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Finanza / Opinioni

Che cosa c’entra Londra, e il listino privato Platts, con i prezzi della benzina

La city di Londra dove ha sede il listino Platts che determina i prezzi dei carburanti © Jude Arubi

Nelle ultime settimane le scommesse dei grandi fondi speculativi hanno generato una tendenza rialzista nei prezzi dei carburanti -pur in assenza di scossoni sul mercato del petrolio- che si è combinata con la forte incidenza del prelievo fiscale (tra Iva e accise). Che cosa fare? L’analisi di Alessandro Volpi

I prezzi dei carburanti in Italia stanno continuando a salire incidendo in maniera significativa sul potere d’acquisto di famiglie e imprese. Per frenare il fenomeno sembra che servano davvero a poco le misure introdotte in materia di trasparenza alla pompa, l’azione (molto episodica dei controlli di “Mr prezzi”) e i tentativi di concertazione tra il governo e le categorie della filiera di produzione e distribuzione.

Per giustificare questi aumenti spesso si chiama in causa un ipotetico incremento del prezzo del greggio, determinato dalla decisione degli Stati aderenti all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec+) di tagliare le proprie esportazioni: l’ultimo annuncio sul tema è stato fatto all’inizio di giugno 2023. Si tratta, come abbiamo già scritto, di una motivazione in larga misura infondata, per due ragioni essenziali.

La prima: gran parte di questi tagli non sono ancora entrati in vigore. E in ogni caso negli ultimi mesi il prezzo del greggio al barile non ha subito grandi oscillazioni (attestandosi a lungo attorno agli 80 dollari) a differenza di quello dei carburanti: in Italia quello della benzina è passato rapidamente da 1,7 a 2,5 euro a al litro.

La seconda ragione, di natura più strutturale, si lega alla sedi di determinazione dei prezzi. Che per i carburanti avviene, su base giornaliera, presso il listino privato Platts che ha sede a Londra ed è di proprietà della società McGraw-Hill. A sua volta posseduta da grandi fondi finanziari statunitensi (Vanguard e BlackRock in primis), gli stessi che sono impegnati quotidianamente negli scambi dei contratti. Per essere ancora più chiari: la definizione del prezzo della benzina non dipende da quello del petrolio, ma dalle scommesse speculative fatte dagli stessi soggetti che sono proprietari del listino privato Platts.

Nelle ultime settimane questi hedge funds attraverso gli strumenti della finanza derivata (vere e proprie scommesse) hanno generato una tendenza rialzista nei prezzi dei carburanti -pur in assenza di scossoni sul mercato del petrolio- che si è combinata con la forte incidenza del prelievo fiscale. In Italia l’importo pagato dai cittadini per un litro di benzina o diesel è formato per il 45% dal costo della materia prima, in larga parte legato alla speculazione, e per il 55% dal prelievo fiscale composto dalle accise e dall’Iva al 22%. Quando il prezzo del greggio tende a salire, inevitabilmente si “appesantisce” anche la quota legata al prelievo fiscale. Nella fase attuale, quindi, il combinato disposto di quotazioni Platts in crescita e incidenza fiscale sta scatenando una tempesta perfetta per i consumatori.

Di fronte a una situazione di questo tipo servirebbero soluzioni sia di natura generale, sia di carattere più specifico. Le prime dovrebbero prevedere, in sede internazionale, una normativa che limiti l’utilizzo degli strumenti speculativi nella determinazione dei prezzi oltre alla sostituzione del listino privato Platts -soggetto a inevitabili conflitti d’interesse- con un’autorità regolatrice di carattere istituzionale. Le soluzioni di tipo più specifico, invece, hanno a che fare con la disponibilità del governo a ridurre il carico fiscale: una condizione in questo momento estremamente complessa date le difficoltà di reperire risorse per la prossima legge di Bilancio.

Le accise e l’Iva sui carburanti, infatti, garantiscono alle casse dello Stato un’entrata stimabile, anche per effetto dell’inflazione, in oltre 30 miliardi di euro. Una cifra cui il governo non pare in alcun modo in grado di rinunciare. Servirebbero poi maggiori controlli per stanare le distorsioni di prezzo che avvengono all’interno della filiera produttiva e distributiva, dalla raffinazione alla pompa. Distorsioni che certamente sono presenti per effetto della natura monopolista del settore ma che non bastano in alcun modo a spiegare l’esplosione dei costi alla pompa di benzina.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento.

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