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Cultura e scienza / Intervista

Frank Westerman. Sogni e contraddizioni spaziali

Nato nel 1964 nei Paesi Bassi, il giornalista Frank Westerman ha scritto, dal 2009 a oggi, otto libri tutti pubblicati in Italia da Iperborea © Simone Riccomi

“La commedia cosmica” è un libro che unisce il rigore dell’inchiesta giornalistica al ritmo del romanzo. Da Galileo alle sonde Voyager, accompagna il lettore alla scoperta degli interrogativi dell’universo. Lo abbiamo intervistato

Tratto da Altreconomia 264 — Novembre 2023

Nel suo ultimo libro “La commedia cosmica”, pubblicato da Iperborea nel luglio 2023, Frank Westerman mescola temi storici legati alla divulgazione scientifica e alle vicende dell’osservazione e dell’esplorazione del cosmo, con alcune delle sue ossessioni come il razzismo, l’identità delle nostre culture e il potere. Lo spazio, ultimo luogo di avventura e scoperta è anche metafora del trascendente e del paradiso, ma l’autore ha ben presente dov’è l’inferno, sulla terra e nella storia del Novecento. I suoi libri si distinguono per la loro narrazione avvincente che cattura il lettore, ma allo stesso tempo offrono una profondità analitica tipica dei saggi. Sono quasi dei documentari scritti, dove l’abilità nel raccontare storie si combina con la precisione dell’indagine giornalistica.

Anche per questo motivo Westerman è considerato uno dei migliori giornalisti in circolazione, il miglior interprete di quel genere capace di combinare gli elementi del reportage giornalistico con quelli del romanzo. Non a caso il suo nome è associato a mostri sacri del new journalism europeo, come Bruce Chatwin e Ryszard Kapuściński. Nato nel 1964 nei Paesi Bassi ha scritto, dal 2009 a oggi, otto libri, tutti pubblicati in Italia da Iperborea. In “El Negro e io” affronta il tema del razzismo a partire da un corpo imbalsamato di un africano senza nome esposto in un museo spagnolo; con “Ararat” ha realizzato un reportage storico e attuale sulla montagna armena dove si arenò l’arca di Noè, uno dei luoghi più sacri, e contesi, del mondo.

Ancora il razzismo è al centro di “Pura razza bianca”, un’inchiesta sulla storia dei cavalli lipizzani, amati da imperatori e uomini di potere. Mentre nel libro “L’enigma del lago rosso” ricostruisce un cataclisma ambientale in Camerun; con “I soldati delle parole” invece affronta storie legate al terrorismo, a chi lavora nel contrastarlo e studiarlo, dall’Isis alla Cecenia. In “Ingegneri di anime” realizza un’inchiesta sulla grande macchina ingegneristica sovietica, legata a quella della propaganda, offrendo uno sguardo unico sull’apparato di potere della Russia; con “Noi, umani” ha, invece, scritto un’indagine antropologica sulla storia dell’evoluzione umana.

Lo scrittore ha risposto ad alcune domande per Altreconomia durante il tour promozionale in Italia, luogo dove è ambientato parte del suo ultimo libro sulle orme di Galileo Galilei da Venezia a Firenze, ma con puntate a Torino e Milano per l’osservazione di stelle e pianeti.

Westerman, “La commedia cosmica” sembra uno dei suoi libri più personali, perché racconta una passione giovanile per le stelle, un’indagine sull’esplorazione spaziale che diventa anche una rivalutazione dell’ateismo. Si può dire che lei si è perso in una “selva oscura” da cui è uscito con una maggiore fiducia nella ragione?
FW
Mi piace il riferimento a Dante, come ovviamente faccio io nel titolo. Ma se sono uscito da quella selva oscura, è piuttosto con maggior rispetto per il dominio dell’ignoto. Durante il mio viaggio ho scoperto che astronomi e astronauti sono figure quasi opposte. In linea di massima, il primo è un ateo che sottolinea come non esista un’entità divina seduta su un trono celeste e che noi umani dovremmo comportarci in modo estremamente umile e modesto. Meno rumoroso, data la nostra posizione arretrata ai margini di una galassia estremamente comune. Gli astronauti, invece, parlano e si vestono in modo diverso: indossano tuta spaziale e casco, si comportano come gladiatori e conquistadores fuori dalla nostra atmosfera.

