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Diritti / Inchiesta

La fine del canone concordato: l’ultimo capitolo della crisi abitativa

Un corteo contro gli sfratti e le politiche del Comune di Milano. I nuovi accordi sul “concordato” aumentano di circa il 25/30% l’importo del canone © Ansa/Matteo Corner

Tra i pochi fattori regolatori rimasti nella “liberalizzazione” del mercato delle locazioni, viene spesso proposto come via per rispondere agli squilibri nell’accesso alla casa. Da Roma a Milano, però, non sembra più efficace

Tratto da Altreconomia 276 — Dicembre 2024

Il “canone concordato” non riesce più a mettere un freno alla folle crescita degli affitti nelle grandi città italiane, inarrivabili anche per il “ceto medio”. Da Napoli a Torino passando per Firenze e Roma si moltiplicano le testimonianze di chi riceve proposte insostenibili di rialzo del canone di locazione senza alcuno strumento efficace di contrattazione. “È un’emergenza nazionale e ogni giorno che passa senza una riforma strutturale la situazione si aggrava. Lo Stato deve tornare a essere protagonista nel controllo del mercato delle locazioni”, spiega Emiliano Guarneri, già segretario nazionale del Sindacato unitario nazionale inquilini e assegnatari (Sunia).

Introdotto nel 1998 nel processo di “liberalizzazione” del mercato delle locazioni, il “canone concordato” è l’unico elemento regolatorio. Prevede infatti vantaggi fiscali principalmente per il locatore, a fronte di un contratto con importi calmierati, stabiliti a livello comunale grazie ad accordi siglati tra le associazioni di proprietari e quelle degli inquilini. Sulla carta questa previsione permette di mantenere la contrattazione entro determinati paletti e anche per questo motivo, negli ultimi anni, la strada del concordato è stata proposta diverse volte come via preferenziale da seguire per tentare di dare una risposta alla crisi abitativa che colpisce le grandi città italiane.

Da un lato perché dovrebbe, grazie alle agevolazioni fiscali, ridurre la fuga dei proprietari verso il mercato degli affitti brevi, dall’altro perché riuscirebbe a preservare una fetta di mercato immobiliare a prezzi contenuti di locazione. Anche per quel ceto medio che oggi fatica a trovare soluzioni sostenibili. Ma ciò che sta succedendo in tre grandi città italiane sembra smontare l’efficacia di questa soluzione.

A Milano nel quartiere popolare Giambellino, l’Immobiliare San Carlo Trieste Spa è proprietaria di 37 edifici che sorgono tra piazza Frattini e via d’Alviano. Dal 2018 oltre mille famiglie residenti nei palazzi godono di un contratto a canone concordato: una boccata d’aria fresca in una città sempre più escludente. L’arrivo della metropolitana con la conseguente rivalutazione della zona spinge però la proprietà a chiedere nell’aprile 2024 un aumento di circa il 30% del canone. Un colpo per le famiglie residenti, che scendono in piazza a protestare, reso però possibile dal nuovo accordo siglato il 27 luglio 2023 dal Comune di Milano, che aumenta di circa il 25/30% i tetti massimi per gli importi del concordato. “Una vittoria per tutti”, aveva dichiarato l’allora assessore alla Casa Pierfrancesco Maran, oggi parlamentare europeo. Non è andata così.

3+2 è la durata del concordato, rispetto agli otto anni del canone libero (4+4). Questo aumenta nel tempo i momenti possibili di contrattazione in presenza di una sempre più marcata asimmetria negoziale

Tra aprile e giugno 2024, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia delle Entrate, il canone annuo totale generato dai contratti siglati a Milano in concordato è aumentato del 200% rispetto allo stesso periodo del 2023. Se è vero che cresce anche il numero di contratti (+153%) resta un dato significativo che racconta come la vicenda dell’Immobiliare San Carlo non sia affatto un caso isolato. “Lo registriamo in diverse zone e per gli inquilini è una situazione difficile -racconta Mattia Gatti, referente del Sindacato inquilini casa e territorio (Sicet)-. Così il concordato rischia di diventare uno strumento che redistribuisce la ricchezza più verso l’alto, grazie alle agevolazioni fiscali, che verso il basso”. Inoltre la durata del concordato a cinque anni (3+2), rispetto agli otto del canone libero (4+4), aumenta nel tempo i momenti possibili di contrattazione in presenza di una sempre più marcata asimmetria negoziale.

