anche in riferimento all’andamento dell’economia locale. Anche tra i Comuni umbri si rileva una crescita simile nonostante una sostanziale decrescita demografica.

Suolo consumato pro capite e saldo di popolazione 2015-2021 in alcuni comuni umbri

La quantità esponenziale di volumetrie edificabili accumulate nel territorio assume dimensioni paradossali se consideriamo le proiezioni demografiche che vedono in Italia come un Paese in forte contrazione con il tasso di natalità tra i più bassi d’Europa. L’Istituto nazionale di statistica prevede una progressiva decrescita della popolazione residente in Italia da 59,2 milioni nel 2021 a 54,2 milioni nel 2050 fino a 47,7 milioni nel 2070. Inoltre, esiste una vasta risorsa di edifici inutilizzati, che secondo un’indagine Istat ammonta in Umbria a ben 404 ettari, un gigantesco patrimonio urbanizzato, di suolo in buona parte già consumato, che si potrebbe utilizzare come bacino per “assorbire” la domanda di nuove costruzioni per quasi dieci anni (ipotizzando il ritmo attuale): il primo progetto da mettere in campo sarebbe quindi quello di migliorare ed aggiornare la conoscenza di questo patrimonio inutilizzato e di mettere in campo un sistema di regole, incentivi e disincentivi che ne permettano il recupero al posto del nuovo consumo di suolo (come ha scritto Paolo Pileri su Altreconomia). 

Che cosa faremo altrimenti di tutti questi edifici residenziali, capannoni industriali e centri commerciali in futuro che saranno inutilizzati, e con quali ingenti risorse potremo riqualificarli? E ancora, che cosa possiamo fare nell’immediato per evitare questa dissipazione del nostro prezioso suolo? 

A tal proposito prendiamo in esame due aree dell’Umbria per osservare più da vicino come possono configurarsi questi fenomeni di consumo del suolo alla scala locale nell’asse Assisi-Bastia e Ponte San Giovanni-Collestrada, dimostrando, contemporaneamente, come stia emergendo una nuova consapevolezza da parte della società civile con le esperienze del Parco della Piana di Assisi e il movimento Sciogliamo il Nodo di Perugia. A fronte dei dati esposti precedentemente, la pianura tra Santa Maria degli Angeli e Bastia Umbra ha avuto una forte crescita edilizia anche nel corso dell’ultimo ventennio a fronte di un progressivo svuotamento della città storica di Assisi e dei centri della montagna

La saldatura tra le due centralità urbane nella piana si connota per la presenza di interventi attuativi per parti senza un’idea omogenea di città con un’accumulazione ripetitiva di tessuti residenziali, produttivi, centri commerciali di media distribuzione concentrati in senso lineare lungo la strada statale SS 75 che la collega con Perugia e Foligno. Si tratta di processi da contestualizzare nel tempo che oggi, tuttavia, trovano poco senso anche per la già citata contrazione demografica, specialmente per quanto riguarda interventi al di fuori delle aree urbanizzate. Nel caso della conurbazione assisano-bastiola si rileva come nell’attuale conformazione non si tratti di un processo pianificato in modo coordinato tra le due parti quanto di percorsi decisionali totalmente indipendenti.

Processi differenti si osservano nella parte rurale tra il centro di Assisi e Santa Maria degli Angeli in particolare lungo la fascia verde prevista alla fine degli anni Cinquanta dal celebre Piano regolatore di Giovanni Astengo. In questa fattispecie, il consumo di suolo si configura recentemente come pratica di ampliamento di edifici rurali esistenti con demolizione e accorpamento di volumetrie accessorie con discutibili inserimenti nel delicato contesto paesaggistico locale come dimostrato dal caso di Villa Gualdi. 

La moltiplicazione di questi interventi ha stimolato una rete di associazioni locali a proporre una visione alternativa ripensando Assisi e le sue frazioni come un sistema policentrico fatta da una corona di piccoli centri urbani immersi una sorta di tessuto verde fatto di prati, campi coltivati e spazi ormai incolti da ripensare come parco multifunzionale

Progetto rete ciclabile nel Parco della Piana di Assisi a cura di M. Lanfaloni, F. Berni e S. Sagramola

Un grande “infrastruttura verde” che vuole interpretare la pianura da vuoto “divisivo” tra le nostre città a “corpo vivente” che unisce ecologicamente il tessuto insediativo secondo una modalità di difesa attiva del paesaggio. All’interno di un processo attuativo incrementale, il progetto si costituisce di due dimensioni progettuali integrate. La prima è tecnica, con una rete di piste ciclabili e percorsi che completano e potenziano l’assetto attuale ricucendo i centri urbani della piana con una valorizzazione delle emergenze storiche, architettoniche e paesaggistiche. 

Il progetto tecnico parte anche da potenziare l’esistente come per la via Isola Romana, strada carrabile già utilizzata dai cittadini nel fine settimana per fare attività fisica in cui viene proposto l’inserimento di un senso unico di marcia per le auto riservando metà carreggiata per ciclisti e pedoni. Foto di Francesco Berni

E una culturale, con iniziative dedicate alla riscoperta e valorizzazione dei luoghi della piana di Assisi attraverso passeggiate, eventi e pratiche di animazione dello spazio anche finalizzate alla verifica dei percorsi ciclabili e sentieri previsti. La proposta prevede anche una revisione del piano regolatore per l’inserimento di misure restrittive al consumo di suolo. Attualmente l’amministrazione comunale ha deciso di accogliere il progetto della rete ciclabili con il finanziamento di un primo stralcio attuativo.

