Diritti / Attualità
I respingimenti della polizia greca e i migranti usati per il “lavoro sporco”
Le autorità elleniche picchiano e denudano i richiedenti asilo afghani e di altre nazionalità, inclusi bambini, prima di rimandarli illegalmente in Turchia. E nella fase finale dei pushback si affidano anche ad “ausiliari” cui è stato promesso un “lasciapassare”. Frontex lo sa. Il report di Human Rights Watch
Le autorità greche picchiano, derubano e denudano i richiedenti asilo afghani e di altre nazionalità, inclusi bambini, appena prima di respingerli illegalmente verso la Turchia. E nella fase finale dei pushback usano come “ausiliari” altri migranti coperti da passamontagna cui sarebbe stata promessa in cambio una sorta di “lasciapassare”. Con un ruolo attivo dell’Agenzia europea Frontex. È quanto emerge, di nuovo, dal report “Their faces were covered” curato dalla Ong Human Rights Watch e pubblicato all’inizio di aprile 2022.
Il rapporto è frutto di 26 interviste condotte in luoghi protetti ad altrettanti cittadini e cittadine originari dell’Afghanistan, rimasti vittima di almeno 30 respingimenti dalla Grecia verso la Turchia tra settembre 2021 e febbraio 2022. I pushback condotti dalle autorità greche, sia nell’Egeo e sia alla frontiera terrestre segnata dal fiume Evros, non sono purtroppo una novità. Human Rights Watch, non da sola, li documenta fin dal 2008. “Questi violano molteplici norme -ricorda l’Ong-, dal divieto di espulsioni collettive della Convezione europea dei diritti umani al principio di non refoulement della Convenzione sui rifugiati del 1951″. La rassegna di testimonianze dell’ultimo rapporto è comunque impressionante e inchioda le responsabilità della Grecia e dell’Unione europea.
Karim, 22 anni, partito dalla provincia afghana di Baghlan, ha attraversato il fiume Evros nel settembre 2021, un mese dopo la definitiva caduta di Kabul nelle mani dei Talebani. “Dopo aver attraversato il fiume abbiamo camminato per quattro ore e poi siamo stati catturati dalla polizia”, racconta. “Ci hanno preso tutto: abiti, oggetti, telefoni. Hanno bruciato i nostri vestiti e ci hanno lasciato in mutande”.
Calci e pugni sono la norma. “Eravamo in 25 e dopo la traversata abbiamo camminato per sette ore nei campi e nelle foreste -ricostruisce Naji, 37 anni, ex soldato delle forze speciali afghane-. Siamo stati arrestati nei pressi della ferrovia. Hanno preso a calci me e chiunque non guardasse per terra. Appena guardavi in alto ti colpivano con più forza. Un comportamento totalmente disumano”. In alcuni casi le violenze sono state ancora peggiori. C’è chi è stato picchiato con manganelli o minacciato con una pistola alla testa. “Siediti qui o ti spariamo”, è stato detto ad Afsar, 23 anni della provincia di Kapisa.
Chiunque viene colpito, non solo chi ha la “colpa” di fuggire. Fathullah, 29enne di Herat, si è presentato in autonomia alla polizia greca e in cambio ha ricevuto botte e razzia dei documenti. “Ho camminato per 12 ore, ho perso i miei amici. Sono andato dalla polizia a chiedere aiuto: mi hanno picchiato, tolto i vestiti, rubato il telefono, il passaporto e documenti importantissimi per la mia richiesta di asilo. Mi hanno rotto un dente e ho iniziato a sanguinare”.
Venti testimoni hanno riferito di essere stati portati in centri o strutture di detenzione prima del respingimento in Turchia. Sono racconti orrendi. Waiz, 18 anni da Maidan Wardak, è stato detenuto per sette ore. “La polizia era molto aggressiva, colpivano in qualsiasi punto del corpo. Dopo averci spogliato ci hanno messo in una stanza che sembrava più una prigione”. Niamat, 26 anni, è rimasto nudo durante tutto il tempo della detenzione. “Mi hanno preso a calci. Eravamo in una stanza in 250, due ragazzi del mio gruppo avevano 16 anni. Non ci hanno dato cibo o acqua”.
Le autorità greche secondo Human Rights Watch avrebbero “intenzionalmente agito per umiliare le persone che avevano in custodia”. Quella di Samad, che arrivava dal Panjshir, è una testimonianza che rievoca momenti bui. “Siamo rimasti nel centro per due giorni. Chi non aveva le mutande è rimasto nudo. Io le avevo. Faceva davvero freddo e non c’era nulla per riscaldare gli ambienti. Quando abbiamo chiesto cibo ci hanno dato dei biscotti. Eravamo in 28, ce ne hanno lanciati quattro o cinque. E quando abbiamo cercato di prenderli si sono messi a ridere. Si sono presi gioco di noi”.
