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Terra e cibo / Opinioni

La finanza fa il prezzo del cibo e cambia le regole dell’alimentazione

La guerra in Ucraina e la speculazione finanziaria stanno devastando rapidamente il Pianeta. E per quanto l’Italia non dipenda in alcun modo da Mosca e Kiev, pagherà molto di più i generi alimentari legati ai cereali per le “scommesse” mondiali gestite da grandi fondi hedge e dai colossi del grano americani. L’analisi di Alessandro Volpi

© Lutz Wernitz

I numeri possono aiutare a capire le conseguenze della guerra in Ucraina. In Italia il prezzo del grano duro è cresciuto dell’85% rispetto al 2021 e quello del grano tenero del 70%, con effetti che già si fanno sentire sul prezzo del pane e della pasta. Questi aumenti non dipendono però direttamente, nel caso italiano, dalla guerra in corso perché il nostro Paese importa dall’Ucraina e dalla Russia il 3,2% del grano tenero e il 2,5% del grano duro; dunque il conflitto non dovrebbe incidere sui prezzi, ma in realtà non è così. 

L’Italia importa il 65% del proprio fabbisogno di grano tenero e il 35% di grano duro provenienti da varie parti del mondo, dove i prezzi sono saliti perché la riduzione complessiva di esportazioni da Russia e Ucraina ha scatenato la speculazione sui prezzi che, di conseguenza, anche l’Italia, pur non importando da Russia e Ucraina, deve pagare, peraltro con una moneta, l’euro, colpita da una svalutazione rispetto al dollaro, con cui sono quotati i cereali. 

In estrema sintesi, per quanto l’Italia non dipenda in alcun modo da Russia e Ucraina, pagherà molto di più i generi alimentari legati ai cereali per la speculazione mondiale, gestita da grandi fondi hedge e dai colossi del grano a stelle e strisce, e per l’attuale debolezza dell’euro. In realtà, una vasta parte del mondo rischia seriamente di restare senza grano. Il blocco dei porti dell’Ucraina e l’improvvisa decisione dell’India di bloccare le esportazioni di grano sono notizie devastanti per tutti i Paesi importatori, dal Nord Africa all’Italia. 

A questo riguardo sono utili due considerazioni. La prima. A convincere l’India a bloccare le esportazioni di grano sono stati i prezzi impazziti dei cereali che dipendono, in larghissima misura, dalla speculazione finanziaria.
La seconda. Un rapido esame dei principali produttori di grano fa capire chi può reggere questa crisi, traendone benefici. Al primo posto figura la Cina, che, alle prese con la pandemia, non esporta grano, per soddisfare la sua enorme domanda interna. Al secondo posto si colloca, l’India, al terzo la Russia, che, può alimentarsi a lungo, e al quarto gli Stati Uniti, gli unici nelle condizioni di esportare beneficiando dei prezzi altissimi. Seguono poi Francia, Canada, Germania e Pakistan. 

L’Italia produce circa 14 milioni di tonnellate, la metà della Francia; una quantità, come accennato, del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno nazionale. L’intero Nord Africa, poi, è importatore netto di grano e, in questo momento, rischia una carestia durissima dagli esiti imprevedibili in termini politici e sociali. 

Guerra e speculazione finanziaria stanno devastando rapidamente il Pianeta. A questi primi numeri si possono aggiungere altre considerazioni, sempre di ordine quantitativo. La Cina importa un terzo del mais che utilizza per i propri colossali allevamenti di maiali dall’Ucraina che è, quindi, indispensabile per un settore cruciale dell’ex impero celeste. Il destino di questo Paese, e soprattutto, il mantenimento delle forniture ucraine, non certo sostituibili almeno nel breve periodo, non possono non essere oggetto di massima attenzione da parte del governo cinese. Nel frattempo, il brusco rialzo del prezzo dei cereali sta riportando in vita la discussione, in realtà mai sopita, circa la possibilità per i Paesi europei di importare grano Ogm che, attualmente è vietato dalle normative dell’Unione, e che è “prodotto” da soli quattro gruppi monopolisti, tra cui spiccano la tedesca Bayer, che ha acquisito Monsanto, ChemChina e l’americana Corteva. La “penuria” generata dalla guerra e gli alti prezzi dettati dalla speculazione potrebbero aprire una strada finora chiusa, peraltro obbligando alla revisione del Green New Deal europeo. 

È interessante rilevare, a riguardo, che il rialzo speculativo dei prezzi dei cereali avviene in parallelo ad una forte crescita dei titoli dei colossi degli Ogm; la finanza definisce i prezzi del cibo, senza dipendere troppo dalla realtà, e cambia le regole dell’alimentazione. Una nota di chiusura, in Ucraina dal 2015 operano Monsanto, ora Bayer, che secondo un’interrogazione presentata al Parlamento europeo, avrebbe acquistato ampie quantità di terre, e l’americana Cargill, la multinazionale americana dell’alimentare che possiede una quota in un porto d’altura vicino a Odessa e ha più di 500 dipendenti in impianti ucraini di lavorazione di cereali e semi oleosi. Numeri che dovrebbero indurre almeno una breve riflessione.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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