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Continua la ricerca di verità e giustizia per l’omicidio di Berta Cáceres

L'attivista hundurena Berta Cáceres, assassinata nel 2016 © Wikimedia Commons

L’attivista hondureña è stata uccisa nel marzo di otto anni fa per essersi opposta al progetto Agua Zarca che attentava al Rio Gualcarque. La sua famiglia e i rappresentanti dei popoli indigeni continuano a chiedere di fare piena luce sulla struttura decisionale che coinvolgeva direttamente la società Desa

In Honduras l’odore dei proiettili che nella notte tra il 2 e il 3 marzo 2016 hanno ucciso Berta Cáceres sembra essere ancora nell’aria. Solo la verità e la giustizia possono cancellarlo mentre il ricordo dell’attivista, leader del popolo indigeno Lenca, resiste indelebile nella mente di chi l’ha conosciuta, incontrata e amata.

I suoi quattro figli non hanno mai smesso di chiedere giustizia e hanno continuato a lottare per la tutela dell’ambiente e dei popoli indigeni. In particolare Bertha Zúniga Cáceres (Bertita) ha raccolto il testimone della madre, prendendo in mano il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh).

Il loro impegno ha portato alla condanna, nel 2018, delle sette persone che assassinarono Berta nella sua casa a La Esperanza e al processo contro Roberto David Casillo, l’ex presidente della Desarrollos energéticos (Desa), l’impresa titolare della concessione per la costruzione della diga Agua Zarca, la grande opera contro cui Berta e il Copinh si erano schierati e battuti. Una lotta che prosegue a maggior ragione ora che si è aperta una nuova pista processuale (la terza) sull’omicidio dell’attivista: lo scorso dicembre, infatti, è stato emesso un mandato d’arresto per Daniel Atala Midence, ex reggente finanziario della Desa.

“La cosa più importante da sottolineare è che questi processi non sono conclusi, perché la difesa ha fatto ricorso e la decisione è stata demandata alla Corte suprema di giustizia -spiega Bertha Zúniga Cáceres, coordinatrice generale del Copinh-. Siamo in attesa di sapere che cosa verrà deciso. Per il primo processo, quello nei confronti dei sette condannati per l’omicidio di mia madre, per esempio, aspettiamo la risposta della Cassazione da quattro anni”.

“Oggi sappiamo che dietro all’omicidio c’è una struttura criminale composta da diversi attori e livelli di coinvolgimento -aggiunge l’avvocato Victor Fernandez-. Spiccano come leader di tale struttura alcuni personaggi connessi a gruppi imprenditoriali legati al modello estrattivo energetico che operano in Honduras. In particolare all’impresa Desarrollos energéticos, società della famiglia Atala. Ma c’è anche il coinvolgimento di funzionari dello Stato, militari e membri della criminalità organizzata. C’è chi ha pensato, chi ha coordinato e chi ha eseguito. Questa è la dinamica dell’assassinio di Berta”.

Non è del tutto chiaro e ci sono diverse denunce in merito alle modalità con cui la Desa abbia ottenuto l’appalto per la costruzione del progetto Agua Zarca: una diga che secondo la Ong britannica Oxfam “minaccia l’accesso della comunità indigena Lenca al Rio Gualcarque, un luogo per loro sacro e un’importante risorsa di cibo e acqua, e la comunità non ha mai acconsentito a che venisse effettuata”.

Pochi mesi dopo l’omicidio di Berta Cáceres il Copinh -riunitosi in assemblea con il Consiglio regionale indigeno del Nord di Intibucá, il Consiglio degli anziani e il Consiglio indigeno di Río Blanco e alla presenza di oltre trecento partecipanti- aveva decretato, nuovamente, il rifiuto assoluto del progetto idroelettrico Agua Zarca. Oltre alla necessità che “il fiume Gualcarque fosse finalmente liberato da progetti idroelettrici e da qualsiasi altra concessione o forma di sfruttamento o privatizzazione, essendo un fiume sacro e patrimonio culturale del popolo indigeno Lenca”.

Sono passati otto anni dall’omicidio dell’attivista hondureña. Oggi si conoscono i nomi degli esecutori del delitto e quello di chi ha svolto il ruolo di tramite tra mandanti ed esecutori. Manca però un tassello fondamentale: identificare chi ha voluto e ordinato la sua morte. Anche se i tribunali del Paese non lo hanno ancora identificato, il Copinh da sempre punta il dito sulla famiglia Atala.

Daniel Atala è ancora a piede libero, nonostante il mandato d’arresto, emesso come detto a inizio dicembre: un’immagine che ben sintetizza la forza e il potere di una famiglia che ha costruito il suo potere sull’impunità e sulla corruzione. L’uomo è accusato di aver coordinato iniziative volte a perseguire e criminalizzare i militanti e le militanti del Copinh, azioni svolte per conto della società per cui lavorava e di aver coinvolto agenti di pubblica sicurezza nelle suddette operazioni. È anche accusato di reiterati atti corruttivi nelle pratiche d’assegnazione del progetto Agua Zarca, nonché di commenti razzisti contro le comunità Lenca del Rio Blanco.

“Questo dimostra la mancanza di volontà politica di perseguire penalmente chi ha aveva un ruolo superiore nella decisione dell’omicidio di mia madre -ricorda Bertha Zuniga-. Sappiamo che è importante che vengano confermate le sentenze già ottenute in tribunale. Come vittime di questo processo, sia come figli di Berta sia come parte del Copinh, continuiamo nella nostra richiesta di sempre: l’istituzione di un gruppo internazionale di esperti che sia in grado di approfondire e sistematizzare la documentazione raccolta e così promuovere azioni legali che portino alla giustizia. Giustizia da intendersi nel modo più ampio possibile”.

Victor Fernandez torna sull’ultimo fatto di cronaca, il mandato di cattura per Atala. Arrivare a questo punto, sottolinea, “è costato molto, e siamo in attesa di passi in avanti da parte del pubblico ministero perché questa è una sfida della giustizia honduregna. Noi lo abbiamo segnalato più volte perché era il direttore finanziario della società e ci sono una serie di prove che lo collegano al piano realizzato per eseguire l’omicidio di Berta -continua-. Ma noi abbiamo presentato tutte le memorie necessarie affinché tutta la struttura dirigenziale dell’azienda Desa, assieme a militari e gruppi criminali, sia portata alla sbarra per il reato di associazione a delinquere”.

Bertha Zúniga Cáceres rincara la dose e sottolinea come “senza dubbio” la condanna di Atala “potrebbe essere un qualcosa di estremamente complesso, difficile e inedito per il nostro Paese. Soprattutto se venisse provato che non è stato l’unico mandante ed era parte di una struttura decisionale che coinvolgeva direttamente la Desa. Per noi è fondamentale che siano definite le responsabilità intellettuali ma è altrettanto importante poter avere accesso alle altre informazioni, quelle che restano tuttora segrete e che, se venissero alla luce, potrebbero fornire indizi per affrontare altri crimini”.

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