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I requisiti del Reddito di cittadinanza discriminano (anche) i rifugiati: il caso di Bergamo

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Per il Tribunale di Bergamo richiedere anche ai titolari di protezione internazionale 10 anni di residenza in Italia per accedere alla misura è in contrasto con il diritto europeo. Sulla questione deciderà la Corte di giustizia dell’Unione europea. “Non è un caso isolato -denuncia l’Asgi-: colpiti negli anni più di 100mila richiedenti”

Richiedere anche ai titolari di protezione internazionale dieci anni di residenza in Italia per accedere al Reddito di cittadinanza (Rdc) contraddice il diritto europeo e rappresenta una discriminazione. Secondo il Tribunale di Bergamo, infatti, richiedere anche ai rifugiati dieci anni di residenza in Italia prima di poter acceder alla misura costituirebbe una violazione delle leggi europee che garantiscono ai possessori di protezione internazionale la parità di accesso ai servizi assistenziali rispetto ai cittadini del Paese ospitante. Per queste ragioni il Tribunale, con una ordinanza del 15 novembre 2022, ha rimesso la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

La questione è emersa quando il Tribunale ha esaminato il caso di una persona rifugiata, sposata in Italia e con due figli, che era residente nel Paese da poco meno di dieci anni al momento della richiesta di adesione al Reddito di cittadinanza. Dopa averlo inizialmente ottenuto, in seguito a dei controlli effettuati dall’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) si era visto revocare il Reddito in quanto “il richiedente non fornisce prove adeguate a poter documentare la residenza effettiva in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, prima della presentazione dell’istanza”. L’Inps aveva quindi revocato il Reddito e inoltre aveva richiesto la restituzione delle somme già corrisposte, percepite secondo l’Istituto in modo indebito. L’uomo si era rivolto alla Cgil di Bergamo ottenendo la tutela degli avvocati Alberto Guariso, Ilaria Traina e Giovanna Maggi dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Secondo l’Asgi il suo caso “è una dei moltissimi che hanno interessato i cittadini stranieri che avevano presentato domanda pur in assenza del requisito previsto dalla legge (dieci anni di residenza anche non continuativi, di cui gli ultimi due continuativi prima della domanda) e che si sono visti poi revocare la prestazione: secondo i dati forniti dall’Inps si tratta di più di 100mila richiedenti”.

Il 15 novembre 2022 il giudice gli ha dato ragione: i requisiti sono in contrato con la Direttiva 2011/95 che garantisce un equo accesso a servizi e prestazioni di assistenza sociale da parte di cittadini italiani e titolari di protezione internazionale. “Un requisito così lungo, che non può essere fatto valere da più della metà dei rifugiati attualmente residenti in Italia, viola infatti l’obbligo di parità di trattamento previsto dalla direttiva, inoltre non risponde neppure ad alcuna ragionevole motivazione non avendo lo Stato interesse a escludere da un percorso di inserimento persone bisognose che hanno una presenza stabile in Italia e sono comunque titolari di un permesso a tempo indeterminato. “Anche la Commissione nominata dal precedente governo per formulare proposte di riforma del Rdc e presieduta dalla professoressa Chiara Saraceno aveva proposto la forte riduzione del requisito”, scrive Asgi.

La questione non riguarda solamente i rifugiati. Anche la Corte costituzionale dovrà pronunciarsi a breve sullo stesso tema ma riferito ai cittadini europei, a seguito di un rinvio stabilito dalla Corte d’appello di Milano. “Asgi e Cgil Bergamo, con il sostegno di Cgil Lombardia, che hanno seguito assieme a numerose associazioni  del Terzo settore la vicenda degli stranieri esclusi dal Reddito di cittadinanza chiedono che il governo e il Parlamento, senza necessità di prolungare ulteriormente questa fase di incertezza, pongano mano a un  requisito fortemente sospetto di illegittimità (come dimostrano i due rinvii alle Alte corti) e comunque inutile che esclude persone bisognose dalla possibilità di accedere a un percorso di uscita dalla marginalità”, concludono le organizzazioni.

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