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Diritti / Approfondimento

Il Fondo sovrano dell’Arabia Saudita e i collegamenti diretti con violazioni dei diritti

Il principe saudita Mohammad bin Salman © Marin Ludovic/Pool/ABACA / ipa-agency.net / Fotogramma

Un report di Human rights watch inguaia (di nuovo) il Public investment fund, che ha in dote quasi mille miliardi di dollari. Avrebbe supportato la repressione del regime retto di fatto dal principe Mohammad bin Salman: dalla controversa megalopoli di Neom, tra sgomberi forzati e manodopera sfruttata, al violento sviluppo urbanistico di Gedda, fino al brutale assassinio di Jamal Khashoggi. I tentativi di ripulirsi l’immagine e i legami con l’Italia

Il Fondo sovrano dell’Arabia Saudita, il Public investment fund (Pif), ha facilitato la commissione di gravi violazioni dei diritti umani e ne ha tratto beneficio, incluso il brutale omicidio nel 2018 del giornalista saudita Jamal Khashoggi, tra le principali voci critiche delle politiche del principe ereditario Mohammad bin Salman Al Sa’ud, padrone de facto del Paese da quasi dieci anni.

Lo denuncia da ultimo il report “The man who bought the world”, pubblicato a fine novembre di quest’anno da Human rights watch.

“Il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman ha un controllo incontestato sul Fondo di investimento pubblico del Paese, che vale quasi mille miliardi di dollari -ha spiegato Joey Shea, ricercatrice sull’Arabia Saudita per conto di Human rights watch-. Il principe ha usato il potere economico del fondo sovrano per commettere gravi violazioni dei diritti umani e per nascondere il possibile danno alla sua reputazione derivante da questi abusi”. 

Gli ultimi dieci anni hanno segnato una svolta nella storia dell’Arabia Saudita. Con la morte del re Abdullah nel 2015, Mohammad bin Salman ha rapidamente assunto il controllo delle principali istituzioni politiche e di sicurezza dello Stato, in una rapida scalata. “Per rafforzare la sua nuova autorità -scrive Hrw-, il principe ha supervisionato il peggior periodo per i diritti umani nella storia del Paese, avviando una vasta e violenta repressione della società civile, dei dissidenti all’estero, dei conservatori religiosi, dei rivali del regime e degli uomini d’affari più importanti. Mohammad bin Salman gode ora di un’autorità incontrastata sui più importanti organi politici, di sicurezza ed economici dello Stato e ha usato questo dominio incontrollato per ristrutturare ed espandere drasticamente il Pif”. Attraverso il Fondo, bin Salman ha consolidato un potere economico statale senza precedenti sotto il suo unico volere decisionale, con pochi, o addirittura nessun vincolo su come impiegare le ricchezze della nazione. 

Ed è proprio sotto la supervisione del principe, che ricopre simultaneamente i ruoli di principe ereditario, primo ministro, presidente del Pif e padrone autocratico de facto dell’Arabia Saudita, che il fondo nazionale si è espanso in modo più aggressivo.

Il capitale gestito è infatti passato dagli 84 miliardi di dollari del 2012 ai circa 925 miliardi di inizio anno. Un’espansione che dovrebbe continuare. Secondo il piano di riforme economiche firmato da Mohammad bin Salman, il Pif dovrebbe diventare infatti il più grande fondo sovrano del mondo entro il 2030, arrivando a controllare più di duemila miliardi di dollari. Il Pif ha beneficiato direttamente di gravi abusi dei diritti umani legati al suo presidente, e tra i casi Hrw include quello del programma “anticorruzione” del 2017 del principe ereditario, che ha portato a detenzioni arbitrarie, trattamenti inumani dei detenuti ed estorsione di proprietà all’élite dell’Arabia Saudita.  

Il Pif e le sue aziende partecipate avrebbero poi favorito gravi violazioni dei diritti umani a favore direttamente di bin Salman. Il caso più eclatante consiste nell’omicidio di Jamal Khashoggi. Sky prime aviation, una delle società trasferite al Pif proprio durante l’ascesa al potere di bin Salman, era proprietaria dei due aerei utilizzati nel 2018 dagli agenti sauditi per recarsi a Istanbul, dove hanno ucciso Khashoggi appena dopo il suo ingresso nell’ambasciata.  

