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Ambiente / Approfondimento

Il futuro incerto degli impianti idroelettrici in Africa

La diga di Kariba sul fiume Zambesi © DAFNE Project Politecnico di Milano

Almeno un terzo delle 367 nuove dighe in fase di progettazione nel continente non sarà sostenibile da qui a pochi anni: questa forma di energia, infatti, sarà meno competitiva rispetto a fotovoltaico ed eolico. Uno studio pubblicato sulla rivista Science ne sconsiglia la costruzione dopo il 2030. Gli impatti sui diritti e sull’ambiente

Per fronteggiare l’aumento demografico nel continente africano -dove, secondo le stime delle Nazioni Unite, il numero di abitanti toccherà i 2,5 miliardi nel 2050-, per garantire ai propri cittadini migliori condizioni di vita e per sostenere lo sviluppo economico, i Paesi africani dovranno affrontare nel prossimo futuro una sfida complessa: garantire una produzione sempre maggiore di energia per soddisfare una domanda il cui aumento è stimato tra il 5% e il 6% all’anno fino al 2050.

Una crescita che, al tempo stesso, dovrà anche tenere conto della necessità di ridurre le emissioni di gas climalteranti per mitigare gli effetti del cambiamento climatico su scala globale e regionale e, di conseguenza, non potrà (o non dovrebbe) fare affidamento su nuove centrali a gas o a carbone. Temi cruciali e che sono stati al centro dell’Africa climate week 2023 (in programma a Nairobi dal 4 all’8 settembre), evento promosso dalle Nazioni Unite cui hanno preso parte capi di Stato, organizzazioni internazionali e rappresentanti della società civile con l’obiettivo di definire strategie comuni di contrasto al climate change.

Attualmente una risorsa importante per i Paesi africani (in particolare nella regione sub-sahariana) è rappresentata dall’idroelettrico che fornisce energia a costi relativamente bassi: centinaia di dighe piccole e grandi -in alcuni casi gigantesche- costruite lungo i principali fiumi che solcano il continente coprono circa il 20% della domanda di energia. Un potenziale che gli Stati africani puntano a sfruttare ulteriormente nei prossimi anni: sono infatti 367 le centrali in fase di studio, con una capacità aggiuntiva di 100 GW. Di queste, 168 sono grandi impianti con una capacità totale di circa 90 GW.

Secondo uno studio pubblicato lo scorso 11 agosto sulla rivista Science (“Declining cost of renewables and climate change curb the need for African hydropower expansion”) la cosa migliore sarebbe però lasciare una parte significativa di questi progetti sulla carta: almeno un terzo, infatti, non varrebbe l’investimento. La ragione principale sta nel fatto che in futuro l’energia idroelettrica sarà meno competitiva rispetto a quella solare e a quella eolica (anche se in misura minore) i cui costi negli ultimi dieci anni si sono ridotti a un ritmo senza precedenti.

“Abbiamo modellato ogni singola centrale idroelettrica in Africa, sia esistente sia futura, con un livello di dettaglio inedito con dimensioni di stoccaggio, profilo dei flussi fluviali e interazione con altre dighe. In questo modo il nostro modello può individuare quali impianti potrebbero essere un investimento intelligente e quali invece non andrebbero costruiti -spiega ad Altreconomia Angelo Carlino, autore principale dello studio, precedentemente dottorando del Politecnico di Milano e attualmente post-doc presso la Carnegie Institution for Science a Stanford-. Nel breve periodo gli impianti idroelettrici possono essere necessari per lo sviluppo economico e rappresentano un modo per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili. Tuttavia, se si guarda oltre il 2030, la riduzione dei costi di produzione di eolico e fotovoltaico permetterà di bilanciare la produzione e non sarà necessario sviluppare tutta questa capacità”.

Lo studio ha analizzato lo sviluppo dei sistemi elettrici africani tra il 2020 e il 2050 prendendo in considerazione diversi scenari di domanda energetica, cambiamento di destinazione d’uso dei terreni e impatti dei cambiamenti climatici sulla disponibilità d’acqua. Il risultato è netto: “L’idroelettrico perderà la sua posizione preminente all’interno del mix di energia rinnovabile del continente entro il 2050”, riducendosi al 7-14% sul totale in tutti gli scenari presi in considerazione. Mentre il solare e l’eolico peseranno, rispettivamente, per il 29-38% e l’8-12% della produzione.

In altre parole, il 32% dei 367 impianti attualmente sulla carta o in fase di progettazione non dovrebbe essere realizzato perché non conveniente dal punto di vista economico. Una quota che potrebbe salire addirittura al 67% nel caso in cui si adottasse un approccio decisionale più avverso al rischio di siccità. E lo studio sconsiglia la costruzione di nuovi impianti dopo il 2030.

Sul lungo termine l’energia solare emergerebbe dunque come la principale tecnologia da privilegiare nella maggior parte dei Paesi africani, confermando le raccomandazioni fatte dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) nel 2020. “L’era dell’energia idroelettrica in Africa come investimento fattibile si sta chiudendo molto rapidamente -aggiunge Sebastian Sterl, docente di meteorologia energetica presso la Vrije Universiteit di Bruxelles, e scienziato senior presso il World resources institute di Addis Abeba-. Questa è in generale una buona notizia per l’ambiente: significa che si costruiranno meno dighe e quindi molti fiumi potranno mantenere il loro corso naturale”.

A questo si deve poi aggiungere il fatto che la costruzione di dighe -in particolare per quanto riguarda quelle di grandi dimensioni- porta con sé gravi conseguenze anche dal punto di vista ambientale (la creazione di un bacino artificiale può comportare la distruzione dell’habitat circostante) oltre a registrare forti impatti sulle popolazioni locali. Uno dei casi più noti è quello della diga Gilgel Gibe III, collegata a una centrale idroelettrica sul fiume Omo in Etiopia, che ha portato sull’orlo della fame e della miseria almeno 16 popolazioni aborigene che vivevano da secoli in quel territorio.

Oltre alla “concorrenza” di solare e fotovoltaico, l’idroelettrico dovrà fare i conti con gli effetti dei cambiamenti climatici: prolungati periodi di siccità, riduzione della portata dei fiumi, inondazioni e mutamenti nel ciclo delle precipitazioni possono impattare sulla produzione di questa forma di energia. “È preoccupante che la pianificazione e la gestione dell’energia non tengano il passo con questi cambiamenti nella maggior parte dei Paesi africani”, scrive Giacomo Falchetta, ricercatore presso l’International Institute for Applied Systems Analysis (Iiasa), in un articolo pubblicato sulla rivista online The conversation.

È probabile, scrive il ricercatore, che i Paesi dell’Africa occidentale e meridionale dovranno affrontare un clima più secco, con conseguenti impatti negativi sulla produzione di energia idroelettrica. Per questo motivo è necessario che gli Stati maggiormente dipendenti da questa forma di energia -come Etiopia, Malawi, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Zambia, dove incide per circa l’80%- accelerino i propri sforzi per diversificare il proprio mix energetico.

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