“Il concordato rischia di diventare uno strumento che redistribuisce la ricchezza più verso l’alto, grazie alle agevolazioni fiscali, che verso il basso” – Mattia Gatti

“È un dato che teniamo monitorato da anni e siamo molto preoccupati -racconta Andrea Scaleggi della Cooperativa sociale ‘La Cordata’-. Per vedere come andrà a finire a Milano basta guardare, per esempio, a che cosa succede in Brianza dove i nuovi valori del concordato sono in vigore da più di tre anni: oggi le strutture tecniche dei Comuni indicano che il canone concordato e quello libero sono pressoché sovrapponibili. Un paradosso perché oltre a non essere più accessibile per una determinata popolazione, il costo per lo Stato cresce enormemente in termini di mancato gettito fiscale”. Un’amara realtà di cui anche il Comune di Milano sembra aver preso coscienza. A fine ottobre 2024 nel “piano casa” siglato dal nuovo assessore Guido Bardelli, succeduto a Maran, si legge che il concordato “sconta canoni di locazione poco sostenibili per la fascia cosiddetta ‘grigia’”. Nel capoluogo lombardo tra aprile e giugno 2024 solo il 10% delle nuove locazioni era in regime agevolato. Si potrebbe pensare, quindi, che la “fine” del concordato sia dovuta dal fatto che questo strumento non ha mai realmente funzionato. Ma anche a Roma, dove gli immobili dati in locazione con questa modalità sono da sempre maggioritari si registra una importante diminuzione. Sempre secondo i dati dell’Agenzia dell’Entrate, nei primi sei mesi del 2024 i nuovi contratti in convenzionato sono diminuiti circa dell’11%. Nella capitale sembra che neanche questa forma regga il colpo, fiaccata anche dall’onda lunga del Giubileo indetto da papa Francesco, pronto a prendere il via il 24 dicembre 2024.

Uno scorcio della città di Roma vista dal Vaticano. Nei primi sei mesi del 2024 i nuovi contratti in convenzionato sono diminuiti circa dell’11%. Nella capitale sembra che neanche questa forma regga il colpo, fiaccata anche dall’onda lunga del Giubileo © Stock Adobe

“Negli ultimi tre mesi la situazione è ulteriormente peggiorata -spiega Enrico Puccini, presidente dell’Osservatorio Casa Roma-. Praticamente è impossibile trovare nuove case in affitto, crescono le “fine locazione” dovute a richieste di aumenti del canone così come giustificate dalla volontà del proprietario di ‘virare’ sul mercato degli affitti brevi. Purtroppo, però, i dati scarseggiano e continuiamo a parlare di sensazioni e riscontri empirici ma senza avere la forza delle statistiche”. Puccini si riferisce, ad esempio, all’impossibilità di conoscere quante pratiche di “Segnalazione certificata di inizio attività (Scia)”, necessarie per poter dare in locazione turistica il proprio immobile, sono state presentate al Comune di Roma. “Le stime su quello che sta succedendo ora saremo in grado di averle fra sei mesi quando sarà troppo tardi -sottolinea Puccini-. Serve un osservatorio sull’abitare che metta insieme tutte le banche dati pubbliche per poter elaborare strategie efficaci. Mancano anche i dati sul numero di inquilini che hanno dovuto rinunciare alla casa in cui erano in affitto perché il proprietario ha rilanciato un canone troppo alto”.

