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Diritti / Intervista

Il documentario “El Juicio” e la lotta per la giustizia in Argentina

© “El Juicio”

La ricostruzione dei processi alla giunta militare al potere dal 1976 al 1985: abusi, torture e la vicenda dei desaparecidos emergono dai racconti delle vittime. Il regista Ulises de la Orden, che ha vissuto la dittatura, mostra al pubblico i processi restaurati, richiamando la necessità di imparare dal passato. Lo abbiamo intervistato

Due anni dopo la fine della dittatura militare in Argentina, nel 1985, alcuni membri della Giunta che aveva capeggiato il Paese vengono sottoposti a un processo. “El Juicio” riguarda i crimini contro l’umanità praticati con sistematicità durante il periodo dell’ultima dittatura del Paese, riportando a galla, in un girato di tre ore diviso in 18 capitoli, le nefandezze che il popolo argentino ha dovuto sopportare per anni.

Il regista argentino Ulises de la Orden ha deciso di far parlare direttamente i filmati dell’epoca, le testimonianze nei processi alla giunta. Ore di sequenze che raccontano storie di tortura, sparizioni e violenze che colpirono uomini, donne e bambini innocenti. Il regista lo divide in capitoli, per concedere allo spettatore momenti di respiro tra una sezione e l’altra, tempo per riflettere. Risuona una delle ultime frasi pronunciate dall’accusa, battutasi per fare giustizia alle vittime e ai familiari dei desaparecidos: “Nunca màs!”

Perché ha deciso di produrre questo documentario, ricostruendo ciò che è avvenuto negli anni Ottanta, oggi? Qual è stata la sua spinta personale verso questa tematica così sensibile?
UO
Ho deciso di dedicarmi a questo documentario perché la dittatura dei militari ha fatto da sfondo a una parte della mia crescita: avevo sei anni quando sono saliti al potere. Credo che un aspetto che mi ha molto colpito sia stato che il processo ai “dittatori” è stato ottenuto senza alcun aiuto esterno. Ancora più impressionante è il fatto che avevano ancora accesso alle armi e al potere sulle truppe al momento del giudizio, appunto l’anno dopo la fine del governo militare. Un processo fondamentale per la nostra democrazia, che si potrebbe dire duri da quattro decadi e sta ancora avendo luogo, anche se non fa parte dell’agenda pubblica e la maggior parte delle persone se lo sono dimenticato. Infatti ci sono voluti quarant’anni di democrazia per parlarne.

Come è riuscito ad avere accesso ai video e ad altri materiali storici necessari per la ricostruzione del processo? Quali sono state le sfide che ha incontrato nella ricostruzione?
UO La mia ricerca, per interesse personale, è iniziata circa dieci anni fa. Si tratta di materiale che avrebbe dovuto essere pubblico, ma che non era a portata di mano. Ho prima esplorato gli archivi della tv pubblica e poi quelli nazionali, senza sapere che cosa avrei potuto farne, visto che c’era ancora timore a trattare certi argomenti. Degna di nota è una Ong, “Memoria abierta”, che si prende cura degli archivi di altre otto organizzazioni non governative e si è dedicata alla digitalizzazione delle videocassette dei processi nel 2010. Per quanto riguarda le sfide, direi che la più grande è quella di raccontare storie che le persone non conoscono, mettendole a disposizione delle giovani generazioni, cercando di operare un dosaggio della violenza. Nelle testimonianze al processo ne viene raccontata tanta, ma bisogna evitare di sfociare in una pornografia del dolore. In questo sono stato aiutato anche dal consiglio di una Ong, “Madri di Plaza de Mayo”.

Quale ruolo ha, per lei, il cinema nella conservazione della memoria storica degli eventi, come per i desaparecidos in Argentina?
UO C’è stata una produzione culturale rispetto a quei tragici eventi e credo che il cinema abbia un grande potere nel tramandare la memoria di un Paese. I documentari però faticano ancora a raggiungere il grande pubblico. Ciò che mi chiedo però è com’è possibile che oggi in Argentina, nonostante il nostro passato, abbiamo avuto una tale deriva fascista.

Nel corso delle proiezioni del documentario a cui ha preso parte, ha ricevuto reazioni significative da parte del pubblico?
UO Quando si fa un film si ha sempre qualcuno in mente, in questo caso io pensavo ai sopravvissuti, mi chiedevo che cosa ne avrebbero pensato se l’avessero visto. Aspettavo che le madri della Ong di cui parlavo prima, “di Plaza de Mayo”, venissero a vederlo e temevo che avrei
fatto loro rivivere un momento molto doloroso; oppure i sopravvissuti. Inizialmente ho ricevuto silenzio, poi piano piano sono arrivati anche loro. Venivano a parlarmi dopo la proiezione, mi raccontavano la loro storia; oppure mi scrivevano una lettera o ancora mi invitavano a prendere un caffè nei giorni seguenti e finivamo a parlare per ore del loro vissuto.

Alla luce di ciò che ha creato con questo documentario, quali crede siano le implicazioni più rilevanti per la società argentina contemporanea, rispetto alla giustizia, la memoria storica e la responsabilità?
UO Negli ultimi anni stiamo assistendo a una banalizzazione della comunicazione audio visiva, ma i documentari hanno bisogno dei riflettori e di ottenere l’attenzione del grande pubblico per informare, approfondire. “El Juicio” diventerà, ma so che sta già accadendo, materiale di studio per studenti, o sarà d’aiuto agli avvocati nei processi giudiziari, essendo una ricostruzione di un precedente essenziale.

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