Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Economia / Opinioni

I padroni di casa a Milano: il caso dei patrimoni dei fondi pensione in mano alla finanza

Il complesso residenziale di via Sulmona © Circolo Perrucchini-Tiberio

Lo scorso anno l’ente di previdenza dei medici Enpam ha ceduto il complesso di via Sulmona e via Tertulliano al fondo Apollo Global Management: le 500 famiglie in affitto concordato hanno iniziato a ricevere lettere di disdetta. Perché? L’analisi di Gian Gaetano Bellavia, esperto di Diritto penale dell’economia e di riciclaggio

Da anni la città di Milano è al centro di importanti progetti immobiliari, dall’ex Macello agli Scali ferroviari ai vari progetti dell’area Rogoredo-Santa Giulia, il cui numero è destinato ad aumentare ulteriormente anche in vista delle Olimpiadi invernali di Milano Cortina 2026. In questa complessa mappa merita un approfondimento quello che sta succedendo sul territorio del Municipio quattro, periferia Est della città, dove tra il 2021 e il 2022 il fondo pensione Enpam -organismo di previdenza del personale medico- ha dismesso il complesso residenziale di via Sulmona e via Tertulliano: si tratta di diversi palazzi all’interno di un giardino comune risalenti agli anni Settanta in cui risiedono circa 500 famiglie, tutte in affitto, che versano un canone concordato. 

L’acquirente è l’Apollo Global Management, una società di private equity con sede a New York, che ha poi affidato l’immobile a InvestiRE Sgr, gruppo Banca Finnat Euramerica Spa, che ha costituito due appositi fondi, “Hestia” e “Basiglio”. Nelle ultime settimane, i nuovi proprietari hanno iniziato a inviare lettere di disdetta dei contratti di locazione man mano che questi scadono. A fronte di questa situazione, lo scorso 22 giugno il Comune di Milano ha incontrato InvestiRE e successivamente i sindacati degli inquilini. I residenti sono preoccupati da questa situazione ma non hanno ancora ricevuto rassicurazioni concrete da parte degli enti locali.

L’assetto proprietario della società InvestiRE Sgr

Il testo che segue è una sintesi dei contenuti emersi a seguito di un incontro del luglio 2022 tra i soci del circolo di Rifondazione comunista “Perucchini-Tiberio”, l’associazione Milano in Comune del Municipio quattro e Gian Gaetano Bellavia, commercialista, esperto di Diritto penale dell’economia e di riciclaggio, autore peraltro della prefazione del nostro libro “Il giro dei soldi. Storie di riciclaggio. Da Milano al Delaware: dove finiscono i capitali sporchi di evasori e criminali“.


Prima di cominciare
Per comprendere quello che sta succedendo nel complesso residenziale di via Sulmona e di via Tertulliano occorre fare un passo indietro nel tempo e un “salto” al di là dell’Atlantico. La questione centrale è la potenza globale della finanza. Da almeno 25 anni la facilità di comunicazione e di movimento e soprattutto la cosiddetta rivoluzione informatica hanno consentito a tutti di accedere a tutto ovunque, soprattutto in questi ultimi anni. Da qui anche la facilità di delocalizzare, ma non al fine di sviluppare attività di impresa bensì di aumentare gli utili.

L’involuzione del sistema capitalistico non ha portato benefici diffusi a tutta la popolazione ma solo a coloro che possono beneficiare di profitti: si è ampliata la forbice tra chi è sempre più povero e chi è sempre più ricco. La finanza ha preso il sopravvento sull’impresa, con la trasformazione o, meglio, la “finanziarizzazione” delle grandi imprese. Il fenomeno ha origine negli Stati Uniti sotto l’amministrazione di Ronald Reagan (tra il 1981 e il 1989) ed esplode a partire dagli anni Novanta con la liberalizzazione del sistema bancario a cui fu consentito di non esercitare più solo il “classico” credito ma di inventarsi “fantasiosi” prodotti finanziari, senza più alcun contatto con la realtà produttiva: si cominciarono a “impacchettare” i crediti in prodotti finanziari che contenevano tanti “pezzettini” di crediti poi girati nel mondo.

La crisi del 2007-2008 (esplosa negli Stati Uniti ma presto di portata globale) è illuminante dal punto di vista storico: è bastato che emergesse il problema dei molti cittadini (non ricchi) che avevano tentato di comprare casa, indebitandosi (indotti da un sistema finanziario immobiliare speculativo), perché tutto esplodesse. Gli Stati Uniti sono poi ricorsi a soldi pubblici: e così gli utili realizzati in precedenza sono andati ai privati, mentre le perdite sono state rese pubbliche. O meglio, la Federal reserve (la Banca centrale degli Stati Uniti) ha iniziato a emettere in maniera incontrollata una massa monetaria totalmente svincolata dall’economia reale, che per di più poteva esser spesa dagli americani ovunque nel mondo.