Altri casi di violazione dei diritti umani realizzati grazie al fondo riguardano alcuni “megaprogetti” edilizi pianificati dal governo saudita. “Il principe ereditario ha concentrato nelle proprie mani un immenso grado di controllo e supervisione del Fondo, permettendogli di indirizzare unilateralmente enormi somme di ricchezza statale verso megaprogetti che fanno poco per realizzare i diritti economici, sociali e culturali in Arabia Saudita -denuncia Hrw-. Le persone più emarginate dell’Arabia Saudita, i lavoratori migranti, le comunità rurali e i residenti poveri e della classe operaia, hanno sopportato il peso degli abusi derivanti dai progetti del fondo. I capitali del Pif sono stati utilizzati per progetti che hanno sfrattato con la forza i residenti, raso al suolo quartieri, sottoposto i lavoratori migranti a gravi abusi e messo a tacere le comunità”. 

“Ci siamo conosciuti quando ero presidente del Consiglio. Abbiamo lavorato bene insieme negli eventi internazionali, specie al G20. Eravamo i più giovani al tavolo: ci univa la fame di futuro, l’idea di considerare l’innovazione come una opportunità e non come una minaccia, la speranza contro la paura. Quella era la parola d’ordine del governo italiano di allora: futuro. E con Bin Salman è affascinante parlare di futuro” – Matteo Renzi, Corriere della Sera, 16 dicembre 2023

Un caso analizzato da Hrw riguarda il progetto di costruzione della città di Neom, nella regione di Tabuk, a Nord-Est del Paese. Le organizzazioni saudite per i diritti umani, inchieste giornalistiche e le Nazioni Unite hanno documentato gravi violazioni dei diritti umani legate al progetto, in particolare contro la popolazione locale degli Huwaitat. Secondo Human rights watch le autorità saudite avrebbero sfrattato con la forza i membri della comunità, arrestato chi protestava contro lo sfratto e ucciso un manifestante. Inoltre, due persone sono state condannate a 50 anni di carcere e tre alla pena di morte per essersi opposte alle operazioni di sfratto. 

Situazione simile che si è registrata nel Jeddah central project, un progetto di sviluppo urbano nella città di Gedda. L’azienda che sta realizzando i lavori, la Jeddah central development company, interamente di proprietà del Pif, ha sfrattato con la forza un gran numero di cittadini sauditi della classe media e bassa, stranieri e lavoratori immigrati dalle loro case nei quartieri popolari della città per trasformare l’area in un quartiere commerciale e turistico di lusso. 

In più gli investimenti esteri del Pif, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, sono stati utilizzati per espandere il potere e l’influenza dell’Arabia Saudita. Questi investimenti ricoprono la controversa pratica dello sportwashing, che consiste nel finanziare e nell’ospitare manifestazioni di prestigio per ottenere un ritorno di reputazione.

Questi investimenti includono sport come il Liv golf tour, la Coppa del mondo Fifa 2034 e la squadra di calcio di Premier league del Newcastle. Operazioni considerate una pietra miliare nella strategia di influenza dell’Arabia Saudita all’estero che secondo Human rights watch “puntano raccogliere un sostegno straniero acritico per l’agenda di bin Salman, a diffondere disinformazione sulla situazione dei diritti del Paese, a neutralizzare i controlli, a mettere a tacere i critici e a minare le istituzioni che cercano trasparenza e responsabilità”. 

Per Hrw le imprese dovrebbero condurre una due diligence fondata proprio sui diritti umani prima di intraprendere accordi commerciali con il Fondo e astenersi da attività che potrebbero rafforzare la reputazione di enti governativi o funzionari accusati in modo credibile di gravi abusi. È una vicenda che riguarda anche l’Italia: oltre al noto rapporto privilegiato tra l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e Mohammad bin Salman, va ricordato che tra gli azionisti “rilevanti” di Technogym Spa, quotata in Borsa, con il 4,484%, c’è proprio il Fondo sovrano saudita attraverso la Nif Holding (Italy) Srl.

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