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Crisi climatica / Approfondimento

Il futuro dell’idroelettrico, tra cambiamenti climatici ed ecosistemi sull’orlo del collasso

La diga del Goillet in Valle d'Aosta © Photoerick, via depositphoto

La siccità sta incidendo sul volume d’acqua immagazzinato per la produzione di energia nel sistema idroelettrico. Le contromisure non possono prescindere dagli impatti ambientali. “Le gare per il rinnovo delle concessioni rappresentano un’occasione fondamentale”, spiegano dal Centro per la riqualificazione fluviale

Il 6 marzo scorso il Centro meteo Piemonte ha pubblicato sulla propria pagina Facebook due immagini satellitari del lago di Ceresole, un bacino artificiale creato dallo sbarramento del fiume Orco che alimenta la centrale idroelettrica di Rosone. La prima, del 23 febbraio 2021, mostra il lago di un bel colore azzurro mentre la seconda, scattata esattamente un anno dopo, mostra l’acqua quasi completamente sparita. Le due immagini accostate sintetizzano alla perfezione la gravità della siccità registrata in Italia nel corso dell’inverno 2021-2022 e lanciano un segnale per la produzione di energia idroelettrica nel nostro Paese.

“La siccità sta già influenzando il volume d’acqua immagazzinato per la produzione di energia nel sistema idroelettrico italiano. Da settembre 2021 i livelli d’acqua in molti bacini sono al livello più basso mai registrato nel periodo 1970-2019”, si legge nel report “Drought in Northen Italy” pubblicato a marzo 2022 dal Joint research center (Jrc) della Commissione europea. In quel mese gli impianti erano pieni solo al 28,4%, in riduzione rispetto al 33,8% dello stesso mese del 2021, scrive nel report mensile Terna, l’azienda che gestisce la rete di trasmissione dell’energia, nel bollettino mensile dedicato.

In calo anche la “producibilità idroelettrica”, che a marzo 2022 era pari a 1.850 GWh (-16,1% rispetto allo stesso mese del 2021). E la situazione è ancora più grave se ci si concentra sul Nord Italia dove la producibilità ha appunto registrato una diminuzione del 20,5%, passando dagli 881 GWh del marzo 2021 ai 700 GWh del marzo 2022. Di conseguenza la siccità si è fatta sentire anche sulla produzione: il calo registrato da Terna a marzo 2022 è stato del 48,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un dato in linea con quello trimestrale: la produzione degli impianti idroelettrici italiani infatti è passata dai 10.471 GWh del periodo gennaio-marzo 2021 ai 5.845 GWh del primo trimestre 2022 (-44,2%). Altrettanto critica la situazione ad aprile 2022, con un calo della produzione di energia idroelettrica del 41% rispetto allo stesso mese del 2021.

“Siamo di fronte a uno scenario che non ci lascia tranquilli -commenta Monica Pantaleoni, ricercatrice dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che ha analizzato il settore per il Rapporto sugli indicatori di impatto dei cambiamenti climatici 2021 dell’istituto-. La produzione lorda di energia da impianti idroelettrici è tradizionalmente soggetta a oscillazioni legate all’abbondanza o meno delle precipitazioni. Quello registrato nell’inverno 2021-2022 è un dato congiunturale, ma l’andamento è comunque preoccupante”.

Due immagini satellitari del lago di Ceresole pubblicate dal Centro meteo Piemonte che mostrano la quasi totale assenza d’acqua nel bacino nel febbraio 2022 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente @ Centro meteo Piemonte

Il settore idroelettrico conta circa 4.500 centrali attive in tutto il Paese (di cui 3.483 nelle Regioni settentrionali) che forniscono il 15-17% della produzione elettrica nazionale ma che pesano per il 41% sulla quota di energia da fonti rinnovabili. Si tratta dunque di una risorsa che gioca un ruolo fondamentale per la decarbonizzazione ma che, al tempo stesso, viene messa a rischio dagli impatti del cambiamento climatico. “Lo scenario con mitigazione tra quelli elaborati dall’Ipcc prevede per gli anni a venire una riduzione delle precipitazioni, in particolare di quelle nevose. E questo andrà a impattare anche sulla produzione idroelettrica”, continua Pantaleoni.

Il rapporto dell’Ispra evidenzia come nel medio-lungo termine la progressiva riduzione e perdita dei ghiacciai, nonché le variazioni dei regimi pluviometrici “determineranno un impatto su questa primaria risorsa di energia rinnovabile” causando in futuro una riduzione della produzione idroelettrica. Analogamente, anche lo studio “Peseta IV” (Projection on economic impacts on climate change in sector of the Eu based on bottom-up analysis) condotto dal Jrc ipotizza -in uno scenario di mitigazione che riuscisse a contenere l’aumento delle temperature globali entro i 2 gradi centigradi al 2100- un calo della produzione di energia idroelettrica nelle regioni meridionali d’Europa a causa di una minore disponibilità d’acqua. Mentre, al contrario, nei Paesi del Nord del Continente potrebbero aumentare lo sfruttamento di questa risorsa.

Se la tendenza nelle sue linee generali è chiara, risulta invece più difficile elaborare previsioni puntuali rispetto a quello che potrà succedere entro il 2050 sui singoli territori, in particolare per quanto riguarda le regioni alpine che hanno un grado di margine di incertezza particolarmente elevato: “Assistiamo da un lato alla riduzione delle precipitazioni, dall’altro a una maggiore frequenza degli eventi estremi che mettono a rischio la produzione di energia idroelettrica e fanno aumentare le tensioni tra i diversi soggetti che attingono alle risorse idriche -spiega ad Altreconomia Mauro Mussin, responsabile dell’Unità organizzativa tematiche emergenti di Arpa Lombardia-. I cambiamenti climatici ci stanno allontanando da quella prevedibilità delle precipitazioni a cui eravamo abituati per andare verso fenomeni estremi sempre più frequenti, che generano situazioni difficili da gestire”.

