Esteri / Intervista
“Israele vuole silenziarci ma ha fallito. L’ultima opzione era quella di dichiararci terroristi”
Intervista a Sahar Francis, direttrice della Ong palestinese Addameer che fornisce tutela legale ai prigionieri politici. Il 18 agosto, insieme ad altre organizzazioni di Ramallah per i diritti umani, ha subìto l’irruzione delle forze di sicurezza israeliane con l’ordine di chiudere e l’accusa di terrorismo. Senz’alcuna prova a supporto
“Qualsiasi cosa faranno, noi continueremo a lavorare”, dice sicura Sahar Francis, la direttrice di Addameer, la Ong che fornisce tutela legale ai prigionieri politici palestinesi e che insieme ad altre organizzazioni per i diritti umani, il 18 agosto scorso, ha subìto l’irruzione delle forze di sicurezza israeliane, con ordine militare di chiusura, in quanto “organizzazioni terroristiche”. Tutte le Ong sono palestinesi e hanno sede a Ramallah, cioè nella parte della Cisgiordania che, secondo gli accordi di Oslo, dovrebbe essere sotto il totale controllo -militare e amministrativo- palestinese. Nessuna prova è stata fornita dal governo israeliano a sostegno delle sue accuse, nonostante le richieste delle Ong stesse e di numerosi governi, inclusa l’Italia e da ultima l’Unione europea, che ha così riconfermato il finanziamento alle organizzazioni.
Direttrice, quante sono le organizzazioni coinvolte? In alcuni casi si parla di sei in altri di sette.
SF C’è stata un po’ di confusione perché il ministero della Difesa israeliano, nell’ottobre scorso, ne ha designate sei (Addameer, Al-Haq, Bisan Center, Defence for children, Union of Agricultural work committees e Union of Palestinian women’s committees) come terroristiche. La settima, l’Union of Health Work committees, è stata resa illegale da un ordine militare, non dal ministero. Ma è stata anche la prima in cui hanno fatto irruzione e poi eseguito cinque arresti, nei mesi scorsi. E il 18 agosto li hanno colpiti ancora.
Che cosa è successo nel vostro ufficio?
SF Per noi non è la prima irruzione. Avevano già confiscato undici computer nel 2012 e nel 2019, insieme a file e documenti. Questa volta sembra che non abbiano preso nulla, nessun file di detenuti, forse degli stampati, come poster e brochure. Ma sono abbastanza sicura che abbiano installato qualche sistema tecnologico di sorveglianza, perché hanno staccato la corrente al nostro server. E poi, come per tutti, hanno messo i sigilli alle porte.
Lei era presente?
SF No. Hanno provato a chiamarmi mentre erano lì ma erano le 3.30 di notte e non ho risposto. Allora hanno chiamato un collega per informarci che avevano fatto irruzione e che l’ufficio doveva rimanere chiuso.
Se lo aspettava?
SF Sì. Non è stato niente di nuovo o improvviso, c’è una campagna contro di noi che va avanti da molti anni. Almeno dal 2004-2005. Anche prima, decine di organizzazioni della società civile di Gerusalemme Est sono state costrette a chiudere. Ora è diventato il trend in West Bank, perché noi e le altre organizzazioni ci battiamo in diversi modi, affinché le persone continuino nella loro resilienza. Cercano di silenziarci. Finora hanno fallito e l’ultima opzione, credo, era quella di dichiararci terroristi. Ma non si aspettavano la solidarietà che c’è stata. Questa volta c’è stata una grande risposta.
Anche delle Ong israeliane…
SF Sì, 55 organizzazioni per i diritti umani israeliane hanno rilasciato dichiarazioni a nostro sostegno. E la solidarietà si sta espandendo ancora a livello internazionale.
Qual è stata invece la reazione dei cittadini israeliani?
SF Questo è il problema principale. La maggior parte della società “regolare” ha ignorato e chiuso gli occhi. I media mainstream israeliani sono molto spinti a destra e non criticano il governo. Nel nome della sicurezza non dicono nulla. Dopo l’ultima guerra a Gaza, Israele ha ammesso di aver ucciso cinque bambini. Crede che le persone si siano preoccupate di ciò? Anche per questo l’attacco alle Ong è avvenuto ora.
