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“Gli abusi nel mondo dello sport sono un fenomeno diffuso”. Non solo in Italia

© jacob-rice, unsplash

Nelle scorse settimane diverse ginnaste ed ex atlete hanno denunciato i maltrattamenti subiti nelle palestre da parte dei loro allenatori. L’associazione “Change the game” monitora dal 2017 il fenomeno e promuove attività di sensibilizzazione per squarciare il velo del silenzio e la retorica delle “mele marce”

“Se non si presta attenzione ai segnali di allarme che vengono lanciati dagli atleti e dalle atlete, inevitabilmente ci si ritrova a dover fronteggiare denunce pubbliche e di massa. I giovani e le famiglie che in passato avevano parlato degli abusi, delle molestie e delle violenze subiti durante la pratica sportiva molto spesso non hanno ricevuto l’attenzione che meritavano. La reazione, di conseguenza, non può che essere quella di una crisi di sistema, come quella esplosa nel mondo della ginnastica ritmica nelle ultime settimane”. La giornalista Daniela Simonetti dedica attenzione da anni attenzione al mondo dello sport: non solo con le sue cronache da bordo campo ma più recentemente con il suo impegno per la tutela dei più giovani e la denuncia di tutte quelle pratiche -dal bullismo alla violenza verbale fino a quella fisica e sessuale- che violano i diritti fondamentali dei minori. Nel 2017 ha fondato l’associazione “Change the game” che accompagna le giovani vittime e le loro famiglie nel difficile percorso davanti agli organi di giustizia ordinaria e sportiva. All’interno del sito è presente inoltre un’apposita sezione in cui vittime e testimoni possono denunciare “situazioni e condotte di abuso” in sicurezza e anonimato. “Questo recente flusso di disperazione emerso dal mondo della ginnastica affonda le proprie radici nella più generale disattenzione nei confronti degli abusi nel mondo dello sport nel suo complesso e che in passato non sono stati affrontati con rigore e intelligenza”, spiega Simonetti ad Altreconomia.

Di questi temi si è occupata anche nel libro “Impunità di gregge. Sesso, bugie e omertà nel mondo dello sport” (Chiarelettere, 2021): un’inchiesta che ha l’obiettivo “di far riflettere sui rischi reali che corrono bambini e bambine che praticano sport e di indurre le federazioni a prendere i dovuti provvedimenti”. Sia il libro sia “Change the game” puntano a squarciare il velo del silenzio e dell’omertà che a lungo hanno avvolto questi temi in Italia, scardinando la retorica delle “quattro mele marce”.

I numeri, del resto, sono un primo indicatore di quanto sia importante e urgente affrontare questo tema. Secondo gli ultimi dati forniti dal Coni, in Italia i tesserati alle federazioni sportive sono 4,2 milioni: le donne rappresentano il 28% del totale mentre gli under 18 sono il 54%. Nonostante queste cifre, però, nei regolamenti federali non ci sono norme che puniscano esplicitamente gli atti di pedofilia o violenza sessuale; per contro, agli sputi contro l’arbitro o gli avversari (diretto, indiretto, sul corpo, sul viso) sono dedicati almeno un centinaio di commi.

“Il fenomeno degli abusi ai danni dei giovani atleti e in particolare delle ragazze esiste e credo sia molto più ampio rispetto a quanto comunemente si pensa: si va dalla violenza emotiva e verbale fino ai palpeggiamenti e persino alle molestie sessuali -spiega Simonetti-. Lo sport ha dei suoi ‘rituali’ che rendono bambini e ragazzi più vulnerabili: penso alle trasferte, periodi di tempo più o meno lunghi durante i quali possono diventare facili prede. O ancora all’attaccamento fortissimo, talvolta eccessivo, con la figura dell’allenatore: a lui è affidato il sogno di primeggiare e la sua realizzazione. Molti atleti, anche d’élite, mi hanno detto che il coach ‘è come dio’ e non c’è nulla che non farebbero per lui. Dietro a questo rapporto di potere sbilanciato può facilmente nascondersi una situazione di abuso come le presunte relazioni ‘sentimentali’ tra una ragazzina appena adolescente il suo allenatore adulto, anche molto più grande di lei”.