Il problema dell’aumento a dismisura della massa monetaria si è ripetuto in Europa, nel biennio 2011-2012, quando la Banca centrale europea (Bce) ha cominciato a comportarsi in maniera analoga agli Stati Uniti, anche se con strumenti diversi: per affrontare il problema del debito pubblico di vari Paesi iniziò a emettere scritture contabili per dare nuova liquidità alle banche affinché sottoscrivessero il debito pubblico degli Stati in difficoltà e concedessero crediti alle imprese a tassi agevolati. In altre parole, la Bce dava denaro alle banche praticamente a tasso zero. Queste -che nel frattempo erano ormai diventate private e quindi votate al profitto- invece di finanziare attività produttive hanno investito a loro volta denaro nei mercati finanziari, generando un loop di crescita dei valori finanziari borsistici che dal 2011 al 2021 è stato spaventosamente elevato al di là di ogni riferimento con l’economia reale. Grazie alle politiche finanziare adottate da Stati Uniti, Unione europea e Giappone, ritroviamo in circolazione in tutto il mondo un’enorme massa di denaro virtuale. Ma dove mettere i profitti così virtualmente generati? Sempre negli anni Novanta cominciarono a svilupparsi i cosiddetti fondi comuni di investimento, destinati a raccogliere gli utili per investirli e generarne altri.

Fondi comuni di investimento e fondi di private equity
I fondi comuni di investimento sono uno strumento creato dalla metà degli anni Ottanta per consentire anche ai singoli di partecipare al “gioco” della finanza. Ci sono società che raccolgono denaro sul mercato, emettono azioni, obbligazioni o prodotti finanziari apparentemente rappresentativi dell’economia reale a cui il cittadino investitore non potrebbe accedere (sarebbe troppo oneroso), ma a cui può partecipare comprando o vendendo quote di fondi di investimento (sostanzialmente, strutture con un patrimonio separato che raccolgono denaro sul mercato e lo investono mettendo insieme i denari dei cittadini investitori). I fondi comuni di investimento sono stati normati, sono state create società apposite (le Società di gestione del risparmio, Sgr) per gestirli e collocarli ai risparmiatori.

Questo concetto (pur nella follia generale della finanza) ha un suo senso, è di per sé lecito e comprensibile. È stato però assunto e trasportato in una logica completamente diversa: sono stati creati fondi di private equity (di capitale privato) soprattutto all’estero. Ci sono investitori, che vengono definiti “istituzionali” (ma che nessuno di noi sa chi davvero siano), che mettono soldi in tali fondi e che non si limitano ad acquistare diverse tipologie di azioni, ma interi quartieri di una città attraverso operazioni immobiliari.

© Circolo Perrucchini-Tiberio

Atterriamo in via Sulmona e via Tertulliano
È il nostro “caso”. Anche qui la logica è quella del guadagno: acquisire immobili e valorizzarli. Come? Nella maniera meno redditizia, svuotandoli e vendendoli sul mercato. Ma nella vicenda di via Sulmona e di via Tertulliano siamo probabilmente di fronte a uno scenario diverso: qual è il modo più proficuo per realizzare utili, in un contesto che si sta “riqualificando”? Creare un nuovo complesso residenziale, di lusso, allontanando i poveri e attraendo i ricchi. Com’è successo in ogni parte del mondo dal Regno Unito agli Stati Uniti.

A questa “involuzione” del capitalismo si associa qualcosa di più nell’utilizzo della finanza: le strutture criminali. Il “bello” della globalizzazione e dei fondi di private equity di diritto estero è la possibilità di mettere i propri soldi nei cosiddetti “paradisi fiscali”, che non hanno in realtà quasi nulla di “fiscalità” ma sono invece realmente paradisi dell’anonimato bancario e societario. Quindi quella massa spaventosa di denaro che proviene da attività illecite di vario tipo (non abbiamo dati precisi, ma comunque stime per migliaia di miliardi di dollari all’anno) può facilmente trasferirsi negli stessi fondi in cui convergono le liquidità che provengono dalle attività delle banche centrali. Aggiungiamoci anche gli evasori, che trasferiscono i propri capitali nelle giurisdizioni offshore e si trovano poi a manovrare denaro che non possono utilizzare nel loro territorio ma vagano nel mondo.

