Diritti / Approfondimento
La feroce “normalità” dei respingimenti illegali ai confini dell’Unione europea
Da gennaio a novembre 2021 la rete internazionale Prab denuncia quasi 12mila casi di pushback registrati in Europa: il 74% tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina. Tra le nazionalità più colpite c’è anche quella afghana. Coinvolte anche famiglie con minori. Il caso delle frontiere interne italiane
I respingimenti illegali al confine stanno diventando sempre di più un “normale” strumento di gestione del fenomeno migratorio nell’Unione europea. Lo dimostrano i dati contenuti nel nuovo rapporto pubblicato a metà dicembre 2021 dal Protecting rights at borders (Prab) con riferimento alla Bosnia ed Erzegovina: nonostante siano state appena 10.593 le persone in transito nel Paese tra gennaio e novembre 2021 -in diminuzione rispetto alle 29.488 del 2019-, nello stesso periodo il numero di pushback registrati al confine con la Croazia nel 2021 sono stati 8.812. Ovvero il 74% degli 11.901 totali. “Stanno diventando accettabili e in una certa misura queste pratiche ricevono approvazione da parti degli Stati membri dell’Unione europea” si legge nel documento frutto del lavoro di nove organizzazioni (tra queste, Danish Refugee Council, Asgi, Diaconia Valdese, Hungarian Helsinki Committee, Humanitarian Center for Integration and Tolerance, Macedonian Young Lawyers Association, Greek Council for Refugees) che tutelano i diritti umani in sei diversi Paesi e che hanno fornito i dati aggiornati registrati tra luglio e novembre 2021.
Nel periodo dell’analisi sono 6.336 i migranti e richiedenti asilo che dichiarano di aver subito un respingimento illegittimo. La punta dell’iceberg secondo i curatori del report. La maggior parte, come detto, al confine tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina (4.905) e dalla Serbia che con mille casi registrati lungo i suoi confini conferma il cambiamento delle rotte che le persone in transito seguono nei Balcani.
Avvalorano questa lettura anche le statistiche fornite da Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Un dato su tutti è significativo. Nel 2015 in Albania venivano registrati meno di 2mila ingressi irregolari, nel 2021 questi sono diventati 12mila. Secondo la polizia albanese, il Paese ha visto un aumento del numero di persone che attraversa il Kosovo nella speranza di raggiungere la Serbia e da lì l’Unione europea attraverso due possibilità: la Romania o l’Ungheria. Secondo le testimonianze raccolte dal Prab, il 90% degli ingressi sul territorio romeno avviene a piedi lungo il confine con i villaggi Majdan e Rabe. “Una volta identificati dalla polizia, gli intervistati riferiscono molto spesso di essere stati picchiati, minacciati, di essersi visti negare l’accesso all’asilo e di essere stati espulsi verso la Serbia” si legge nel report, in cui vengono non a caso segnalati 592 casi di pushback illegittimi al confine serbo-romeno. Allo stesso modo, in Ungheria, dove la maggioranza fa ingresso nel Paese a piedi e viene espulsa verso il territorio serbo in numeri considerevoli: le statistiche ufficiali della polizia ungherese parlano di 11.392 respingimenti nel mese di settembre, circa 10mila in ottobre e 9mila in novembre.
Per quanto riguarda le persone coinvolte nei respingimenti, il Prab sottolinea l’elevato numero di persone vulnerabili che subiscono le pratiche illegittime -il 18% dei casi registrati riguarda famiglie con minori- e anche il coinvolgimento di chi avrebbe diritto ad ottenere l’asilo. La seconda nazionalità più coinvolta nelle pratiche di respingimento -dopo quella pakistana (2.220 casi)- è quella afghana (2.027): la violenza sui confini non ha risparmiato neanche le persone in fuga da Kabul che cercano protezione in Europa. Tra agosto e novembre 2021 un totale di 1.696 afghani dichiarano di aver subito un respingimento dalla Croazia alla Bosnia-Erzegovina, comprese 61 persone che hanno subito un respingimento a catena dalla Slovenia, attraverso la Croazia alla Bosnia-Erzegovina. Un numero che include 65 minori stranieri non accompagnati (Msna) e 154 famiglie con 163 bambini. “Le promesse di assistere coloro che affrontano una terribile situazione umanitaria in Afghanistan dovrebbero andare di pari passo di pari passo con la fornitura di un effettivo accesso alla protezione per coloro che sono bloccati alle porte dell’Ue -si legge nel report-. Indipendentemente dal fatto che le persone provenienti dall’Afghanistan siano entrate nei Paesi dell’Unione europea irregolarmente, l’accesso alle procedure di asilo individuale e alla protezione deve essere garantito”.