State continuando a operare? Che cosa rischiate in concreto?
SF Sì, continuiamo a lavorare da fuori. Possono impedirti di viaggiare all’estero, di riunirti con la tua famiglia, arrestare te e chi ti sta intorno.
Che cosa è successo dopo la chiusura degli uffici? Alcuni di voi hanno parlato di minacce e interrogatori.
SF Il primo giorno hanno convocato per un piccolo interrogatorio la direttrice dell’Unione delle donne ed è stata minacciata: se non rimanete chiusi, arrestiamo te e la tua famiglia, le hanno detto. Poi l’hanno richiamata e non ha risposto, così hanno chiamato tre volte sua figlia di 14 anni. I direttori di Al Haq e Defence for children successivamente sono stati interrogati dalla sicurezza interna israeliana, ricevendo anche loro le stesse minacce.
Che cosa pensa succederà ora? È preoccupata o impaurita?
SF Non sappiamo che cosa stanno pianificando. Non ho paura ma sono preoccupata. Tutto questo influisce sulla tua vita privata, sulla famiglia e il tuo cerchio stretto di persone. Ma non ci fermeremo, crediamo che il nostro lavoro sia molto importante, non è un crimine. Cerchiamo solo di implementare il rispetto del diritto internazionale, i diritti umani. In quanto palestinesi sappiamo che cercheranno di ostacolarci, ma non importa cosa inventeranno, dobbiamo farlo.
Lei ha figli?
SF No e non sono sposata. Ho sposato la questione dei prigionieri palestinesi, sono più di 25 anni che me ne occupo.
Quanto crede abbiano pesato le prossime elezioni israeliane nella chiusura delle Ong?
SF Credo ci sia un legame: il governo deve mostrare come gestisce il tema della sicurezza, che in Israele è un tema chiave. Deve diffondere il messaggio che sta combattendo il “terrorismo” a tutti i livelli. Per lo stesso motivo c’è stata la guerra a Gaza e gli omicidi. E poi crediamo che l’attacco alle organizzazioni sia avvenuto ora perché l’Unione europea ha deciso di continuare a supportarci.
Avete ricevuto moltissima solidarietà, anche a livello politico internazionale. È abbastanza? Di che cosa avete davvero bisogno?
SF Non è abbastanza ma crediamo che la pressione internazionale continuerà. La Ue e le altre istituzioni devono chiedere meeting settimanali a Israele, devono continuare a visitarci e pensare a soluzioni concrete. Hanno deciso di rifinanziarci, allora devono avere la capacità di proteggere i loro soldi: se domani Israele blocca i fondi nelle banche, devono sapere come agire.
Quanto è successo, secondo lei, ha risvegliato l’attenzione internazionale sulla situazione dei palestinesi?
SF Sì, è ormai chiaro che non si può continuare così. Ora si parla apertamente anche di apartheid, noi lo diciamo da vent’anni. La vera questione è: che cosa rimane dell’Autorità nazionale palestinese? Questa volta non ci hanno attaccato sulla sicurezza ma a livello civile: stanno cercando di fare irruzione nella nostra società. Perché attaccano una Ong che si occupa di agricoltura? Perché supporta i contadini dell’Area C contro le demolizioni. Che cosa rimane degli accordi di Oslo? Questo è un momento molto importante per la comunità internazionale, che sostiene la soluzione dei due Stati. È evidente che così non ha senso continuare a parlarne. Se davvero la si sostiene, bisogna agire.
Qual è stata l’evoluzione della situazione dei prigionieri politici palestinesi negli ultimi anni?
SF È peggiorata. Dati di questi giorni ci dicono che il numero dei detenuti amministrativi, cioè senza processo, nelle carceri israeliane, ha raggiunto il picco più alto dal 2008: sono 723, di cui 11 arabi israeliani. Tutti gli altri sono palestinesi.
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