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Crisi climatica / Approfondimento

Gli sponsor fossili degli sport invernali sciolgono il futuro delle discipline

© Michel Grolet - Unsplash

Gli sport invernali sono messi sempre più a rischio dai cambiamenti climatici che, specie in Europa, riducono fortemente le nevicate. Eppure le inserzioni a cura di aziende petrolifere, automobilistiche e aeree rappresentano una fetta rilevante degli introiti degli eventi, delle federazioni e degli atleti. Il rapporto di Badvertising

Esiste una relazione tossica tra le aziende fossili e gli sport invernali. Da un lato gli effetti dei cambiamenti climatici stanno riducendo l’innevamento e mettendo a rischio le competizioni invernali. Dall’altro aziende altamente emissive, come quelle petrolifere, automobilistiche e aeree, sono tra i principali sponsor di eventi, federazioni e atleti invernali. Utilizzando gli stessi sport che stanno distruggendo per costruirsi un’immagine di facciata. Sono i risultati del report “The snow thieves” pubblicato a marzo 2023 da Badvertising, campagna che lotta contro le pubblicità e gli sponsor che danneggiano il clima, e dal think tank New weather institute. “Con la loro immagine pulita e salutare di attività all’aria aperta, gli sport invernali sono particolarmente attraenti per le sponsorizzazioni da parte di grandi inquinatori che vogliono ‘lavare’ la propria immagine -osservano i ricercatori-. Abbiamo individuato 107 accordi di sponsorizzazione ad alto contenuto di carbonio con federazioni sciistiche, organizzatori di eventi, squadre e singoli atleti”. Il maggior numero di contratti appartiene alle case automobilistiche che contano 84 sponsorizzazioni, di cui 54 a opera di Audi. Le compagnie aeree contano, invece, cinque contratti contro i 12 delle aziende petrolifere.

Il cambiamento climatico sta lentamente cancellando l’inverno, aumentando la temperatura media e riducendo le nevicate e le precipitazioni. La stagione si sta riducendo, in tutto il mondo, di una media di 4,7 giorni ogni decennio e, secondo gli scenari climatici più “pessimisti”, a fine secolo potrebbe durare solamente un mese, da metà dicembre a metà gennaio. Nell’emisfero Nord le temperature aumentato di conseguenza di 0,35 °C ogni dieci anni. L’Europa, a causa della sua posizione geografica, è destinata a riscaldarsi a una velocità doppia rispetto al resto del globo. Con gravi conseguenze sullo sci e sugli sport invernali: già durante quest’inverno la temperatura media di alcune località sciistiche alpine ha superato i 20 °C, costringendole a una chiusura anticipata. Mettendo a rischio non solo un settore economico molto importante nei Paesi dell’arco alpino, ma anche le competizioni del settore.

La riduzione dell’innevamento nei Paesi europei a maggio, considerato come fine della stagione invernale, dal 1970 al 2022

Già a dicembre del 2021 una ricerca pubblicata sulla rivista Current issues in tourism aveva evidenziato come, con l’attuale incremento delle temperature medie globali, solo una delle 21 località che hanno ospitato i Giochi olimpici invernali potranno organizzare nuovamente la competizione nel 2080. “Le preoccupazioni riguardo gli effetti del cambiamento climatico sono particolarmente sentiti all’interno del Comitato olimpico internazionale: la designazione della sede dei Giochi invernali del 2030 è stata rimandata al prossimo anni proprio per avere più tempo per analizzare gli effetti del riscaldamento globale”, riportano i ricercatori. Gli effetti sulle competizioni sono visibili già oggi: il 5 gennaio di quest’anno la Federazione internazionale sci e snowboard (Fis) ha rimandato a marzo i Campionati mondiali di snowboard a causa di “alte temperature fuori stagione”.