Questo denaro tende ad “atterrare” sul nostro territorio per essere investito nell’economia reale. E quale città in Italia può dare una prospettiva di sviluppo immobiliare migliore di quella di Milano? Altrove, se si costruisce, ormai si deve vendere quasi a prezzo di costo (e infatti non si costruisce più). Nel capoluogo lombardo invece si vende, anche nell’estrema periferia, a prezzi molto più elevati rispetto a quelli di costo. In via Sulmona oggi vecchi appartamenti come quelli alienati dall’Enpam vengono messi sul mercato per cifre vicine ai tremila euro al metro quadrato, ma se si fa una operazione “come si deve” è possibile rivenderli anche a più di cinquemila euro. Sono cifre assolutamente al di fuori della portata delle persone normali. Date queste premesse, per quale motivo le società che hanno comprato questi immobili dovrebbero favorire l’affitto a canoni equi a chi abita o abiterà lì? Ovviamente non hanno alcun interesse a operazioni di tipo sociale.

© Circolo Perrucchini-Tiberio

Perché i fondi pensione vendono i propri immobili
Una volta i fondi pensione investivano in immobili perché questi non si deprezzavano, anzi: i ricavi dal possesso d’immobili si apprezzano, perché, se c’è svalutazione (proprio come avviene oggi), la stessa viene compensata dall’aumento dei canoni in base all’indice Istat. Investimenti tranquilli e sicuri, con un impatto sociale perché i grandi fondi pensione (con un importante patrimonio immobiliare) davano anche a chi non poteva comprarsi una casa una possibilità abitativa accessibile. Questi investimenti, tuttavia, non generano “commissioni”. Un problema per il mondo della finanza, i cui guadagni si basano su una logica paradossalmente semplice (e che nessun governo si è mai peritato di cambiare): a fronte di un prodotto finanziario, l’investitore paga una commissione che viene versata a chi fa da intermediario. Più i prodotti finanziari sono rischiosi, più sono elevate le “commissioni” che i gestori dei fondi di investimento riconoscono a chi porta i denari, a chi dà loro i denari da gestire. Perché poi i gestori non prendono i soldi solo sulla base dei rendimenti o dei risultati: prendono i soldi a prescindere. Applicano dei costi di gestione sul patrimonio, non solo sul risultato.

Gestire immobili è evidentemente noioso e ripetitivo, non si possono fare speculazioni. Ma vendendoli si ottiene liquidità, si può entrare nel circuito dei mercati finanziari e allora si aprono nuovi scenari. Poi, se i mercati finanziari vanno male o addirittura vanno al tracollo sarà un problema dei pensionati, non certo dei gestori.

Che cosa può fare il Comune
Torniamo a via Sulmona: probabilmente rappresenta l’inizio di un percorso molto più ampio su Milano, che si sta già verificando e che proseguirà nei prossimi anni. I fondi pensione dismetteranno tutto il possibile, come stanno già facendo le società assicurative o la Banca d’Italia. Probabilmente il quartiere verrà radicalmente trasformato, attendendo per qualche anno la scadenza dei contratti dei precedenti locatari. Il vero problema è dove andranno le 500 famiglie. Gli enti locali non possono intervenire sulla finanza internazionale ma si può provare a indurli a sostituirsi a questi “investitori istituzionali” che non investono più in infrastrutture per le persone. Il Comune deve governare il territorio a favore dei propri cittadini, non degli investitori, e nel governo del territorio una parte essenziale è proprio la programmazione urbanistica.

L’ente locale non può prescindere dall’esigenza abitativa di fasce di popolazione che non possono permettersi l’acquisto di un immobile e il Comune possiede strumenti di trattativa con le iniziative immobiliari private. Gli oneri comunali a carico dell’imprenditoria privata, ad esempio, possono essere prevalentemente rivolti a favore dell’edilizia pubblica, come peraltro si è sempre fatto a Milano prima e dopo la Seconda guerra mondiale: bisogna continuare a rendere disponibili alloggi per le persone che non possono comprarli, ma che necessitano di un tetto.

Milano deve rimanere una città per tutti, non solo per chi può spendere cifre imbarazzanti. Il Comune quindi dovrebbe intervenire secondo le sue possibilità e in relazione alle trattative con i fondi investitori proprio per articolare le convenzioni a favore dello sviluppo dell’edilizia residenziale pubblica. È necessario ritornare a costruire case popolari. Questo dovrebbe fare un Comune ricco e capace come quello di Milano e dotato di una struttura amministrativa importante, con più di 16mila dipendenti.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati