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Il fenomeno del ferrociclo che fa rinascere le ferrovie dimenticate

Vélo Rail du Larzac, un sistema di quattro percorsi intorno al piccolo paese di Sainte-Eulalie-de-Cernon (in Occitania). In foto il Viaduc de Millau © Sur les rails du Larzac

Un veicolo a pedali su binari, strategico per recuperare e preservare le linee ferroviarie dismesse, può rendere attrattive le aree interne e sviluppare un turismo lento e responsabile. Ma la china della burocrazia è sempre la più difficile da superare

Tratto da Altreconomia 275 — Novembre 2024

Quando passa il ferrociclo anche un binario morto riprende vita. Il ferrociclo –railbike in inglese, velorail in francese, draisina per i più rétro- è una sorta di chimera meccanica, un veicolo a pedali a più posti, assimilabile a una bicicletta per l’impulso muscolare (ma ne esistono anche a pedalata assistita) e idoneo a circolare su binari ferroviari. Una modalità innovativa di utilizzare le tratte delle linee ferroviarie dismesse, che potrebbe rappresentare un attrattore perfetto per sviluppare un turismo lento e consapevole in alcune aree interne o poco frequentate. Il ferrociclo offre bonus straordinari come un finestrino infinitamente aperto, il brivido del vento tra i capelli, il profumo dei boschi e uno spasso per bambini e ragazzi. Non consente solo di scoprire territori selvaggi ma anche le opere dell’uomo come viadotti, ponti o tunnel, da un punto di vista del tutto inedito.

Anche se pochi lo sanno, in Italia il ferrociclo ha da tempo dignità giuridica. La legge numero 128 del 9 agosto 2017, dal titolo “Disposizioni per l’istituzione di ferrovie turistiche mediante il reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o archeologico”, contiene tra le sue finalità proprio “la disciplina dell’utilizzo dei ferrocicli”. L’articolo 10, denominato “Ferrocicli”, nel suo unico comma recita: “La circolazione dei veicoli a pedalata naturale o assistita in possesso dei requisiti tecnici definiti dalle norme UNI può essere consentita sulle linee ferroviarie dismesse o sospese, con modalità definite dal proprietario o dal gestore dell’infrastruttura, evitando comunque ogni forma di promiscuità con la circolazione dei treni”.

“Una norma che ci mette al passo con altri Paesi, dove il ferrociclo è una realtà affermata -spiega ad Altreconomia Alberto Sgarbi, presidente della Federazione italiana delle ferrovie turistiche e museali (Fiftm, fiftm.it)-. Poco dopo l’approvazione della legge ci siamo impegnati con il ministero dei Trasporti e il supporto dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansfisa) a redigere la norma UNI richiamata dall’articolo in questione, emanata poi quello stesso settembre come 11685:2017 Ferrociclo-Requisiti tecnici e costruttivi”. Ma la norma attuativa, pur avendo reso il ferrociclo in Italia una “bici onesta”, non è ancora sufficiente, come vedremo, a farlo esordire nel nostro Paese.

Eppure non sono le infrastrutture a mancare: “Le linee ferroviarie dismesse in Italia -spiega Sgarbi-, individuate nell’allegato 1 del Decreto interministeriale n. 146/2022, sono più di 25, per circa 1.500 chilometri. Si tratta di percorsi non più idonei alla circolazione dei treni ma che conservano i binari e il sedime, condizione per recuperarle all’utilizzo del ferrociclo con un investimento molto limitato”. Se poi qualche traversina non è perfetta, non c’è problema: “In Francia, ad esempio, basta che sia in regola una traversina su quattro. Del resto un treno pesa centinaia di volte di più”. Per la cronaca, si definiscono linee o tratte ferroviarie a uso turistico quelle “dismesse o sospese dall’esercizio commerciale, […] caratterizzate da particolare pregio culturale, paesaggistico e turistico, […] sulle quali possono circolare, in conformità a specifiche regole di circolazione, treni composti da rotabili storici o turistici abilitati a percorrerle”. Le ferrovie turistiche italiane attraversano spesso aree non toccate dal turismo di massa.