Foto di Francesco Berni

Per quanto riguarda il perugino, invece, preoccupa fortemente sia il consumo di suolo che si accompagna alla saldatura dei territori occidentali del Comune di Perugia con quelli di Torgiano, sia il progetto di nuove grandi infrastrutture -che peraltro agiscono come precursori di ulteriore degrado del territorio- nella parte Est del Comune.

Per quanto riguarda la parte Ovest, si rileva la proliferazione di medie e grandi nuove strutture commerciali che è andata a consumare notevoli estensioni agricole di pianura, a fronte del permanere di ampie superfici industriali dismesse o sottoutilizzate lungo la direttrice del raccordo Perugia-Bettolle. Questa intensa attività costruttiva è andata a saturare un’area molto rilevante, con un tipo di urbanizzazione completamente orientata all’automobile (si pensi agli enormi parcheggi a raso e alle gigantesche rotatorie) e scarsissima attenzione alla connessione con il trasporto pubblico, con il risultato di congestionare enormemente il traffico nella zona e sul raccordo. 

Saturazione delle aree fertili di pianura nella zona Ovest di Perugia (ortofoto 2005 e 2023 a confronto). Fonte: Google Earth

Per quanto riguarda la parte Est, è possibile rilevare l’ormai quasi avvenuta saldatura tra la zona industriale del Molinaccio e l’abitato di Balanzano, a causa sia della costruzione di nuove grandi superfici industriali e a servizio del traffico (distributori), sia di una nuova lottizzazione residenziale (nella foto sottostante). Ciò avviene nonostante l’ampia disponibilità di aree industriali dismesse o sottoutilizzate e l’esistenza di ben tre progetti residenziali di grandi dimensioni interrotti da oltre un decennio nell’area di Ponte San Giovanni. Nell’area, inoltre, insistono progetti molto rilevanti di nuove funzioni commerciali, tra cui il progetto Ikea che andrebbe a congestionare ulteriormente l’area del centro commerciale esistente, e la nuova grande infrastruttura (peraltro da quest’ultimo scollegata) del cosiddetto “Nodino di Perugia”. Si tratta di un nuovo tracciato della E45 che attraverso sette chilometri di nuova strada collegherebbe direttamente il tratto a Nord di Collestrada con la strada verso Roma all’altezza di Madonna del Piano. Con un costo preventivato di quasi mezzo miliardo di euro e un consumo di suolo previsto (tra tracciato e aree di cantiere) di ben 92 ettari, e conseguenze sul traffico piuttosto esigue previste da Anas, il progetto di quest’opera rischia di lasciare un’impronta molto rilevante su un territorio finora relativamente intatto e caratterizzato da una Zona di Protezione Speciale (il Bosco di Collestrada) e aree agricole definite “di pregio” a sinistra del Tevere. Oltre che di spingere ulteriormente un sistema infrastrutturale tutto basato sul trasporto su gomma. 

Saldatura dei tessuti industriali e residenziali e proiezione di consumo di suolo dell’opera ‘Nodino di Perugia’ nell’Est di Perugia (ortofoto 2007 e 2021). Fonte: elaborazione su Google Earth

In reazione a quest’ultimo progetto, è nato un coordinamento di cittadinanza e associazioni che sta promuovendo un processo di difesa attiva del territorio attraverso opere legali e informative e iniziative di promozione della cultura e del territorio. Simbolicamente legato al borgo medievale di Collestrada, il coordinamento Sciogliamo il Nodo di Perugia è andato sviluppando un discorso ampio e strategico che va oltre la contestazione dell’opera per osservare criticamente i più ampi processi che stanno cambiando i connotati di questa parte della città. Si tratta, a tutti gli effetti, di azioni di difesa attiva di un pezzo di territorio che rischia altrimenti di venire sacrificato a miopi scelte infrastrutturali e di pianificazione.

In conclusione, la campagna pubblicitaria della Regione che richiama la vocazione ambientale dell’Umbria non collima con la realtà fatta spesso di interventi che impermeabilizzano i suoli e limitano la loro capacità tampone di assorbire e trattenere l’acqua, rischiando di generare seri problemi di carattere idrogeologico e un’eredità insostenibile come quantità di costruito superfluo da gestire per le prossime generazioni. In questo scenario complesso emergono tuttavia segnali incoraggianti con pratiche di cittadinanza attiva che in varie forme e articolazioni mostrano traiettorie possibili come semi che possano germogliare in futuro. Questo aspetto richiama a una questione prima di tutto culturale verso cui anche le istituzioni pubbliche devono convergere sostenendo modalità di intervento fondate sul principio di sostenibilità e promuovendo pratiche dal basso e la loro scalabilità.

Marco Peverini è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, dove nel 2022 ha conseguito il dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy, con una borsa sostenuta dal Consorzio Cooperative Lavoratori di Milano. Si occupa della relazione tra politiche abitative e città, con particolare riferimento al tema dell’housing affordability, e dal 2022 è ricercatore nell’Osservatorio Casa Affordable (OCA) di Milano Metropolitana. È membro del Collettivo per l’Economia Fondamentale e co-coordinatore del gruppo Social housing: institutions, organisation, and governance dell’European Network for Housing Research (ENHR)

Francesco Berni è esperto in politiche di rigenerazione urbana e innovazione sociale e svolge attività di consulenza per enti pubblici e privato. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Urbanistica presso l’Università degli studi di Firenze. Si occupa del coordinamento della rete di associazioni per la realizzazione del Parco della Piana di Assisi

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