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Ambiente / Approfondimento

Il “cuore verde” d’Italia è malato. L’Umbria di cemento ora punta su una nuova bretella

Nell’ultimo anno in Umbria sono stati consumati 44,5 ettari di suolo, quasi 90 campi da calcio. Con 515 metri quadrati di suolo mangiato per abitante nel 2021 è la quinta peggior Regione. E in questo contesto s’inserisce il nuovo progetto di un bypass autostradale del tratto umbro della E45. Le ragioni dei comitati contro il “Nodino”

La patologia che affligge l’Umbria riguarda il consumo di una delle risorse più soggette a esaurimento (e non importabili o sostituibili) della nostra era: il suolo. Risorsa fondamentale per gli organismi biologici che abitano sulla Terra, il suolo fornisce le materie prime essenziali per la vita sulla Terra ma anche per lo sviluppo economico e sociale. A causa dei lunghi tempi di formazione, questa risorsa è considerata limitata e non rinnovabile. È quindi importante gestirne il consumo per proteggere l’ambiente e le forme di vita che lo popolano e, in ultima analisi, per noi. 

Come riporta la Carta europea del suolo, redatta dal Consiglio d’Europa già nel 1972, il suolo “è uno dei beni più preziosi dell’umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e dell’uomo sulla superficie della terra” (Art. 1). È un corpo vivo che dispensa gratuitamente servizi. Come ci ricorda il lavoro del professor Paolo Pileri, produce nutrienti e cibo riciclando escrementi, regola la temperatura, immagazzina CO2 e produce ossigeno e infine regola il ciclo dell’acqua, in quanto un ettaro di suolo trattiene circa 38 milioni di litri, e la sua qualità. 

Il suolo è la materia oscura della biodiversità in quanto tra i suoi pori contiene l’80% del carbonio terrestre e ben il 25% delle specie (Dasgupta (2021), The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review). Un suolo in salute, tra le altre cose, ci permette di produrre cibo -il 99% delle nostre calorie alimentari viene dal suolo (Pimentel, Burgess (2013), “Soil Erosion Threatens Food Production”)- e farmaci -il 60% dei farmaci ha origine nel suolo (Pepper et al. (2009), “Soil: a public health threat or savior?”), immagazzinare anidride carbonica e filtrare e immagazzinare l’acqua. Una delle migliori tecnologie (non umane) di cui disponiamo. Inoltre, in quanto componente del paesaggio urbano e rurale, un suolo verde, agricolo o naturale ha un valore ricreativo e salutare evidente a tutti (soprattutto nei giorni più caldi o di isolamento dei lockdown pandemici). Ha anche valore cognitivo, morale e pedagogico. 

Come riporta openpolis, l’aumento delle aree urbane è una delle principali cause dell’aumento dell’occupazione artificiale del suolo. Quando urbanizziamo -e quindi consumiamo suolo- perdiamo i valori associati a un suolo sano, insieme ai servizi che ci offre gratuitamente (e che costituiscono la base dello sviluppo umano). Sempre più studi stanno cercando di quantificare in termini economici il costo legato alla perdita dei servizi offerti dal suolo. Ad esempio, regolare l’acqua in un ettaro di suolo impermeabilizzato costa 6.500 euro l’anno, un costo che generalmente viene pagato da tutta la collettività, e che in certi casi non è sufficiente a coprire la perdita di “servizi” di filtrazione e trattenimento dell’acqua. Gli effetti devastanti dell’alluvione in Emilia-Romagna sono solo un capitolo di una storia destinata purtroppo a peggiorare, ma ci mostrano con evidenza uno dei danni del consumo di suolo: uno artificiale non rallenta né assorbe l’acqua piovana ma la “spara” con velocità verso torrenti e fiumi che quindi si riempiono più rapidamente.

