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Terra e cibo / Approfondimento

Fileni e le pratiche commerciali scorrette sanzionate dall’Antitrust

© Niklas Hamann - Unsplash

A gennaio l’azienda marchigiana di polli e mangimi è stata multata per la divulgazione di messaggi “ingannevoli e decettivi” su produzione agricola e origine delle materie prime anche biologiche per l’alimentazione degli animali. Un caso di greenwashing che mostra la distanza tra le promesse di sostenibilità e il modo reale di fare impresa

Dal punto di vista economico la multa di 100mila euro che l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha comminato a gennaio a Fileni Alimentare Spa rappresenta un’inezia rispetto agli oltre 666,4 milioni di euro a cui ammonta il valore della produzione generato dall’insieme di imprese che si occupano di allevare polli, bovini e maiali, di trasformarli e distribuirli sul mercato, di produrre in proprio mangimi e uova che fanno riferimento alla famiglia marchigiana. Che ha chiuso con un aumento del 20% rispetto ai circa 550 milioni di euro del 2021. Dal punto di vista dell’immagine, però, essere puniti per una “pratica commerciale scorretta” non è il massimo per un’azienda che ha scelto di valorizzare il proprio brand utilizzando come parole d’ordine “fiducia e impegno”.

In particolare, nel procedimento avviato in seguito a una segnalazione del Codacons, l’Antitrust ha valutato l’ingannevolezza di due “vanti” (così nel testo della delibera dell’Autorità) utilizzati da Fileni che riguardano in particolare l’integrale produzione agricola (diretta o indiretta, tramite coltivatori contrattualizzati) delle derrate/materie prime utilizzate per la realizzazione dei mangimi biologici (“Per avere il massimo controllo sull’alimentazione dei nostri animali, coltiviamo le materie prime che utilizziamo per i mangimi biologici. Ogni giorno ci prendiamo cura di oltre 12mila ettari di terreno, tutti rigorosamente in Italia”) e l’origine totalmente italiana anche delle derrate/materie prime utilizzate per l’alimentazione degli animali (“Tutte queste attenzioni, unite alla passione che contraddistingue ogni fase del nostro lavoro, ci consentono di nutrire i nostri animali con alimenti 100% italiani”). Entrambe le affermazioni, spiega l’Autorità, sono false: “Dagli elementi acquisiti in istruttoria è emerso il loro carattere ingannevole e decettivo”.

In particolare, per la linea produttiva convenzionale non Ogm, nel 2021 risultano importati una quota tra il 5 e il 30% dei cereali e tra il 10 e il 40% delle proteine vegetali, mentre per la linea produttiva convenzionale-Ogm il dato sale al 30-70% dei cereali e del 75-95% delle proteine vegetali. Nell’anno successivo aumenta anche l’import dei cereali non Ogm, tra il 15 e il 45%. Con proteine vegetali Ogm si parla in particolare di soia e di Paesi come Brasile e Argentina (insieme agli Stati Uniti il principale mercato da cui si rifornisce l’Europa) dove l’aumento della produzione è in aperto contrasto con l’esigenze di tutelare ambiti forestali come l’Amazzonia. La soia è una delle componenti principali dei mangimi utilizzati per alimentare i polli: ogni chilogrammo di carni avicole contiene “soia nascosta” per oltre 840 grammi, circa sei volte quella contenuta in uno di carne bovina, secondo il reportMapping the European Soy Supply Chain” realizzato da Profundo per il Wwf.

Per quanto riguarda i mangimi biologici, invece, Fileni ha informato l’Autorità che -al contrario di quanto riportato sul sito aziendale- l’azienda ha acquistato sia cereali sia proteine vegetali di provenienza estera.

L’intervento dell’Antitrust deriva anche dalla “necessità di contrastare il fenomeno del greenwashing” che è stata indicata come priorità nella Nuova agenda dei consumatori” della Commissione europea. I messaggi diffusi da Fileni, infatti, hanno avuto la capacità di “incidere significativamente sulle scelte economiche del consumatore rivolte a prodotti di maggiore sicurezza, qualità e salubrità in ragione dell’origine dell’alimentazione dei polli biologici”. La censura dell’Antitrust (“la condotta posta in essere dal professionista non appare conforme al livello di diligenza professionale ragionevolmente esigibile in base ai generali principi di correttezza e buona fede ex articolo 20, comma 2, del Codice del consumo) è ancora più netta perché -citando il dispositivo- “in ragione della circostanza che Fileni è una società ‘benefit’, come tale statutariamente tenuta al perseguimento di finalità non solo di lucro, ma ‘ultrasociali’ di beneficio comune e, tra l’altro, tenuta ad operare ‘in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente’.

