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Crisi climatica / Opinioni

I limiti della narrazione nucleare

© Lukáš Lehotský - Unsplash

Tempi, costi, rischi: nonostante l’evidenza il Piano nazionale energia e clima prevede uno sviluppo delle centrali. Ignorando dati incontestabili. La rubrica di Stefano Caserini

Tratto da Altreconomia 273 — Settembre 2024

Una delle cose che si fatica a capire nel dibattito sulla transizione energetica è perché il tema dell’energia nucleare debba essere trattato in modo così irrazionale. Ci sono parti contrapposte che faticano a confrontarsi sul piano dei numeri, partendo da fatti condivisi. Prevalgono le narrazioni. Eppure, analizzando i dati, ce ne sono alcuni che dovrebbero essere riconosciuti come incontestabili.

Il primo è che per costruire gli impianti nucleari ci vuole tempo. Da quando si decide di iniziare la progettazione di un impianto per uno specifico sito a quando il primo kilowattora viene prodotto passano da dieci a 19 anni. Il tempo di costruzione medio dei 62 reattori fabbricati nell’ultimo decennio (di cui 37 in Cina) è stato di 9,2 anni. Ma per gli ultimi impianti realizzati in Francia, Finlandia o Stati Uniti i tempi sono stati doppi.

Il secondo è che i costi dell’energia prodotta dal nucleare non sono già ora competitivi rispetto a quelli dell’energia rinnovabile solare ed eolica. Quest’ultime risultano più convenienti anche non tenendo in considerazione per il nucleare i costi del lungo smantellamento degli impianti e dello stoccaggio delle scorie, e conteggiando per le rinnovabili quelli per la gestione della variabilità della produzione (per esempio per lo stoccaggio di una parte dell’energia prodotta).

Uno studio pubblicato ad aprile di quest’anno sulla rivista Frontiers in environmental economics da ricercatori nordeuropei, ha mostrato dati impietosi su questo confronto. I grandi investimenti e i lunghi tempi necessari per la costruzione degli impianti nucleari fanno sì che questi non piacciano agli investitori privati.

Anche i fanatici che vedono nel libero mercato la soluzione a tutti i problemi dovranno riconoscere un dato di fatto: nessuno dei 601 reattori costruiti dal 1951 a oggi è stato costruito solo attraverso capitali privati e in un mercato energetico competitivo. I soldi li deve mettere lo Stato. Il libero mercato dell’energia è stato un freno allo sviluppo degli impianti nucleari, molto più degli ambientalisti.

Un terzo argomento è che le nuove tecnologie nucleari, di cui ultimamente si sente parlare, di fatto sono ancora in fase di ricerca e sviluppo. Sempre dallo stesso articolo scientifico si legge che degli ottanta progetti di “Small modular reactor” (reattori più piccoli di quelli tradizionali e per questo -si ritiene- più facili da finanziare e far accettare), solo quattro sono in costruzione o funzionanti. Per non parlare dell’energia da fusione, di cui nessuno può dire quando entrerà in funzione il primo impianto e con quali costi.

Poi ci sono i problemi tradizionali del nucleare: il pericolo di incidenti molto gravi, con diffusione di radionuclidi, che non possono essere esclusi. Rischi che portano a misure di sicurezza molto costose e difficoltà assicurative. O i problemi legati al pericolo di stoccaggio di plutonio o uranio arricchito in un mondo in cui il terrorismo ha già mostrato capacità di sorprendere le misure di sicurezza. O il rischio di proliferazione nucleare, ossia la possibilità che non solo i cosiddetti “Stati canaglia”, ma anche gruppi terroristici organizzati possano sviluppare armi nucleari.

Infine, il cambiamento climatico con i suoi impatti pone altri problemi agli impianti nucleari: eventi estremi, uragani più potenti, periodi siccitosi che già oggi obbligano a ridurre il funzionamento di molti impianti per la carenza di acqua di raffreddamento. Il livello del mare, il cui innalzamento sta accelerando, sarà da tenere in considerazione per i reattori localizzati nelle zone costiere (un quarto del totale).

Insomma, non riesco a vedere molte motivazioni razionali nella scelta dell’ultimo Piano nazionale energia e clima (Pniec), trasmesso dal governo di centrodestra a Bruxelles a inizio luglio, di prevedere uno sviluppo in Italia del nucleare. Tanti annunci, ma se si guardano i pochi numeri ottimistici presenti nel Pniec, alla fine il nucleare presenta i suoi limiti. Nel 2050 l’energia prodotta sarà un ottavo di quella generata con le rinnovabili. Anche le narrazioni hanno i loro limiti.

Stefano Caserini è docente all’Università di Parma. Il suo ultimo libro è “Sex and the Climate” (People, 2022)

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