Il consumo di suolo è il passaggio da una superficie non artificiale a una artificiale. In Italia esiste una classificazione precisa dei casi più comuni in cui si determina consumo di suolo, adottata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che è l’ente competente in tal senso. Il consumo di suolo è pressoché irreversibile. La natura impiega circa 100, 200 anni a formare uno strato di un centimetro di suolo. Quindi, gli ettari di consumo di suolo ogni anno ingrossano la quantità di quello consumato in modo sostanzialmente irreversibile. Si tratta di una risorsa perduta di fatto per sempre. Al 2021, il 7,13% del suolo italiano è stato consumato e ogni cittadino italiano conta in media 366 metri quadrati di solo consumato sotto di sé. 

Nell’ultimo anno, in Umbria sono stati consumati 44,5 ettari di suolo: l’equivalente di circa 90 campi da calcio. Questo dovrebbe farci riflettere, soprattutto se si mette in relazione il consumo di suolo con le dinamiche demografiche ed economiche. Come riporta Legambiente, in nove anni, dal 2012 al 2021 l’Umbria ha avuto un incremento del consumo di suolo di 1.027 ettari che equivale ad aver occupato con strade ed edifici una superficie poco più grande dell’intero Comune di Piegaro (Perugia). Questo incremento del consumo di suolo non può essere giustificato per un aumento del numero di abitanti, che invece diminuiscono progressivamente negli anni fino ad arrivare a 865.452 residenti (dato Istat 2020), 20.787 residenti in meno dal 2012 al 2020. Infatti, il numero di ettari di suolo consumato è superiore alla media italiana sia per numero di abitanti (40% in più), sia per Prodotto interno lordo (74% in più), sia per numero di addetti dell’industria (40% in più), sia per addetti delle costruzioni (35% in più). 

DATI ISPRA 2022 Suolo consu-mato pro capite

2020

(m2/ab)

Suolo consu-mato pro capite

2021

(m2/ab)

Suolo consumato 2021 (ha/mln € di PIL) Suolo consumato 2021 (ha/addetto industria) Suolo consumato 2021 (ha/addetto costruzioni)
Umbria 511 515 2,09 0,80 2,18
ITALIA 362 366 1,20 0,57 1,62

L’edificazione indiscriminata, come visibile da questi dati, ha portato l’Umbria a essere una delle Regioni italiane peggiori per suolo consumato. In Umbria al 2021 si contano 515 metri quadrati di suolo consumato per abitante, che la portano a essere la quinta Regione italiana peggiore in questo indicatore. Gli umbri, potremmo dire, sono particolarmente “dissoluti” nel consumare una risorsa preziosa come il suolo: ogni umbro ha sotto i suoi piedi una quantità di suolo consumato del 40% superiore rispetto alla già elevata media italiana.

Se poi si guarda a dove il consumo di suolo è avvenuto si può vedere come questo sia stato connesso a dinamiche di sprawl (o dispersione) degli insediamenti residenziali e produttivi, oltre che al proliferare indiscriminato di grandi e medi contenitori commerciali, e ultimamente di logistica, mentre l’abusivismo resta marginale. Un fenomeno che ha portato l’Umbria ai vertici per tasso di motorizzazione -con 747 auto ogni 1.000 abitanti è una delle Regioni peggiori in Europa (come riporta Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea)- e per chilometri di strade costruite -con 5,85 chilometri di strade per 1.000 abitanti è la quinta peggiore Regione italiana. 

Il Comune di Perugia, capoluogo della Regione, conta 5.092 ettari di suolo consumato al 2021 (cioè 10.000 campi da calcio). Nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili (Ispra, 2022) nel Comune di Perugia sono stati consumati 12,87 ettari di suolo (circa 26 campi di pallone). Perugia nel 2021 è stato il 17esimo Comune italiano per nuovo suolo consumato nel 2021 (in valore assoluto). Inoltre, nel 2021 è stata la quinta città capoluogo di Regione per consumo di suolo, le uniche peggiori in termini assoluti sono state Roma, Venezia, Napoli e Milano. 

