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Diritti / Attualità

I costi umani e climatici dell’oleodotto Eacop sotto la lente del Parlamento europeo

A settembre gli europarlamentari hanno approvato una dura risoluzione sugli impatti ambientali e sociali del progetto fossile che attraversa Uganda e Tanzania, promosso su tutti dalla multinazionale TotalEnergies. Il 10 ottobre l’amministratore delegato del colosso verrà sentito dalla Commissione per i diritti umani di Strasburgo

Il presidente e amministratore delegato della multinazionale petrolifera TotalEnergies, Patrick Pouyannè, andrà dinanzi alla commissione per i diritti umani del Parlamento europeo il prossimo 10 ottobre per fare chiarezza in merito alla violazione dei diritti umani e ad altri punti che riguardano il contestato progetto fossile East african crude oil pipeline (Eacop) in Uganda.

Pochi giorni fa, il 15 settembre, proprio il Parlamento europeo aveva approvato una dura risoluzione in merito alle violazioni dei diritti umani e ai rischi ambientali collegati agli investimenti in due infrastrutture fossili in Uganda e in Tanzania finanziati dal colosso francese e dalla China national offshore oil corporation (Cnooc). Il primo è appunto l’East african crude oil pipeline (Eacop), avviato il primo febbraio 2022 e il cui completamento è previsto entro il 2025: un oleodotto riscaldato lungo 1.443 chilometri dal costo stimato di circa 10 miliardi di dollari. Una volta ultimato dovrebbe trasportare il petrolio estratto nella regione di Hoima, nell’Est dell’Uganda, fino al porto costiero di Tanga, in Tanzania, da dove sarà immesso nel mercato internazionale. Il secondo è il progetto Tilenga, che prevede attività di prospezione petrolifera nell’area naturale protetta delle cascate Murchison, sempre in Uganda, a poca distanza dal Lago Alberto.

Secondo i parlamentari europei la realizzazione di questi progetti metterebbe a rischio riserve e habitat naturali. Non solo. Lo sfruttamento dei nuovi giacimenti di petrolio in Uganda, infatti, potrebbe generare fino a 34 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio ogni anno, esponendo inoltre più di 100mila persone al rischio di dover lasciare le proprie case e i propri villaggi “senza adeguate garanzie di una sufficiente compensazione”. Nella risoluzione sono citate anche “criminalizzazioni, intimidazioni e vessazioni” a danno di “diversi difensori di diritti umani, giornalisti e attori della società civile” che da anni denunciano le criticità di questi due progetti.

In particolare gli impatti negativi del nuovo oleodotto Eacop erano stati già oggetto di due report presentati a settembre 2020 (New oil, same business? At a crossroads to avert catastrophe in Uganda curato dalla Fédération International des droits de l’homme e Empty promises down the line? A human rights impact assessment of the Eacop di Oxfam) in cui venivano stigmatizzate le false promesse di compensazione a favore della popolazione locale che non si erano rivelate adeguate o che non erano state mantenute, il rischio di inquinamento di fiumi e laghi a causa di fuoriuscite di greggio, presunte minacce agli oppositori e a quanti contestavano l’operato delle aziende.

Il Parlamento europeo rilancio dunque un tema che ha un ampio fronte di opposizione: la compagna globale #StopEACOP vede infatti unite organizzazioni internazionali e 260 gruppi comunitari di diversi Paesi africani; mentre la petizione per dire basta alle trivellazioni ha superato a oggi il milione di firme. I parlamentari Ue chiedono di “riabilitare le 54 Ong che sono state arbitrariamente chiuse o sospese”, “garantire alle persone sfollate senza aver ricevuto un giusto e adeguato risarcimento l’accesso alle loro terre”, e “un adeguato dispositivo di compensazione” per chi è stato espropriato della propria terra. Esortano infine TotalEnergies a prendersi un anno di tempo prima dell’avvio di Eacop “per studiare la fattibilità di un percorso alternativo con l’obiettivo di salvaguardare meglio gli ecosistemi protetti e sensibili e le risorse idriche di Uganda e Tanzania, limitando la vulnerabilità dei bacini idrografici della regione dei Grandi laghi africani, e per esplorare progetti alternativi basati sulle energie rinnovabili per un migliore sviluppo economico”.

