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Diritti / Approfondimento

La “solitudine” dei giornalisti che svelano malaffare e corruzione

Daphne Caruana Galizia assassinata a Bidnija, un villaggio a meno di 20 chilometri da La Valletta, il 16 ottobre 2017 da una bomba nascosta nella sua automobile. Le sue inchieste hanno rivelato per anni gli scandali della corruzione a Malta © PippaZammitCutajar

Un procedimento davanti al Tribunale permanente dei popoli vuole far luce sulle responsabilità degli Stati nella mancata protezione dei cronisti sempre più esposti a minacce e violenze. La sentenza è attesa nel mese di maggio 2022

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022

“Mia sorella Daphne Caruana Galizia ha rivelato per anni gli scandali della corruzione a Malta. Ha svelato il nesso tra potere politico, affari e criminalità finanziaria. Non si è mai lamentata del suo lavoro”, spiega ad Altreconomia Corinne Vella che fa parte della fondazione nata dopo la morte della reporter, assassinata a Bidnija il 16 ottobre 2017 da una bomba nascosta nella sua automobile. “Pubblicava le storie sul suo blog e tutti gli articoli rimangono online. Sono un’eredità e una risorsa per i giornalisti che hanno ripreso i fili del suo lavoro”. Daphne Caruana Galizia è una dei 990 giornalisti e operatori dell’informazione uccisi per il loro lavoro tra il 2010 e il 2020, secondo i dati di Reporter senza frontiere, organizzazione in difesa della libertà di stampa. Nel 2021 sono stati 46. Nella quasi totalità dei casi, i crimini rimangono impuniti: le responsabilità penali, civili e amministrative di chi commette gli omicidi non vengono indagate o sanzionate. È anche la storia della giornalista maltese. 

“A oggi sono in corso tre diversi procedimenti penali nei confronti di tre uomini accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio -prosegue Corinne Vella-. Uno di loro si è dichiarato colpevole in cambio di una riduzione della pena. Un secondo è stato arrestato nel novembre 2019 ed è stato incriminato con l’accusa di aver commissionato l’omicidio. All’inizio del 2021, altri due uomini sono stati chiamati in giudizio accusati di avere fornito la bomba. Nessun processo è iniziato ed è improbabile che si avvierà almeno fino al secondo trimestre del 2022. Finora non ci sono azioni penali per nessuno degli episodi di corruzione politica denunciati da Daphne. Rimangono liberi gli attori principali come Joseph Muscat, che era primo ministro nel momento dei fatti, Keith Schembri, suo capo di gabinetto, e Konrad Mizzi, responsabile di importanti progetti finanziati con fondi pubblici. Uno di questi, il progetto di un gasdotto, è legato all’omicidio di Daphne”.

Quando è stata assassinata, contro la giornalista pendevano 42 Slapp -acronimo di Strategic lawsuit against public participation– azioni legali, spesso infondate, che hanno l’obiettivo di silenziare voci critiche isolandole e limitandone la partecipazione alla sfera pubblica. “Gli Stati dovrebbero proteggere i giornalisti da questi ricorsi perché sono obbligati a tutelare il diritto alla libertà di espressione e alla conoscenza. È necessaria una legislazione che vi metta fine -continua Galizia-. Insieme a diverse organizzazioni, la Fondazione Daphne Caruana Galizia sta portando avanti una campagna per ottenere una direttiva dell’Ue e una raccomandazione del Consiglio d’Europa che spingano i singoli Paesi a contrastare queste minacce”. 

La storia di Daphne Caruana Galizia è stata ricordata da Reporter senza frontiere, Comittee to protect journalists e Free Press Unlimited quando nel novembre 2021 hanno presentato un atto di accusa al Tribunale permanente dei popoli -tribunale di opinione internazionale competente a pronunciarsi sui crimini commessi contro popoli e minoranze- per fare luce sulla situazione. Le tre organizzazioni hanno denunciato le violazioni sistematiche dei diritti umani fondamentali dei giornalisti tra cui il diritto alla vita, a non subire comportamenti inumani o degradanti e ad avere un ricorso effettivo davanti a un’autorità sanciti dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. Hanno inoltre sottolineato come l’impunità sia un problema sistemico degli Stati, sia dittature sia democrazie, che non onorano gli obblighi di proteggere gli operatori dell’informazione e di indagare quando subiscono attacchi e minacce, compromettendo così la capacità di una società di informarsi. Le responsabilità statali per avere fallito nel rispettare e proteggere la libertà di stampa sono infatti raramente sanzionate e nel caso di una sentenza non se ne dà esecuzione.