Questo aumento di suolo consumato non si può nemmeno argomentare con un aumento di popolazione: infatti è diminuita in sette anni di oltre 3.700 residenti. Se andiamo a guardare il trend di suolo consumato pro-capite in alcuni Comuni del perugino -Perugia, Corciano, Torgiano, Assisi, Bastia Umbra-, possiamo vedere come questo -per via del consumo di suolo annuale e della tendenziale perdita di residenti- salga inesorabilmente ogni anno. Tra il 2015 e il 2021 il suolo consumato pro-capite in questi Comuni è aumentato di una cifra che varia da cinque a 17 metri quadrati. A fronte di queste cifre che dovrebbero far quanto meno preoccupare tutti i cittadini, ulteriori progetti rischiano nell’immediato futuro di aggravare il già troppo alto tasso di consumo di suolo derivante dalla prassi urbanistica.

Tra queste, si può senz’altro annoverare una nuova grande opera: il progetto di un bypass autostradale di sette chilometri del tratto umbro della E45 (la superstrada che collega Orte a Cesena) quando questa incontra il tracciato trasversale che invece collega Foligno a Bettolle. Un incrocio di flussi noto come “nodo di Perugia”. Questo progetto è noto come “Nodino”, e per collegare lo svincolo di Collestrada al tratto di E45 di Madonna del Piano, attraversa due Zone speciali di conservazione (Zsc), il Bosco di Collestrada -rarissimo residuo dell’antica macchia boschiva che ricopriva l’intera area a valle di Perugia nella preistoria, attenzionato recentemente anche dal Fondo ambiente italiano (Fai)- e l’Ansa degli Ornari -area formata da una curva del fiume Tevere caratterizzata da ampia presenza di volatili migratori.

In particolare, l’opera risulta molto invasiva per il Bosco di Collestrada, che ne sarebbe attraversato in parte in galleria e in parte in superficie, con conseguenze per l’acqua di falda, l’inquinamento e la distruzione di parte del bosco. Si tratta, nelle intenzioni dell’amministrazione regionale, del primo stralcio di un più complesso progetto di “Nodo di Perugia”. Tavole dettagliate del progetto sono disponibili qui. 

La “bretella” autostradale

A detta dell’attuale amministrazione regionale, questo progetto -neanche troppo nuovo, visto che è nel cassetto dagli anni Ottanta- dovrebbe risolvere le code che si formano regolarmente nelle ore di punta della mattina e del pomeriggio agli svincoli tra questi tracciati, permettendo così al flusso di attraversamento Orte-Cesena di non ingolfare più il traffico nelle altre direttrici. Peccato che, secondo stime effettuate per il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) del Comune di Perugia, il flusso di attraversamento sul nodo di Perugia rappresenti solo il 10% del traffico totale, che è in grandissima parte dovuto a spostamenti interni all’area urbana o di scambio pendolare tra area urbana e hinterland. “L’analisi mostra che la viabilità analizzata viene utilizzata solo per l’10% da traffico di attraversamento (flussi che non sono destinati né originati dal comune di Perugia‐Corciano). Il 90% del traffico è costituito dalla componente originata e/o diretta a questi Comuni”, come riporta il Piano urbano della mobilità della città di Perugia.

Fonte: Pums Comune di Perugia

Un recente rilevamento effettuato da Anas per lo studio di fattibilità del Nodino conferma queste cifre e riconosce che “con il solo scenario 2 (Nodino), non ci sono modificazioni di sorta sul raccordo autostradale Bettolle-Perugia, sia per i mezzi leggeri sia pesanti” (Anas, Studio di traffico, Giugno 2021, p. 20). Esiste invece un progetto, su cui si lavora almeno dal 2018 ma che non ha mai preso avvio, che tramite il raddoppio delle rampe di collegamento dello svincolo permetterebbe di alleggerire significativamente le code attuali, posto che l’obiettivo di lungo termine dovrebbe essere in realtà quello di riduzione del numero drammaticamente alto di veicoli circolanti e delle strade, che sono impattanti e costose da mantenere. 