La reazione da parte dei governi dei due Paesi africani è stata come prevedibile di forte opposizione. Il ministro dell’Energia della Tanzania, January Makamba, ha dichiarato al quotidiano Daily News che il governo ha tenuto in considerazione di tutti gli standard internazionali previsti. E sulle pagine di The Citizen ha precisato che “l’acquisizione di terreni è conforme sia alle leggi della Tanzania sia agli standard di performance dell’International finance corporation”. Il vicepresidente dell’Uganda, Thomas Tayebwa ha accusato il Parlamento europeo di sabotaggio economico: “L’Uganda è un Paese in via di sviluppo e uno Stato sovrano che ha le sue esigenze e priorità di sviluppo uniche -ha detto-. Pertanto, invito il Parlamento dell’Unione europea a ritirare la proposta di risoluzione contraria alla Carta delle Nazioni Unite che prevede il diritto dell’Uganda all’autodeterminazione e alla sovranità sulle sue risorse naturali”. Tayebwa ha strumentalmente fatto presente che “l’Unione europea con solo il 10% della popolazione mondiale è responsabile del 25% delle emissioni globali e l’Africa con il 20% della popolazione mondiale è responsabile del 3% delle emissioni”. Sul progetto ha tirato dritto anche il presidente Yoweri Museveni, che ha twittato: “Voglio assicurarvi che il progetto procederà come previsto dal contratto che abbiamo con TotalEnergies e Cnocc”.

Chi alla mozione dell’Unione europea ha reagito invece con soddisfazione è l’organizzazione ambientalista Friends of the Earth France: l’attivista Juliette Renaud ha dichiarato infatti che questa risoluzione “manda un forte messaggio politico contro i progetti Tilenga ed Eacop, i cui costi umani, ambientali e climatici sono innegabili e semplicemente inaccettabili”. Friends of the Earth France insieme a Survie e quattro Ong ugandesi nel 2019 aveva fatto causa a Total mettendo nel mirino proprio le attività estrattive in Uganda e Tanzania perché la società avrebbe violato la legge sul “dovere di vigilanza“. Il prossimo 12 ottobre il caso dovrebbe essere esaminato da un tribunale di Parigi.

Anche Simone Ogno, campaigner della Ong ReCommon, commenta positivamente l’evoluzione della vicenda: “La risoluzione come attestato politico è molto rilevante -spiega ad Altreconomia- anche se, ricordiamo, non ha un valore vincolante non solo per la natura in sé dell’atto ma anche perché riporta alle responsabilità innanzitutto i governi di Uganda e Tanzania. Quella risoluzione stabilisce comunque un precedente, mettendo nero su bianco il collegamento non solo tra attività estrattive e di trasporto di idrocarburi e danni all’ambiente e al clima ma anche direttamente alle comunità che vengono impattate dalla costruzione di queste opere”. Sulla tutela della biodiversità e dell’ambiente naturale, Ogno riporta poi le conclusioni finali della risoluzione, lì dove c’è un richiamo molto forte alla responsabilità europea: “Si punta il dito direttamente sulla multinazionale TotalEnergies, chiedendole di prendere un anno di tempo prima di costruire l’opera affinché tutti i nodi aperti in questo momento su ogni fronte, da quello legale a quello delle compensazioni economiche nei confronti della popolazione, vengano chiariti”. In particolare “c’è un passaggio molto rilevante nella mozione in cui si invita a mettere fine alle attività estrattive in aree protette e in ecosistemi sensibili, inclusi quelli del Lago Alberto, lì dove ci sono i pozzi di trivellazione. Segnalando quindi il problema a monte e cercando di risolverlo”.

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