Diritti / Attualità
“Garantire il diritto all’acqua è uno dei pilastri per proteggere i diritti umani”
Almeno due miliardi di persone a livello globale non hanno accesso all’acqua potabile, con gravi ripercussioni sulla salute, in particolare su quella dei più piccoli. Una situazione ancora più difficile nei Paesi segnati da conflitti ed esacerbata dalla crisi climatica. La fotografia dell’atlante “Flowing Futures” a cura della Ong WeWorld
In molti Paesi del mondo l’accesso all’acqua è anche una questione di genere: nei Paesi in cui le risorse idriche non sono disponibili in casa, infatti, in otto casi su dieci spetta alle donne, alle ragazze e alle bambine il compito di raccoglierla, percorrendo spesso lunghe distanze a piedi e con carichi pesanti. Un incarico che, nei Paesi segnati da conflitti o violenza endemica, aumenta esponenzialmente il rischio di subire aggressioni, violenze e stupri.
Una questione che riguarda anche le scuole: secondo le ultime stime di Unicef relative al 2021, a livello globale, tre su dieci non disponevano di servizi idrici di base e più di una su quattro non era dotata di strutture igienico-sanitarie di base. In altre parole: non c’erano i bagni, o se c’erano non erano dotati di acqua corrente. In queste condizioni per le ragazze è difficile gestire le mestruazioni e garantire la propria igiene personale, con la conseguenza che molte adolescenti sono costrette a rinunciare a frequentare le lezioni “in quei giorni”.
Secondo le stime della Ong We World, la mancanza di prodotti, di privacy e di acqua corrente in casa impedisce a circa 500mila donne e ragazze prendersi cura della propria igiene nei giorni del ciclo mestruale, con il rischio di sviluppare infezioni che possono anche incidere negativamente sulla salute sessuale e riproduttiva.
Sono alcune delle evidenze che emergono da “Flowing Futures”, l’Atlante elaborato da WeWorld sull’accesso e la disponibilità di acqua a livello globale e le conseguenze per i diritti umani. “Garantire il diritto all’acqua, infatti, è uno dei pilastri per proteggere i diritti umani e, di conseguenza, garantire che tutti possano prosperare -commenta Anna Crescenti, esperta “Wash” (acronimo inglese che sta per water, sanitation and hygene) di WeWorld-. I servizi legati all’acqua sono più che semplici rubinetti: acqua potabile sicura e servizi sanitari e igienici sono essenziali per garantire la salute e il benessere delle persone, contribuendo al miglioramento di altri aspetti della vita individuale e comunitaria, come i mezzi di sussistenza, il lavoro, l’alloggio e l’istruzione, da un lato e, dall’altro, lo sviluppo di comunità resilienti e di un ambiente sano”.
L’accesso all’acqua potabile è un diritto umano fondamentale, che però ancora oggi non viene garantito a più di due miliardi di persone nel mondo. Secondo le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la quantità minima necessaria per soddisfare i bisogni basilari (bere, cucinare, tutelare l’igiene domestica e personale) è di 50 litri al giorno a testa. Questo è ancora più importante in contesti di emergenza (conflitti, epidemie e disastri naturali) dove livelli minimi di acqua potabile sono essenziali per la sopravvivenza delle popolazioni, che hanno maggiori probabilità di contrarre malattie legate a servizi igienico-sanitari inadeguati e a forniture idriche insufficienti o non sicure. A livello globale, circa 1,5 miliardi di persone non dispongono di servizi igienici adeguati e questa situazione è responsabile del 90% dei casi di diarrea, seconda causa di mortalità per i bambini sotto i cinque anni.
La situazione, ovviamente, cambia da Paese a Paese. Se in Italia o negli Stati Uniti il consumo di acqua potabile si attesta rispettivamente a 235 e 310 litri al giorno pro-capite, un abitante palestinese della Cisgiordania può contare su appena 26 litri d’acqua a testa (il minimo raccomandato dall’Oms) e solo il 36% dei palestinesi ha accesso regolare all’acqua corrente. Il restante 47% la riceve per meno di dieci giorni al mese mentre le autorità israeliane hanno sviluppato il proprio servizio idrico per garantire forniture regolari ai propri cittadini in Israele e agli insediamenti illegali.
La situazione è altrettanto grave in Siria dove, a causa del conflitto e della grave crisi economica che ha colpito il Paese, il sistema idrico ha subito gravi danni al punto che oggi, secondo le stime contenute nell’Atlante di WeWorld, il 42% della popolazione si affida a fonti d’acqua alternative e spesso non sicure per soddisfare o integrare il proprio fabbisogno idrico e almeno il 70% delle acque reflue scaricate non è trattato. Inoltre, due terzi degli impianti di trattamento dell’acqua, il 50% delle stazioni di pompaggio, il 25% degli impianti di trattamento delle acque reflue e un sesto dei pozzi sono stati danneggiati.
La situazione è resa ancora più grave dagli effetti del cambiamento climatico che riducono la disponibilità di acqua potabile sicura e amplificano il rischio di malattie causate dalla sua contaminazione. “Eventi meteorologici estremi legati all’acqua -si legge nell’Atlante- hanno causato 11.778 disastri segnalati tra il 1970 e il 2021 con più di due milioni di morti e 4.300 miliardi di perdite economiche”.
In Nicaragua la già ridotta disponibilità idrica -che colpisce soprattutto le popolazioni indigene e le comunità afro-discendenti- è minacciata dal cambiamento climatico, aumentando così il rischio di epidemie di colera, diarrea, febbre dengue e malaria. Anche gli eventi estremi -la cui frequenza e intensità è aumentata nel corso degli ultimi anni- impattano sul diritto all’acqua della popolazione: nel 2020 due uragani hanno colpito la costa settentrionale del Paese, con ripercussioni significative per le comunità locali: non solo la maggior parte delle case, delle scuole, delle chiese e degli altri centri comunitari sono stati distrutti, ma i pozzi sono stati contaminati, compromettendo l’approvvigionamento di acqua potabile.
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