Diritti / Approfondimento
In Uganda gli attivisti per il clima sono soggetti a repressione e arresti arbitrari
Human rights watch denuncia le pratiche messe in atto dal governo contro le Ong e la società civile. Perquisizioni, sequestri e arresti, con accuse false. Violenze che riguardano soprattutto chi si oppone all’espansione petrolifera e alla costruzione dell’oleodotto Eacop. Intorno al quale gravitano interessi miliardari, anche italiani
In Uganda gli attivisti e le organizzazioni che si oppongono alla costruzione dell’oleodotto East african crude oil pipeline (Eacop) stanno affrontando repressioni e arresti arbitrari da parte del governo. È quanto denuncia Human rights watch (Hrw) nel report “Working on oil is forbidden” pubblicato a novembre e basato su una serie di testimonianze raccolte tra marzo e settembre 2023.
“I difensori dei diritti umani e le organizzazioni della società civile che forniscono sostegno alle comunità colpite dai progetti petroliferi descrivono di essere stati sottoposti a una costante ondata di arresti e minacce -si legge nel rapporto-. Almeno 30 manifestanti, molti dei quali studenti, sono stati arrestati a Kampala (la capitale, ndr) e in altre parti del Paese dal 2021, quando il governo ha intensificato la repressione delle organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani, sospendendo 54 entità sulla base di una controversa legge sulle Ong del 2016”. Molti intervistati, inoltre, hanno raccontato a Hrw che la polizia li avrebbe trattenuti per diversi giorni in stazioni di polizia o luoghi sconosciuti prima di rilasciarli senza accuse. Al momento sono in corso diversi procedimenti giudiziari contro i manifestanti con l’accusa generica di “disturbo”.
L’Eacop è uno dei maggiori progetti in via di sviluppo nel settore dei combustibili fossili, che dovrebbe collegare i pozzi petroliferi a Ovest dell’Uganda con le coste della Tanzania a Est. Il complesso, se finito, comprenderà centinaia di pozzi, altrettanti chilometri di strade e 1.500 chilometri di condutture, per quello che si preannuncia come il più grande oleodotto al mondo. I lavori sono iniziati nel giugno del 2023 e settembre sono state acquisite il 96% delle terre interessate. Si tratta di un progetto in netta contraddizione con le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (International energy agancy, Iea) e del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ippc) secondo i quali lo sviluppo di nuove fonti fossili non è affatto compatibile con il rispetto degli Accordi di Parigi sul clima. Ma i rischi del progetto vanno ben oltre il clima. Le condotte interessano infatti alcune delle zone più importanti per la biodiversità e più vulnerabili al mondo. Oltre 400 chilometri di oleodotto, infatti, saranno posati in prossimità del Lago Vittoria, il più grande del continente e una fonte d’acqua per oltre 40 milioni di persone. Si stima poi che oltre 100mila persone siano state danneggiate dal progetto a causa di espropri dei terreni, distruzione delle abitazioni e la perdita dei propri mezzi di sussistenza. Il tutto senza ricevere un adeguato risarcimento.
Per queste ragioni l’Eacop ha ricevuto fin da subito molte critiche da parte di attivisti e della società civile dell’Uganda. Le loro rimostranze si sono rivolte contro i governi dei due Paesi, che appoggiano il progetto, e le aziende sia ugandesi sia internazionali che finanziano e supportano l’oleodotto (l’Italia è coinvolta, ne abbiamo scritto qui). Queste iniziative non si svolgono solo in Uganda, ma anche in Francia dove ha sede il colosso degli idrocarburi TotalEnergies, che possiede il 62% delle quote del progetto.
Ma è nel Paese africano dove gli attivisti hanno incontrato repressione e arresti arbitrari. “I difensori dei diritti umani, i membri della società civile e gli attivisti per il clima hanno raccontato a Human rights watch di aver subito arresti arbitrari, minacce, irruzioni negli uffici e intimidazioni. In particolare, nei confronti di persone che hanno espresso preoccupazioni sull’Eacop e su altri progetti petroliferi”. Dall’ottobre 2021, si sono verificati almeno 30 arresti a sfondo politico contro persone che protestavano o mettevano in luce i rischi delle iniziative di sviluppo dell’industria fossile, mentre la società civile ha subito pressioni da parte di funzionari del governo e della sicurezza sia per telefono sia di persona affinché interrompano le loro attività in particolare quando rivolte a Eacop. Particolarmente a rischio sono le organizzazioni che operano nelle città di Buliisa, Kikuube e Hoima a causa della loro vicinanza ai giacimenti petroliferi. Tra le realtà coinvolte c’è la Oil and gas human rights defenders association (Oghra), organizzazione comunitaria nata per difendere i diritti delle persone colpite dall’Eacop e a causa dell’inadeguatezza dei risarcimenti versati per l’acquisizione dei terreni.
Joss Kaheero Mugisa, 66 anni, allora presidente dell’Oghra, è stato arrestato nell’ottobre 2021 in seguito a mesi di minacce e pressioni da parte di funzionari della sicurezza e del governo locali che gli hanno intimato di “smettere di lavorare sul petrolio”. Mugisa è stato arrestato più volte in seguito ad accuse false, ha trascorso sette mesi in carcere ed è stato infine rilasciato nel marzo 2023, ma non è più attivo come difensore dei diritti umani. Una situazione simile è stata denunciata dall’African institute for energy governance (Afiego), una delle più importanti Ong ambientaliste del Paese che ha sempre denunciato gli impatti dannosi dell’oleodotto. Nell’ottobre del 2021 le forze di sicurezza hanno effettuato diverse incursioni negli uffici della Ong che si sono concluse con il sequestro di computer e documenti, l’arresto di sei attivisti e la chiusura degli uffici stessi. Alcuni impiegati di Afiego hanno denunciato minacce e intimidazioni da parte degli agenti che li avrebbe accusati di “sabotare il governo e il Paese”.
Anche le proteste e manifestazioni da parte di studenti sono andate incontro a una sorte simile. Un manifestante è stato arrestato a Kampala il 27 giugno 2023 dopo aver cercato di consegnare una petizione al presidente della Camera del Parlamento ugandese. Ha raccontato a Human rights watch di essere stato portato in una “casa sicura” con le mani legate dietro la schiena, interrogato da agenti di sicurezza in borghese su chi stesse finanziando le proteste, prima di essere sbattuto a terra. Ha detto di essersi risvegliato due giorni dopo in ospedale con ferite gravi.
Dietro agli arresti e alle repressioni c’è una legge ugandese sulle Organizzazioni non governative approvata nel 2016 che pone seri vincoli alla loro operatività, affidando a un ente governativo la facoltà di sospenderne e revocarne le licenze. “Il governo ugandese limita lo spazio per le voci indipendenti, imponendo sempre più spesso restrizioni alla libertà di espressione, associazione e riunione -conclude il report-. Le autorità impongono regolarmente restrizioni ai media, alle comunicazioni online e ai social media, mentre gli agenti dello Stato, intimidiscono, arrestano arbitrariamente e detengono illegalmente i giornalisti”.
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