Chi ha provato ad analizzare con maggiore precisione gli impatti del cambiamento climatico sulla produzione di energia idroelettrica è Arpa Valle d’Aosta, che in un documento pubblicato ad aprile 2021 prevede “impatti ridotti” per gli impianti dotati di invaso, che rappresentano il 35-40% della potenza installata in Regione: “È molto difficile generalizzare -avverte Edoardo Cremonese, esperto di cambiamenti climatici in montagna per Arpa Valle d’Aosta-. La quantità complessiva d’acqua disponibile nel corso dell’anno rimarrà invariata, cambierà invece la distribuzione delle precipitazioni nell’arco delle stagioni: i grandi impianti dotati di dighe sono sicuramente più attrezzati per gestire queste oscillazioni”. A essere maggiormente penalizzati saranno invece quelli ad acqua fluente, che sfruttano i salti e le pendenze naturali dei corsi d’acqua per far girare le turbine: “Il loro potenziale idroelettrico -si legge nel report di Arpa- aumenterà in inverno e diminuirà in estate ma resta difficile valutare se l’aumento della portata invernale potrà compensare la riduzione estiva”.

Gli impianti ad acqua fluente presentano un’ulteriore criticità. Come spiega Cremonese si tratta generalmente di impianti di piccole-medie dimensioni che hanno una capacità di produzione bassa e un impatto significativo sulla “salute” dei fiumi, la cui costruzione innesca spesso tensioni sui territori. “Tra poche decine di anni un numero importante di questi impianti non sarà più in grado di produrre, perché non ci sarà abbastanza acqua -spiega il ricercatore-. Per questo oggi è importante investire sulla manutenzione degli impianti a diga piuttosto che costruire nuove centrali ad acqua fluente”.

Una proposta simile a quella avanzata dalla Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra – rete ombrello che riunisce più di cento associazioni, organizzazioni e singoli cittadini) che nel rapporto “Watercourses and hydropower in the Alpine region” pubblicato nel luglio 2021 evidenzia come l’86% dell’energia idroelettrica prodotta nella regione alpina sia generata dai grandi impianti (con una potenza superiore ai 10MW) che rappresentano circa il 10% degli oltre 5mila presenti sulle Alpi. A fronte di questa situazione, Cipra chiede di “promuovere il miglioramento delle centrali esistenti” e lo smantellamento di quelle superflue prima di pianificare la costruzione di nuove. A questo si devono accompagnare interventi per ridurne al minimo gli impatti ecologici negativi, ripristinare gli habitat danneggiati e promuovere la conservazione della biodiversità. “Dobbiamo guardare con attenzione agli impianti esistenti, in particolare a quelli più grandi, per garantire che produzione idroelettrica sia mantenuta e migliorata nei prossimi anni”, sottolinea il documento.

Un’analisi sulla produzione di energia idroelettrica deve necessariamente tenere conto degli impatti sull’ambiente e gli ecosistemi: la continua presenza di sbarramenti lungo i corsi d’acqua, infatti, può ridurre in maniera significativa la fauna ittica e il trasporto di sedimenti, modificando così gli alvei fluviali.  Un briefing dell’Agenzia europea per l’ambiente (Aea) del febbraio 2021 evidenzia infatti come “l’impatto cumulativo di un gran numero di barriere fluviali in Europa è una delle cause principali del declino di oltre l’80% della biodiversità d’acqua dolce e della perdita del 55% delle popolazioni di pesci migratori monitorate”.

Le barriere alterano il flusso naturale di un fiume, possono bloccare le rotte migratorie dei pesci e delle specie acquatiche sia a monte sia a valle, isolando così gli habitat. L’interruzione della continuità influisce sui modelli di riproduzione dei pesci migratori, come trote, anguille e storioni. Anche il trasporto di sedimenti nei fiumi viene bloccato e questo porta all’accumulo di sedimenti a monte e alla mancanza di sabbia e ghiaia a valle. “Come risultato di tutti questi fattori, gli ecosistemi e i loro processi possono essere gravemente compromessi e l’habitat della flora e della fauna acquatica può essere drasticamente alterato”, sottolinea l’Agenzia europea per l’ambiente. Particolarmente dannoso per gli ecosistemi fluviali è anche l’hydropeaking: brusche oscillazioni di portata connesse alla produzione di energia nelle fasce orarie di massima richiesta, che provocano una riduzione delle specie animali e vegetali a causa di arenamenti e dilavamento delle sponde.

“In un contesto in cui ci sarà sempre meno acqua, non si possono chiedere ulteriori sacrifici a ecosistemi acquatici già sull’orlo del collasso -spiega ad Altreconomia Andrea Goltara, direttore del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf)-. Sull’idroelettrico non c’è più margine per nuovi impianti, inclusi quelli ad acqua fluente, che avranno comunque un impatto trascurabile in termini di produzione. Non ha senso sacrificare ulteriormente i fiumi per produrre qualche kilowattora in più. Occorre invece lavorare sull’efficienza dei grandi impianti e ridurne gli impatti: le gare per il rinnovo delle concessioni rappresentano un’occasione fondamentale per fare nuovi investimenti ambientali, mettendo in campo interventi di mitigazione, ad esempio per ridurre l’hydropeaking o ripristinare il trasporto di sedimenti, e azioni di riqualificazione a valle come opera di compensazione”.


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