Un ferrociclo dal convegno Ferrociclo che ha chiuso a Lanusei la tappa in Ogliastra del festival IT.A.CÀ © lanusei.civicam.it

“Penso ad esempio alla bellissima linea Fano-Urbino -riprende Sgarbi-, al tratto Castelvetrano-Portopalo di Menfi in Sicilia, alla Ferrovia silana o alle Linee taurensi in Calabria”. Per non parlare della Sulmona-Castel di Sangro, la transiberiana d’Italia. “Senza contare -aggiunge- che l’opportunità si può allargare alle ferrovie turistiche dove il treno passa solo poche volte l’anno, come la Palazzolo-Paratico che arriva fino alle sponde del lago d’Iseo”. Un altro valore aggiunto è che l’utilizzo costante dei binari aiuta a salvaguardare l’infrastruttura da incuria e degrado.

Ma come funziona un ferrociclo? Un mezzo leggero, dal peso di una settantina di chili (più i passeggeri ovviamente). I posti per chi pedala sono di solito due, più altrettanti posti per i passeggeri. La trasmissione e i freni sono assimilabili a quelli di una bici. La velocità di crociera raggiunge anche 20-25 chilometri orari. I percorsi possono variare da pochissimi chilometri a venti o più, soprattutto se le pendenze sui binari non sono eccessive e ci sono “stazioni” intermedie. Il ferrociclo è inoltre complementare (e non contrapposto) alle greenways, i percorsi ciclabili ricavati dai tracciati ferroviari smantellati che oggi sono circa settanta in Italia per quasi mille chilometri in totale e un potenziale ancora più alto.

Sardegna, Lombardia e Calabria sono le Regioni che hanno già testato con successo un ferrociclo sui binari delle loro ferrovie turistiche o dismesse

Nella corsa al ferrociclo in Italia, dove pure è stato proposto in Calabria, Marche, Puglia e altre Regioni, Sardegna e Lombardia sembrano in fuga. In Ogliastra è interessato il tratto della ferrovia Mandas-Arbatax che va da Lanusei a Gairo Sant’Elena, gestito da Arst e su cui periodicamente passa il mitico Trenino Verde. Proprio a Lanusei lo scorso settembre il convegno di chiusura del festival del turismo responsabile IT.A.CÀ ha avuto per protagonista silente un prototipo di ferrociclo a scartamento ridotto progettato per le ferrovie della Sardegna dal Museo ferroviario piemontese di Savigliano, conforme alle norme UNI e certificato da Certifer Italia. Lo ha costruito e accudito con passione Claudio Di Maria del Museo ferroviario piemontese di Savigliano (museoferroviariopiemontese.it) che l’ha fatto arrivare in Sardegna via mare.

Un ferrociclo a quattro posti, con una struttura leggera e una regolare certificazione: è il ferrociclo progettato e realizzato dal Museo ferroviario di Savigliano © http://www.museoferroviariopiemontese.it/

Così spiega nel suo intervento Jean-Luc Madinier, dell’agenzia di eco-turismo Sardaigne en Libertè: “L’esperienza francese (vedi box sotto) ci dice che per ogni linea di ferrociclo si possono creare dai cinque ai dieci posti di lavoro, anche tramite l’indotto, grazie a punti di ristoro, officine di riparazione bici e guide escursionistiche per i dintorni”. Il ferrociclo sulla storica ferrovia della Valmorea, tra le province di Varese e Como, è invece il progetto a cui sta lavorando E-Vai, società del gruppo Ferrovie Nord Milano che ne gestisce i servizi di mobilità sostenibile e che la Regione Lombardia ha sostenuto con dieci milioni di euro. “Il percorso da Malnate Olona fino al confine svizzero è pronto a ospitare il ferrociclo -spiega Massimiliano Ferrari di Ferrovie Nord-. Tra i più entusiasti del progetto ci sono proprio i sindaci dei paesi sulla tratta. A ottobre 2023 abbiamo potuto fare un viaggio sperimentale per verificare, con successo, la fattibilità tecnica”.