La situazione descritta dimostra come la Croazia sia ancora lontana dal garantire una gestione dei confini rispettosa dei diritti fondamentali delle persone che vi transitano. Per fermare l’ingresso del Paese nell’area Schenghen non è bastata però né la condanna della Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti del ministero dell’Interno croato per la morte della piccola Madina, né la recente pubblicazione del report del Comitato europeo per la prevenzione della tortura che smaschera le sistematiche violenze lungo i confini croati. Il 9 dicembre 2021 il Consiglio europeo ha dichiarato che il governo di Zagabria “soddisfa le condizioni necessarie per la piena acquisizione dell’acquis di Schenghen”. In attesa del parere, non vincolante, del Parlamento europeo e degli altri Stati membri rispetto a tale decisione preoccupano non solo le denunce ma anche l’efficacia del meccanismo di monitoraggio dei diritti umani alle frontiere previsto dalle autorità croate. La pubblicazione del primo rapporto di questo organo -fortemente criticato per composizione e modalità operative (ne avevamo parlato qui)- ha positivamente stupito le associazioni impegnate sul campo evidenziando che la polizia effettua respingimenti, impedisce alle persone di fare domanda d’asilo e sottolineando che l’onere della prova in relazione all’ammissibilità delle persone sul territorio spetta allo Stato. Ma in breve tempo la versione pubblicata è stata modificata evitando qualsiasi riferimento a violazioni sistematiche dei diritti fondamentali. “I cambiamenti di linguaggio del rapporto aggiornato sono eccezionalmente problematici -si legge nel report del Prab-. Non solo l’indipendenza del rapporto e del meccanismo viene messa in discussione, ma serve sottolineare come meccanismi inadeguati possano essere usati per mascherare le violazioni dei diritti umani”.
Il Prab cita anche l’Italia con riferimento alle frontiere interne. Su Ventimiglia si segnala una mancanza di assistenza di base e una risposta umanitaria “estremamente carente”. Nel report si segnalano inoltre “rischi specifici per la sicurezza e il benessere mentale tra i migranti vulnerabili come minori, donne che viaggiano da sole e donne con bambini che sono state trattenute insieme a uomini soli, aumentando i rischi di violenza di genere”. Sul confine italo-francese settentrionale, invece, si segnalano soprattutto persone provenienti da Afghanistan, Pakistan e Iran che denunciano casi di detenzione arbitraria per diverse ore da parte delle autorità francesi così come maltrattamenti fisici e verbali. “Inoltre, la modifica dei trasporti pubblici ha lasciato le persone in movimento bloccate a Oulx per diversi giorni nel Rifugio Fraternità Massi, causando sovraffollamento, mancanza di spazio e tensioni”.
Resta alta l’attenzione anche sulla frontiera orientale italo-slovena. Le riammissioni informali attive restano formalmente sospese ma sopravvivono i pattugliamenti misti al confine di cui abbiamo parlato anche su Altreconomia. Non solo. Il Prab segnala 10 persone respinte a catena verso la Bosnia ed Erzegovina attraverso la Croazia e la Slovenia. Un caso riportato anche dal Border violence monitoring network (Bvmn) -una rete di Ong che mensilmente aggiorna il numero di respingimenti di migranti e richiedenti asilo lungo i confini europei- nel report di novembre che riporta la testimonianza di un gruppo di cittadini pakistani che il 5 novembre 2021 sarebbe stato prima trattenuto nelle vicinanze di Trieste e poi respinto a catena fino a Bihać. Una situazione da monitorare anche in considerazione della dichiarata volontà del prefetto di Trieste di riprendere le pratiche delle riammissioni.
“L’esistenza di casi, non più rari, in cui persone con uno status legale come gli interpreti o altri vengono respinte -conclude il Prab- riflette ulteriormente la normalizzazione dei respingimenti come strumento di gestione delle frontiere. Mentre queste pratiche devono semplicemente smettere di esistere, l’installazione di un efficace e indipendente meccanismo di monitoraggio, che non sia una foglia di fico, può essere uno strumento per ritenere i colpevoli responsabili e garantire accesso alla giustizia alle vittime”.
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