Io sostengo che lo spacegazing, soprattutto da quando Galileo ha pubblicato il suo “Siderius Nuntius” (ho visto un originale all’osservatorio di Brera di Milano), abbia cambiato la nostra visione dell’universo. Mentre lo spacetravelling ha cambiato la nostra visione della Terra (come Pianeta vulnerabile che stiamo inquinando e rendendo inabitabile). Ma noi, come pubblico che ascolta sia gli astronomi sia gli astronauti, non sembriamo in grado di uscire dai confini della nostra immaginazione. Preferiamo lasciarci incantare da ciò che sogniamo, e tra questi incantesimi includo la religione e l’arte. Non la vedo necessariamente come una maledizione, perché è difficile vivere nel freddo mondo dei fatti e dei numeri. Credo che Galileo l’abbia capito quando ha scritto del suo vino preferito e ha scelto di non morire per il fatto che aveva ragione.

“Non sembriamo in grado di uscire dai confini della nostra immaginazione. Preferiamo lasciarci incantare da ciò che sogniamo, e tra questi incantesimi includo la religione e l’arte”

La maggior parte delle storie di esploratori e osservatori del cielo che racconta, da Galileo Galilei ad Aleksej Leonov passando per Giovanni Schiapparelli che ha inaugurato la mania di Marte, hanno un’ombra tragica o surreale. È come se, lasciando la sua “culla”, l’umanità non sappia più camminare?
FW L’idea della rinascita dell’umanità come specie “multiplanetaria” implica sicuramente che dobbiamo imparare a camminare di nuovo. Anche solo fisicamente, dopo lunghi periodi di assenza di gravità. L’idea di arrivare in alto porterà inevitabilmente con sé disavventure e fallimenti, che conosciamo in anticipo. Illusioni e disillusioni vanno di pari passo, sono gemelle. Non possiamo fare a meno di sentirci attratti dalle stelle. Ma è solo per curiosità e voglia di esplorare che l’uomo vuole colonizzare la Luna e Marte, come coste lontane del nostro sistema solare? Penso che una spinta più profonda sia la nostra sensazione di solitudine su questo “Pianeta solitario”, un senso di insoddisfazione. Lancio la domanda come una moneta: cosa pensiamo di trovare su Marte che ci manca sulla Terra?

La parola “desiderio” deriva da “sidera” (stelle): nel suo libro, il desiderio dell’umanità di andare alle stelle è sempre ancorato allo scavo in profondità. La frase dell’astronomo e pacifista Percival Lowell “la scoperta di verità nello spazio non differisce, se non nell’oggetto di indagine, dalla scoperta di crimini sulla Terra” mi è sembrata una dichiarazione poetica. Lei è d’accordo?
FW Molto, anche se nel suo contesto Lowell si è rivelato un ciarlatano, sbagliando di grosso nel suo “ragionamento logico” su una civiltà pacifica e agricola sul pianeta rosso creata dai popoli marziani (che solo non descriveva come verdi). Preferisco scegliere un’altra immagine, se posso: la luce brillante nel cielo notturno della Stazione Spaziale Internazionale (Iss), che è stata creata al costo di oltre cento miliardi di dollari come vetrina di come i popoli della Terra possano vivere armoniosamente l’uno accanto all’altro nello spazio, piuttosto che riflettere le carenze di noi terrestri, tra le nostre terre e i nostri mari avvelenati e contesi.

“È solo per curiosità che l’uomo vuole colonizzarela Luna e Marte? Penso che una spinta più profonda sia la sensazione di solitudine su questo ‘Pianeta solitario’, un senso di insoddisfazione”

Mi affascina la curiosità del suo lavoro per il presente, unita alla verticalità sulla tragedia della storia del XX secolo. Westerbork, ad esempio, che è oggi il luogo più avanzato da cui si osservano le stelle, è stato il campo di smistamento per quelli di concentramento, dove sono passate anche Anna Frank ed Etty Hillesum. Oppure il fatto che le sonde telescopiche Voyager, che vagano nello spazio con messaggi di pace dell’umanità, abbiano registrato la voce dell’allora segretario dell’Onu, Kurt Waldheim, che poi si è rivelato essere un ex ufficiale nazista responsabile degli stermini di ebrei in Grecia e in Bosnia. Se devo trovare un denominatore comune nella sua ricerca, si può dire che si tratta delle radici razziste della nostra cultura europea?
FW Direi piuttosto che si tratta di sogni che si trasformano in incubi. Qual è il punto di svolta? Posso metterci il dito sopra? E perché, quando gruppi di persone si propongono idealisticamente di “rendere il mondo un posto migliore”, le cose prima o poi si inaspriscono. Molti dei miei libri si riducono a cercare di individuare le prime, quasi invisibili falle che si verificano in imprese di assoluta bellezza, e se siamo in grado o meno di evitare un esito disastroso

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