Un’indicazione, seppur molto parziale, arriva dalle statistiche del ministero dell’Interno sul numero di provvedimenti di sfratto per fine locazione emessi in Italia. Queste statistiche infatti fotografano proprio quei casi di inquilini che rifiutano la nuova offerta al rialzo del proprietario oppure il cambio di destinazione dell’immobile, magari nel mercato delle locazioni turistiche. Ebbene tra il 2021 e il 2023 a fronte di una riduzione del 5% dei provvedimenti emessi per morosità si registra un aumento del 44% di quelli per fine locazione. Dei 3.347 sfratti richiesti la quasi totalità (3.093) si registra nelle grandi città: Napoli è seconda per numero totale (490) ma prima per distacco in termini di aumento percentuale che è dell’81% in tre anni. “Dati che confermano quanto avviene in città dove la turistificazione riduce gli immobili a disposizione -spiega Alfonso Amendola, referente regionale del Sicet-. Il processo di espulsione dei residenti da zone come i Quartieri spagnoli è ormai un’amara realtà con un conseguente svilimento anche socioculturale di quelle zone”. Non solo: tra aprile 2023 e aprile 2024, secondo i dati di Immobiliare.it, l’aumento medio degli affitti nel capoluogo campano è stato di quasi il 13%. “Per molte famiglie è impossibile stare dentro a quei prezzi -riprende Amendola-. Nella città la maggioranza dei contratti era in regime di concordato ma spesso oggi non c’è alcun interesse a seguire quella via perché l’agevolazione fiscale non è vantaggiosa”. Anche per il fatto che la “cedolare secca”, introdotta nel 2011, prevede una tassazione fissa al 21% che riduce la distanza con le agevolazioni previste dal concordato ad appena 11 punti percentuali, una differenza spesso “superata” dalla crescita vertiginosa del canone.

Il 10% è la tassazione prevista dal canone concordato: l’11% in meno di quella garantita dalla cedolare secca

La “fine” del concordato non nasce, però, dal nulla ed è quasi scontata sotto certi aspetti, visto il mercato immobiliare “impazzito”. Fin dalla sua introduzione, infatti, sembrava un’arma spuntata nelle mani del sistema pubblico. “Viene introdotto dopo una serie di riforme che avevano sancito la progressiva uscita del ‘pubblico’ dal controllo del mercato delle locazioni iniziata nel 1992, quando viene mandato in soffitta l’equo canone e si inserisce un meccanismo di negoziazione tra privati che viene ulteriormente rinforzato con le nuove norme del 1998 -spiega Emiliano Guarneri di Sunia-. La possibilità di optare per il canone libero lascia al proprietario un’arma in più: la contrattazione tra associazione dei proprietari e inquilini è sempre limitata, perché se non c’è più compensazione con la premialità fiscale, il locatore sceglie l’altra via”.

“Le rendite cominciano a diventare importanti e diseguali in base a dove si mette in locazione l’immobile: la cedolare secca al 21% è un’ingiustizia sociale” – Emiliano Guarneri

È quanto sta avvenendo a Milano, Roma, Napoli sembra proprio ricalcare questa dinamica: laddove il concordato viene utilizzato, è solo perché il canone raggiunge quasi quello di mercato con un vantaggio ulteriore per l’agevolazione fiscale. Se questo era l’ultimo tentativo di controllo pubblico sul mercato delle locazioni, è chiaro come ormai sia in balia della speculazione dei privati. “Lo Stato deve tornare protagonista con una riforma del sistema casa che si muova su tre direzioni -continua Guarneri-. La prima è l’offerta di uno stock abitativo di edilizia sociale a prezzi sostenibili che trainino verso il basso l’importo dei canoni, la seconda è una riforma sulle aliquote fiscali, perché le rendite cominciano a diventare davvero importanti e fortemente diseguali in base a dove si mette in locazione l’immobile: la cedolare secca al 21% è un’ingiustizia sociale. Infine, ovviamente, la regolamentazione degli affitti brevi. Tutto questo è oggi più che mai urgente. Quella della casa è un’emergenza nazionale”.

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