Diritti / Opinioni
Il Coronavirus ci ha fatto riscoprire il senso di collettività
Alle limitazioni dello Stato di emergenza, il Paese ha risposto con gesti solidali. Un’occasione per ripensare il nostro mondo. La rubrica di Pierpaolo Romani (Avviso Pubblico)
“Non ho tempo”. E ancora: “Dobbiamo cambiare”. Quante volte sentiamo pronunciare queste frasi nella nostra quotidianità. La differenza, rispetto a qualche settimana fa e mentre scrivo, è che di tempo adesso ne abbiamo molto a disposizione e il cambiamento lo abbiamo dovuto mettere in atto forzatamente. Il Coronavirus ci ha cambiati in pochissimi giorni. Stop ai viaggi e alle manifestazioni pubbliche. Impossibile mangiare una pizza, andare al cinema e a teatro. Fortemente sconsigliato uscire di casa, persino per fare una passeggiata al parco. Siamo stati invitati dalle autorità a restare a casa. Le nostre libertà fondamentali si sono improvvisamente ristrette.
Stiamo vivendo giorni drammatici, complessi e inaspettati. La paura ci ha resi più prudenti. Ci ha bloccati o ci ha spinto a fare scelte sbagliate quando si è trasformata in panico e angoscia: la fuga dalle regioni del Nord verso il Sud e le isole. Tuttavia, dobbiamo provare a vedere anche la positività di queste giornate forzatamente casalinghe. Ci hanno offerto l’occasione per fare cose che avevamo rimandato nel tempo oppure per pensarne altre da realizzare in futuro. Non solo. Siamo stati di più con i nostri familiari. Abbiamo fatto qualche telefonata o videochiamata in più, prestando maggiore attenzione a ciò che realmente conta nella vita: le relazioni umani e sociali. Molti hanno scoperto lo smart working, il lavoro agile, grazie al quale si è constatato che si può lavorare anche da casa, riducendo gli spostamenti e così il nostro stress e l’inquinamento ambientale. Abbiamo visto che un altro mondo così come un’altra economia è possibile.
9,6 versus 3,8: nel 2016 i presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari attivi in Italia erano 12.501 e disponevano complessivamente di 412.971 posti letto, pari a 6,8 ogni mille persone residenti (6,4 nel 2016). L’offerta è più alta nelle regioni del Nord con 9,6 posti letto ogni mille abitanti: nel Sud la quota scende a 3,8 (Fonte: Rapporto Bes-Istat 2019)
La chiusura quasi totale del Paese ha stimolato reazioni collettive inaspettate. Tante persone sono uscite sui balconi delle loro case e hanno iniziato a cantare e a suonare insieme per dire che questo periodo passerà e che “andrà tutto bene”. I giovani hanno fatto la spesa per gli anziani, i soggetti più a rischio. Si è riscoperto un senso di collettività che pensavamo fosse scomparso o rarefatto. Tutto d’un tratto il richiamo alla responsabilità e alla solidarietà, personale e collettiva, si è fatto forte e diffuso nel Paese. Il Coronavirus è stato l’occasione per vedere le cose da un’altra prospettiva, come avrebbe detto il professor Keating del bellissimo film “L’Attimo fuggente”. Da una situazione in cui eravamo noi a voler tenere fuori dai nostri confini chi proveniva da altri Paesi, ci siamo trovati a essere noi, per il mondo intero, coloro che dovevano essere esclusi. Siamo diventati noi i “diversi”, gli untori, coloro da cui stare lontani. Per cui ci hanno tagliato i voli, ci hanno impedito di sbarcare da lussuose navi da crociera e, per andare da Bolzano a Innsbruck, abbiamo dovuto fare 90 chilometri di coda e sottoporci a severi controlli al valico del Brennero. Il virus, tuttavia, ha valicato muri e confini e si è diffuso nel mondo, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha decretato lo stato di pandemia.
Personalmente, il Coronavirus mi ha reso orgoglioso di essere italiano. Da questa rubrica vorrei ringraziare tutti gli operatori del nostro sistema sanitario nazionale pubblico che ha profuso un impegno eccezionale per curare e, spesso guarire, gratuitamente tantissime persone non chiedendo loro di esibire la carta d’identità, la dichiarazione dei redditi o una polizza assicurativa. Se sapremmo cogliere per il verso giusto questa crisi non solo sanitaria, ma anche sociale ed economica, ne usciremo rafforzati e migliori di come vi siamo entrati.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”
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