Hrw pubblica in calce al report la lettera integrale fatta avere a titolo di “risposta” dalla polizia greca, per mano del generale Dimitrios Mallios. La linea naturalmente è quella di minimizzare. Non esisterebbero centri “clandestini” ma strutture alla luce del sole, dice la polizia. Come il centro di Fylakio a Orestiada.
Tra le altre condotte gravi contestate alla polizia c’è anche quella di non fare nulla per determinare l’età dei minori e dei bambini, anch’essi detenuti e talvolta persino denudati. Nessuna misura di prevenzione anti-Covid-19, niente mascherine o distanziamento. A nessun punto del “percorso” è stata data la possibilità di chiedere asilo. Quando Karim, 22 anni, ha esplicitamente chiesto di presentare la domanda gli è stato “Go back”, vattene indietro. Amena, 36enne, ha attraversato il fiume Evros nel maggio 2021 con il marito e le due figlie. “Quando ci hanno arrestato abbiamo detto che eravamo rifugiati. Ci hanno detto ‘ok’ ma ci hanno mentito e trasferito in un centro di detenzione”.
Anche durante il respingimento c’è lo spazio per abusi e ruberie. “Se hai soldi lasciali qui”, hanno detto a Mahmood. Lui ha tirato fuori 600 lire turche (40 dollari). In realtà aveva altri 100 euro nascosti in tasca. “Quando li hanno scoperti mi hanno derubato, isolato dal resto gruppo e portato nella foresta con altri quattro afghani. Ci hanno picchiato ovunque, gambe, braccia, collo, testa, il mio naso sanguinava”.
L’abisso non ha fondo. Human Rights Watch ha raccolto ulteriori evidenze dell’impiego di uomini in tenuta paramilitare con indosso passamontagna per guidare le imbarcazioni che materialmente “concludono” il respingimento verso la Turchia. Si tratterebbe di altri migranti, dal Medio Oriente o Asia meridionale, usati per quello che Bill Frelick di Hrw chiama lo “sporco lavoro”. Afsar, 23 anni, è riuscito a parlare con alcuni di questi “ausiliari” della polizia greca durante il trasbordo. “La polizia ha la scritta ‘POLICE’ sui vestiti, loro invece indossano abiti neri e hanno la faccia coperta. Due cittadini pachistani ci hanno portato dall’altra parte del fiume Evros. Parlavano pashtu (la lingua iranica parlata in Afghanistan e Pakistan, ndr). Ci hanno detto che erano stati fotosegnalati e gli era stato richiesto dalla polizia greca di lavorare per tre mesi a seguito dei quali avrebbero ottenuto dei documenti”.
Lo stesso racconta Morad. “Ci hanno detto che i greci li avevano incaricati perché non volevano essere direttamente coinvolti nel mandare le persone indietro in Turchia”. Sarebbero stati incrociati siriani, afghani, pakistani. Anche questa non è una novità, ricorda Hrw citando lo straordinario lavoro del Border violence monitoring network che già dal 2020 almeno riporta casi e testimonianze del genere.
Diversi intervistati hanno riferito anche di aver visto agenti di polizia con indosso uniformi con sopra bandiere tedesche o austriache. Cioè agenti di Frontex, che è presente sul campo e rivendica un ruolo di garanzia e prevenzione. Non è affatto così, raccontano ad esempio Iqbal e Hakem, respinti sotto gli occhi dell’Agenzia europea diretta da Fabrice Leggeri. Il ruolo di Frontex in Grecia è già oggetto di molteplici indagini e le evidenze circa il suo coinvolgimento nei respingimenti verso la Turchia sono ormai solide. Ciò nonostante l’Agenzia si è ben guardata dal rispondere alle puntali segnalazioni di Human Rights Watch.
Un ipocrita gioco delle parti cui sembra voler partecipare anche la Guardia costiera italiana. All’inizio di aprile 2022, appena prima della pubblicazione del devastante rapporto di Hrw, l’ammiraglio Nicola Carlone, comandante della Guardia costiera, ha infatti incontrato il ministro della Marina mercantile e della politica insulare greca e l’omologo comandante generale della Guardia costiera (ricordiamo che nell’aprile 2021 l’azienda italiana Cantiere Navale Vittoria gli ha consegnato due dei quattro Offshore patrol vessel, una commessa da 55 milioni di euro). Il comunicato stampa recita: “L’ammiraglio Carlone nel suo intervento ha valorizzato il ruolo della Guardia costiera greca che svolge molteplici compiti del tutto simili a quella italiana e che la collaborazione tra le due amministrazioni si è consolidata nel tempo conseguendo eccellenti risultati per la sicurezza marittima”. Eccellenti risultati.
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