Nella Coppa del mondo di sci di fondo a lunga distanza, tra il 2012 e il 2016, 14 corse su 29 sono state costrette ad accorciare il tracciato, spostare la competizione in una località più fredda, posticipare l’evento o a cancellarlo del tutto. Di queste competizioni 16 hanno dovuto fare affidamento sull’innevamento artificiale per una parte, o addirittura per l’intero tracciato. Con un costo notevole, tenendo conto che queste gare si tengono su lunghezze che variano dai 30 ai 90 chilometri. L’innevamento artificiale, o programmato, è diventato una risorsa centrale nelle Olimpiadi invernali: introdotto nel 1980 a New York nel corso degli anni ha progressivamente sostituito la neve “naturale”. Nel 2014 a Sochi, in Russia, si è sciato sull’80% della neve artificiale, mentre nei due successivi Giochi olimpici, in Cina, questa percentuale è salita al 100%.

Le aziende automobilistiche, aeree e petrolifere, tra i maggiori responsabili delle emissioni climalteranti, hanno un ruolo importante nel sostenere gli sport invernali. Un esempio citato dal report è Vasaloppet, la più antica competizione di sci di fondo al mondo e uno dei più importanti eventi in Svezia (è stimato che contribuisca per 24 milioni di dollari al turismo del Paese). La competizione dal 2015 è sponsorizzata da Volvo, casa automobilistica che ha sede proprio a Göteborg, e da Preem, la più grande compagnia petrolifera svedese, a partire dal 2009. Secondo i ricercatori le emissioni combinate delle due aziende (Volvo ha dato conto di 32 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, mentre Preem 52 milioni) pari a 84 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, hanno contribuito a far sciogliere 210 chilometri quadrati di neve pari a 233 volte il tracciato della competizione.

Gli sport invernali, che in Europa godono di grande popolarità con 136 milioni di appassionati, sono un ottimo campo in cui attuare strategie di sportwashing, pratiche seguite da aziende controverse (ma anche da regimi repressivi come il Qatar) per pulirsi la reputazione appoggiando e finanziando eventi sportivi. Oltre a presentarsi come “amiche” dei partecipanti di questa disciplina: ad esempio le auto Volvo sono commercializzate come ideali per gli appassionati di sporti invernali e l’azienda sfrutta questi eventi per ribadire il proprio impegno per la decarbonizzazione e i veicoli elettrici. In generale, l’industria automobilistica ha speso nel 2018 1,3 miliardi di dollari per pubblicizzare eventi sportivi, il 64% delle loro sponsorizzazioni.

“I dirigenti delle compagnie petrolifere, delle case automobilistiche e delle compagnie aeree sanno di aver bisogno del sostegno pubblico per continuare la loro attività -affermano i ricercatori-. Perdere il sostegno della comunità è il loro principale rischio d’impresa. Invece di cambiare le loro attività in modo sostenibile, stanno lottando duramente per proteggere il business-as-usual attraverso le relazioni pubbliche, il marketing e le sponsorizzazioni”. Ma la realtà dietro le comunicazioni aziendali e di facciata non è cambiata. Il settore dei trasporti è responsabile per il 25% delle emissioni di anidride carbonica a livello globale; le automobili ricoprono il 41% di queste emissioni. “La stessa Volvo ha la reputazione di produrre le auto più pesanti, e quindi a maggior consumo energetico, d’Europa, di cui un’alta percentuale è costituita da Suv. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia questi veicoli sono stati il secondo contributo in ordine di importanza all’aumento delle emissioni climalteranti. E la casa di stanza in Svezia rimane indietro nella produzione di auto elettriche che nel 2022 costituivano solo il 10% della flotta”.

Una via d’uscita esiste e consiste nel vietare la pubblicità e gli sponsor delle aziende fossili o “altamente emissive”, comprese compagnie aeree e case automobilistiche, in quanto dannose per il clima. Uno studio del 2022 di Greenpeace e del New weather institute ha evidenziato come l’aumento della richiesta di prodotti e servizi dovuto alle pubblicità dannose per il clima abbia generato tra le 202 milioni e le 606 milioni di tonnellate di CO2 durante il solo 2019. Diverse iniziative sono già state prese per limitare le pubblicità fossili. Ad esempio, in Francia le aziende automobilistiche devo includere messaggi nelle loro inserzioni televisive messaggi che invitano a una mobilità sostenibile. Mentre la città di Amsterdam, insieme ad altre sette città del Paese, ha vietato le pubblicità fossili dal trasporto pubblico. Ma questo non basta, è necessaria un’iniziativa da parte dell’Unione europea, come già proposto lo scorso agosto dalla società civile.

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