I numeri e le storie raccolte da Simonetti all’interno di “Impunità di gregge” mostrano una realtà preoccupante: tra il 2017 e il 2020 sono stati celebrati oltre 40 processi a carico di tesserati per abusi sessuali all’interno del mondo sportivo italiano ma nessuna federazione prevede l’obbligo di radiazione per chi commette questo tipo di reati. “I codici sono ‘tarati’ su un mondo che non esiste più, che non aveva la giusta sensibilità nei confronti delle donne e dei bambini e che non tiene conto delle tante istanze sociali emerse negli ultimi anni: anche nello sport serve una misura analoga al ‘Codice rosso’ che tuteli le vittime di violenza -spiega Daniela Simonetti-. E poi occorre adeguare gli statuti e i codici di giustizia in cui non è presente nemmeno comma dedicato a questi temi. Se un illecito non viene nemmeno descritto, come è possibile sanzionarlo?”.

Il risultato di questa situazione è un’estrema discrezionalità nei comportamenti delle diverse federazioni: alcune prevedono la radiazione per chi commette questo tipo di reati e viene condannato dalla giustizia ordinaria (quindi non c’è obbligo), altre applicano un periodo di sospensione di alcuni anni. Ma non sono mancati casi, come denuncia Simonetti nella sua inchiesta, in cui un allenatore condannato è poi “transitato” da una federazione all’altra aggirando così i provvedimenti disciplinari.

Sarebbe però sbagliato pensare che sia solo il mondo dello sport italiano a dover fare i conti con questa situazione. Restando nel mondo della ginnastica, ad aprile 2021 è stato pubblicato un rapporto indipendente commissionato dalla federazione olandese che denuncia i “comportamenti vergognosi” subiti dalle atlete tra cui minacce, umiliazioni, insulti e intimidazioni, fino alla costrizione a perdere peso. Nel 2018 negli Stati Uniti è stato condannato a più di cento anni di carcere il medico della squadra olimpica di ginnastica Larry Nassar che per anni ha potuto abusare di circa 500 atlete nel silenzio dei vertici federali. Tra le sue vittime anche la campionessa olimpica Simone Biles. Sempre negli Stati Uniti ai primi di ottobre è stato pubblicato un rapporto indipendente che ha messo sotto la lente d’ingrandimento il campionato di calcio femminile e che denuncia come “gli abusi nella National womens’ soccer league (Nwsl) sono radicati in una cultura più profonda di questa disciplina, a partire dai campionati giovanili, che normalizza gli abusi verbali da parte degli allenatori e confonde i confini tra allenatori e atlete”, come ha scritto la curatrice del rapporto, l’ex procuratore generale Sally Q. Yates.

Altrettanto preoccupanti i dati che emergono dalla ricerca “Cases” che indaga la violenza tra i minori all’interno dei contesti sportivi in sei Paesi europei (Austria, Belgio, Germania, Romania, Spagna, Regno Unito) attraverso più di 10mila interviste a bambini e ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Il 75% ha riferito di aver vissuto almeno un’esperienza di violenza all’interno nell’ambito sportivo prima della maggiore età. “L’esperienza più comune -si legge nel rapporto- è stata la violenza psicologica (65%), seguita da quella fisica (44%), dalla violenza sessuale senza contatto (35%) e dalla violenza sessuale con contatto fisico (20%)”. Un atleta su cinque ha indicato il coach come l’autore dell’abuso sessuale.

A fronte di uno scenario così preoccupante, quali interventi mettere in atto per fare in modo che le palestre siano veramente luoghi sicuri? “Per prima cosa è necessario coinvolgere le famiglie: i genitori devono poter chiedere informazioni sugli allenatori, i loro curricula e se la palestra in cui hanno iscritto i loro figli adotta codici per la tutela dei minori -spiega Daniela Simonetti-. Poi bisogna lavorare per formare allenatori, istruttori e assistenti: ma non bastano poche ore online, servono percorsi approfonditi dedicati ai rapporti con minori in età evolutiva, al linguaggio e che spieghino come comportarsi di fronte a bambini e bambine”. Infine è necessario lavorare sull’apparato sanzionatorio: “Servono entità autonome dal potere politico, indipendenti e competenti per valutare eventuali denunce. Il modello è la struttura creata nel 2017 negli Stati Uniti con una legge del Congresso sull’onda del caso Nassar (condannato come detto l’anno seguente) -spiega Simonetti-. Il Dipartimento per lo sport finalmente si sta aprendo a questi temi, abbiamo federazioni importanti come la Federazione italiana giuoco calcio che ha iniziato a fare informazione e sensibilizzazione sul tema”.


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