A fronte di una conclamata inutilità del progetto dal punto di vista trasportistico (e della presenza di un’alternativa facilmente realizzabile), la realizzazione del Nodino avrebbe un impatto devastante sul consumo di suolo, aggravando una situazione che, come abbiamo visto, è già pessima. La realizzazione del Nodino, infatti, tra opere e aree di cantiere comporterebbe un consumo di nuovo suolo agricolo o naturale che è stato stimato in circa 92 ettari. Insistendo quasi totalmente sul territorio del Comune di Perugia, la sola realizzazione di un’opera come il Nodino comporterebbe in un’unica mossa di consumare tanto suolo quanto con la prassi scriteriata attuale si consuma in sette anni.

Volendo spalmare il consumo di suolo negli anni che secondo le stime regionali saranno impiegati per la realizzazione del Nodino, e ipotizzando che il Comune di Perugia continui a consumare circa 13 ettari di suolo l’anno, il Nodino raddoppierebbe questa cifra, facendo arrivare il nuovo consumo di suolo annuale nel comune di Perugia a 26 ettari.

Su quest’opera la Giunta che governa la Regione Umbria sta puntando molto -soprattutto per mano dell’assessore regionale con delega alle Infrastrutture e i Trasporti, Enrico Melasecche, che ci sta letteralmente mettendo la faccia- e conta di portare il Governo Meloni a mettere mezzo miliardo di euro (è il costo stimato ai valori attuali). Per fare un confronto, il raddoppio delle rampe ha un costo preventivato di un decimo e un consumo di suolo trascurabile. 

Fortunatamente esiste un coordinamento di comitati che, sotto lo slogan “Sciogliamo il nodo di Perugia” si oppone fermamente alla realizzazione dell’opera. Il coordinamento, tacciato dall’assessore regionale Melasecche di tener l’intera Regione sotto lo scacco del traffico, promuove in realtà attività di informazione e mobilitazione per portare la cittadinanza e gli amministratori a capire il grave errore che la Regione Umbria sta commettendo. Nel silenzio della politica e nel rilancio acritico dei comunicati regionali di buona parte della stampa, il coordinamento nei suoi oltre due anni di attività si è spinto fino a proporre e studiare alternative, come il raddoppio delle rampe di immissione già citato. 

A inizio giugno il coordinamento ha animato una giornata di riflessione e mobilitazione nel borgo medievale di Collestrada, antico lebbrosario adiacente al Bosco di Collestrada e a un tracciato della Via Francigena: uno di quei pezzi di paesaggio agricolo e medievale che rendono unica l’Umbria, minacciato a partire dagli anni Novanta dalla costruzione del più grande centro commerciale della Regione. Alla manifestazione sono stati coinvolti docenti e ricercatori, tra cui il professor Mariano Sartore dell’Università di Perugia che ha ben descritto le perverse dinamiche di urbanizzazione in Umbria, ma anche artisti e cittadini che hanno offerto le loro capacità (artistiche, musicali, organizzative) per discutere e manifestare un sano dissenso.

Il coordinamento ha promosso e promuove ancora oggi anche una petizione contro il Nodino che richiama al rischio che questo paesaggio venga distrutto. Ha già superato 15mila firme. E l’attenzione critica verso il progetto del Nodino sta crescendo, insieme all’intensità di eventi e comunicazioni promossa dal coordinamento, nonostante la maggior parte dei partiti locali perseverino in un insostenibile silenzio-assenso che è sfociato in votazioni sempre largamente favorevoli all’opera quando c’è stata l’occasione.

Marco Peverini è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, dove nel 2022 ha conseguito il dottorato di ricerca in Urban Planning, Design and Policy, con una borsa sostenuta dal Consorzio Cooperative Lavoratori di Milano. Si occupa della relazione tra politiche abitative e città, con particolare riferimento al tema dell’housing affordability, e dal 2022 è ricercatore nell’Osservatorio Casa Affordable (OCA) di Milano Metropolitana. È membro del Collettivo per l’Economia Fondamentale e co-coordinatore del gruppo Social housing: institutions, organisation, and governance dell’European Network for Housing Research (ENHR).

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