“Gli Stati dovrebbero proteggere i giornalisti perché sono obbligati a tutelare il diritto alla libertà di espressione e alla conoscenza” – Corinne Vella

Le cause variano in base ai singoli Paesi ma, denunciano i ricorrenti, hanno alla base lo stesso meccanismo: la mancanza di capacità e volontà di condannare e perseguire la collusione delle autorità con la criminalità organizzata, i gruppi armati, gli autori di corruzione e disuguaglianze. Sono spesso i giornalisti d’inchiesta a essere colpiti e a diventare un target. A rappresentare la situazione globale sono stati presentati i casi di tre giornalisti sui quali dovrà esprimersi la giuria del Tribunale, composta da avvocati, giuristi ed esperti dei diritti umani: Lasantha Wickrematunge, Nabil Walid Al-Sharbaji e Miguel Angel Lopez Velasco. Wickrematunge è stato assassinato l’8 gennaio 2009 nello Sri Lanka; il reporter, co-fondatore e direttore del settimanale The Sunday Leader, era una delle principali voci critiche dei vertici della politica. Il giornalista e attivista siriano Nabil Walid Al-Sharbaji, conosciuto per avere documentato le proteste in piazza contro il regime di Bashar al-Assad nel 2011, è stato arrestato senza un’accusa formale, torturato e assassinato.

Sono 163 i casi di delitti di giornalisti in Colombia tra il 1977 e il 2021 registrati dalla Fundacion para la libertad de prensa (Flip). La fondazione ha aperto un archivio online dove raccoglie le storie dei giornalisti uccisi, il loro lavoro e dà indicazioni sui procedimenti giudiziari

Il giornalista d’inchiesta Miguel Angel Lopez Velasco -che si occupava di criminalità organizzata e traffico di droga- è stato ucciso in Messico insieme a sua moglie, Augustina Solana, e suo figlio, Misael, il 20 giugno 2011. Aveva ricevuto minacce di morte nello Stato di Veracruz, luogo in cui viveva e dove tra il 2000 e il 2006 si è consumato il 20% degli omicidi dei giornalisti avvenuti nel Paese. “Secondo quanto possiamo dedurre da ciò che hanno presentato i ricorrenti, tra le storie sembra esserci un elemento comune: tutti stavano investigando contro attori potenti”, spiega Eduardo Bertoni, rappresentante dell’Ufficio regionale per il Sudamerica dell’Istituto interamericano dei diritti umani, membro della giuria. “Il nostro lavoro consisterà nel valutare le prove che il pubblico ministero, per conto delle organizzazioni richiedenti, presenterà durante le udienze. Emetteremo una decisione sulla responsabilità dello Stato per non aver impedito o non aver indagato sugli omicidi. Per il nostro verdetto saranno molto importanti le testimonianze dei periti e anche, quando sarà possibile, quelle delle famiglie delle vittime. L’obiettivo è che la nostra decisione finale incoraggi la comunità internazionale ad agire per affrontare il problema del numero crescente di giornalisti uccisi”. La prima delle tre udienze si è svolta il 12 e 13 gennaio, mentre le prossime si terranno a febbraio (16-17) e marzo (23-24). La sentenza sarà emessa all’Aja a maggio 2022. 

“L’impunità verso i crimini commessi contro la stampa ha la conseguenza di produrre un ambiente che permette le aggressioni” – Raissa Carrillo

“L’impunità verso i crimini commessi contro la stampa ha la conseguenza di produrre un ambiente che permette le aggressioni. La mancanza di sanzioni genera un effetto inibitorio e spinge all’autocensura”, spiega Raissa Carrillo, avvocata e coordinatrice dei progetti per la protezione e difesa legale degli operatori dell’informazione della Fundacion para la libertad de prensa (Flip), organizzazione che tutela la libertà di stampa in Colombia. Flip ha registrato 163 casi di omicidi avvenuti nel Paese dal 1977 al 2021. Nel 78,8% dei casi, non ci sono condanne. “Possiamo rintracciare una serie di ostacoli. In primo luogo le indagini sono carenti e non approfondiscono il legame del delitto con la professione giornalistica, aspetto cui si aggiunge la mancata conoscenza delle norme sulla libertà di espressione sia da parte di chi porta avanti le indagini sia dei giudici -prosegue Carrillo-. Inoltre in un Paese dalla geografia così complessa è difficile raccogliere prove e ci sono spesso ritardi giudiziari che danneggiano le indagini, al pari dell’assenza di coordinamento tra le diverse autorità. Il compito dello Stato è prevenire e investigare ma le sue misure sono poco efficaci”. Flip cura un archivio online dove raccoglie le storie dei giornalisti uccisi e dà indicazioni sui processi. Uno dei casi seguiti è quello di Oscar García Calderón, giornalista de El Especator ucciso nel 1994 a Bogotà, che stava indagando sui legami tra il traffico di droga e le corride. È stato costretto a salire su un taxi e assassinato con tre colpi di pistola. Dopo quasi 30 anni i mandanti non sono stati perseguiti. 

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