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Finanza / Opinioni

Gli interessi sul rating: chi ha in mano Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch

© Jordan Crawford - Unsplash

Le sorti dei debiti globali dipendono dalle valutazioni di società private che devono fare profitti e che sono partecipate, specie dopo la crisi del 2008, dai più grandi fondi finanziari del Pianeta, impegnati a scommettere contro molti Stati. “Gli strumenti di valutazione dei presunti mercati sono macchine da soldi”. L’analisi di Alessandro Volpi

Il debito mondiale è stimato intorno a 307mila miliardi di dollari, di cui circa 100mila sono costituiti da debiti pubblici. Si tratta di cifre record, quasi raddoppiate rispetto al 2015. Per pagare gli interessi su questo debito pubblico serve una quantità di risorse finanziarie pari al 15-17% del Pil globale e se i tassi salissero ancora si arriverebbe presto al 20%. Una cifra spaventosa da cui dipende la tenuta degli Stati e, nel caso del debito privato, di famiglie e imprese. Ma dove si trova la liquidità per finanziare una simile montagna di carta? In parte, soprattutto nel caso del debito americano, ci pensa la Federal Reserve con il dollaro, ma neppure questo intervento basta. Diventano indispensabili, dunque, le risorse del famoso “risparmio gestito” che negli ultimi anni si è concentrato nelle mani di pochissimi grandi fondi finanziari, destinati a divenire così essenziali per la vita stessa dei Paesi e quindi in grado di dettare le regole del funzionamento dell’economia e della politica.

Anni di abbattimento del carico fiscale sui profitti e sulle rendite hanno reso l’indebitamento la strada obbligata per finanziare la spesa sociale e quando l’inflazione, scatenata dalla speculazione, ha spinto le banche centrali al rialzo dei tassi quel debito è diventato onerosissimo e dunque la strada dei grandi fondi, dei “padroni” del mondo, si è spalancata in un duplice modo: con le privatizzazioni, per il costo dello Stato sociale, e con il finanziamento del debito a tassi altissimi. Verrebbe da pensare che l’inflazione speculativa sia stata costruita dai fondi proprio per arrivare qui. In una situazione siffatta acquistano ancor più peso le agenzie di rating.

Ormai da tempo queste agenzie di esprimono pagelle determinanti nella formazione delle strategie di investimento dei fondi pensione e dei fondi istituzionali e persino per l’elaborazione delle condotte monetarie della Banca centrale europea; sono decisive quindi nell’orientare proprio il vastissimo mondo del risparmio gestito e incidono sull’istituto di Francoforte, che, pur dotato di propri organismi di valutazione, considera in maniera assai attenta i giudizi delle agenzie.

Sappiamo che le tre agenzie principali sono Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch ma quello che, appunto, forse ricordiamo meno è la loro proprietà su cui vale la pena effettuare un breve ripasso. Moody’s appartiene a Warren Buffet, attraverso il fondo Berkshire, e ad una decina di grandi fondi finanziari, tra cui BlackRock. Standard & Poor’s è controllata, attraverso McGraw-Hill, da un grande fondo come Capital World e, di nuovo, da BlackRock, Vanguard e Capital Research Management, mentre Fitch è riconducibile ad Hearst Corporation. In sintesi, i soggetti che esprimono valutazioni decisive sulla finanza, pubblica e privata, e in particolare sui debiti, sono nelle mani di realtà finanziarie che partecipano direttamente al mercato finanziario.

Per essere più chiari, le sorti globali discendono dalle valutazioni di società private che devono fare profitti e che sono partecipate, in particolare dopo la crisi del 2008, dai più grandi fondi finanziari del Pianeta, impegnati a scommettere a piene mani contro molti debiti, vendendo assicurazioni in caso di loro fallimento. Ma ciò che rende ancora più incredibile una simile situazione è la duplice circostanza che queste agenzie sono già state causa di enormi disastri finanziari, come nel 2001 e nel 2008 -garantendo però lautissimi proventi ai loro azionisti-, e che dovrebbero sottostare al controllo dell’agenzia europea Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, dimostratasi a più riprese del tutto inadeguata. Del resto, la normativa europea e internazionale consente che organismi il cui “core business” è la valutazione di strumenti finanziari cruciali, come nel caso dei debiti sovrani, possano essere di proprietà degli stessi player che scommettono su tali strumenti finanziari e, non di rado, li producono.

Ma perché la politica non propone un semplice regolamento, molto chiaro, per cui le agenzie di rating non possono essere di proprietà di soggetti finanziari che, evidentemente, non possono essere imparziali? Gli strumenti di valutazione utilizzati dai presunti mercati sono in realtà formidabili macchine da soldi che spesso si alimentano con i pareri negativi che esprimono. Forse la strada più logica sarebbe quella di creare un’agenzia di rating internazionale e indipendente, priva del tutto di scopi di lucro e votata, in termini statutari, all’interesse pubblico. Ma, probabilmente, si tratta di un’utopia perché il mercato, ormai, sembra non esistere senza la speculazione.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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