Sono dieci i posti di lavoro che una linea di ferrociclo potrebbe generare

Ma più di un inciampo rischia di far deragliare il ferrociclo ancor prima di partire. Spiega ancora Alberto Sgarbi di Fiftm: “Mentre in tutta Europa e nel resto del mondo sono associazioni non profit di diversa natura a gestire il turismo ferroviario, in Italia invece i treni turistici sono di competenza del Gruppo ferroviario nazionale Fs, società per azioni di cui è socio unico il ministero dell’Economia, e Rete ferroviaria italiana (Rfi) che si occupa dell’infrastruttura ferroviaria”.

Anche per questo la possibilità di utilizzare le linee dismesse per una fruizione turistica con il ferrociclo richiede un importante livello di sicurezza, definito in primis dalle caratteristiche tecniche e costruttive del ferrociclo (soddisfatta dalla norma UNI), da una certificazione -che può essere fornita da un soggetto abilitato come Certifer (certifer.eu)- e dalla definizione di “linee guida” per la circolazione, che facciamo da riferimento per il gestore del servizio e dei binari.
Per quest’ultimo aspetto, poco dopo l’approvazione della legge, era stato attivato un apposito tavolo di lavoro a cui partecipava Fiftm, il ministero dei Trasporti, con il supporto esterno dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali (ansfisa.gov.it). “Questa fase è stata completata al 90%, mutuando in buona parte l’esperienza francese -testimonia Sgarbi-. Ma tutto si è arenato nel momento di indicare quale fosse l’organismo pubblico o l’ente che -sotto l’egida del ministero- doveva dare l’autorizzazione e recepire le linee guida, per poi calarle nella propria realtà”.

“Sono tutti favorevoli al ferrociclo ma nessuno vuole prendersi la responsabilità di concedere le autorizzazioni” – Alberto Sgarbi

La questione più ardua da risolvere riguarderebbe gli incroci con il traffico veicolare. “Ma in realtà ci sono soluzioni semplici -nota Sgarbi-. In Francia se l’incrocio riguarda strade principali è richiesta la presenza di un addetto, mentre per le secondarie, dove la precedenza è sempre di chi percorre la strada (il ferrociclo non è un veicolo ferroviario anche se sta sulle rotaie, ndr), ci sono barriere elastiche che vengono aperte a mano da chi viaggia sul mezzo a pedali, facendo un po’ di attenzione”. Oppure, in ultima analisi, ci sono le segnalazioni tradizionali del codice della strada. “Il vero problema -riprende Sgarbi- è che, nonostante siano tutti favorevoli, nessuno si vuole prendere la responsabilità, per timore di dover rispondere di eventuali, improbabili incidenti”. Una rinnovata volontà politica passa quindi dalla riapertura di un tavolo di lavoro, prima di tutto presso la commissione Trasporti alla Camera. In sintesi il messaggio è “se vuoi il ferrociclo, allora pedala”.


Vélorail alla francese

Il ferrociclo corre da oltre 30 anni sui binari di molti Paesi europei: Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Svezia, Irlanda e altri. Ma l’esperienza più solida è per certo quella francese dove l’associazione Vélorail de France (veloraildefrance.com), nata nel 2004 ha più di 64 reti attive su oltre mille chilometri di linee turistiche, con una presenza stimata di 600mila viaggiatori nel 2023. Paradigmatica è la storia del “Vélo Rail du Larzac”, un sistema di quattro percorsi, che ruotano intorno al piccolo paese di Sainte-Eulalie-de-Cernon (in Occitania) e che si snodano su 17 chilometri complessivi, con passaggi in 12 tunnel e su sei viadotti, tra cui il Viaduc de Millau (nella foto di copertina). In alta stagione ci sono 50 veicoli a disposizione che trasportano un migliaio di passeggeri al giorno. Questo permette di dare lavoro a una ventina di addetti di cui cinque per tutto l’anno (surlesrailsdularzac.com). In Francia ci sono anche dei veri e propri produttori e manutentori di vélorails, conformi alle normative CEE, e venduti in tutto il mondo. In Germania è da segnalare invece il primo carrello a pedale al mondo accessoriato con l’energia solare, il solardraisine ueberwaldbahn.

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