L’assetto societario del Gruppo Fileni

Le azioni censurate stridono con le parole riportate in una lettera firmata dal fondatore, Giovanni Fileni, e dai figli, Massimo e Roberta, che apre il Bilancio di sostenibilità 2022 dell’azienda, un documento pubblicato tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024: “Vogliamo rinnovare pubblicamente il nostro impegno nel condurre con ancora più trasparenza, coraggio e rispetto l’operato di Fileni, restituendo a tutti voi un quadro chiaro dello stato attuale e degli obiettivi che ci impegniamo a perseguire con positività”. Nel report si ricalibrano le informazioni in merito alla produzione in proprio delle materie prime trasformate in mangimi bio: “Nel corso del 2022, i quintali di derrate bio prodotte dall’agricoltura diretta sono stati circa l’1% del fabbisogno annuale del mangimificio (in linea con il 2021), mentre i quintali derivanti dai contratti di coltivazione sono stati pari al 44% del fabbisogno. L’obiettivo è di incrementare rapidamente, negli anni a venire, la produzione di materie prime da colture biologiche da parte della filiera”.

Sono affermazioni di principio, che contrastano apertamente con quanto asserito ad esempio dai cittadini del Comitato per la Vallesina, nato “per la tutela dagli effetti degli allevamenti, che raccoglie i cittadini che vivono in prossimità di cinque allevamenti di polli del Gruppo Fileni: Monte Roberto, Jesi Pone Pio, Jesi Cannuccia, Ripa Bianca e Cingoli”. È formato da cittadini esasperati anche per gli odori terribili “che non consentono lo svolgimento di una vita normale e preoccupati per le ripercussioni sulla loro salute e lo stato psicofisico” come sottolineato in un comunicato firmato insieme alla Lav, la Lega antivivisezione. “Le numerose denunce sia di carattere penale sia i ricorsi amministrativi in essere imputano una serie di irregolarità che vanno da quelle urbanistiche a quelle relative alle immissioni in atmosfera ed anche all’uso della risorsa idrica. Su tutti questi aspetti stanno indagando le forze di polizia e la magistratura”. Secondo il Comitato, “tutto questo è la dimostrazione di un modo di fare impresa che molto poco ha di etico e di sostenibile ma che ha come unico obiettivo la massimizzazione del profitto aziendale”.

Anche il Comitato per la Valmarecchia, nato per contrastare la costruzione di un nuovo mega-allevamento intensivo nel territorio del comune di Maiolo, in Alta Valmarecchia (ne abbiamo parlato su Altreconomia di febbraio 2023), è intervenuto, segnalando un altro possibile ambito d’intervento all’Autorità: “Possiamo fidarci di Fileni quando dichiara (sono le confezioni che trovate al supermercato) che i polli sono allevati all’aperto, quando non riusciamo a vedere gli uscioli dei capannoni in costruzione alla Cavallara?”, cioè l’area in cui è aperto il cantiere, autorizzato dalla Regione Emilia-Romagna nell’aprile del 2022, dopo l’approvazione di una variante al piano regolatore del Comune di Maiolo. “E se anche ci fossero -continua il Comitato- non vediamo gli ‘ampi spazi all’aperto in cui razzolare’ dichiarati ancora oggi dall’azienda sul sito, perché se è vero che all’interno della proprietà della Cavallara ogni animale avrebbe a disposizione quattro metri quadrati di spazio, come richiesto dalla normativa bio, lo è anche che se gli animali dovessero distribuirsi per avere davvero quattro metri quadrati a testa a disposizione tanti dovrebbero arrampicarsi in salita sugli scoscesi calanchi di Maioletto. Sono polli o supereroi?”.

Eppure Fileni è accreditata: nel 2022, ha instaurato un accordo con Legambiente “volto alla collaborazione per valorizzare l’azienda, favorire lo sviluppo sostenibile del settore (agricoltura biologica, indipendenza mangimistica, energia rinnovabili, impegno etico e sociale) e sensibilizzare e coinvolgere i cittadini su tematiche ambientali”. L’azienda che fa parte “Distretto Biologico Marcheè anche partner strategico dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Il brand Fileni bio, nato nel 2014, è quello che su cui l’azienda punta per crescere e accreditarsi come allevamento del futuro. Tra il 2020 e il 2022 il fatturato è quasi raddoppiato, passando da 37,7 a 71,3 milioni di euro. Merito anche del private label, dato che sono prodotti a Cingoli (MC), nello stabilimento di Carnj, la cooperativa che fa parte del gruppo Fileni, i pezzi di pollo e i preparati a base di pollo certificati bio in commercio a marchio Coop. Tutti si fidano, del resto, di un’altra azienda che –al pari di Bayer– promette di fare agricoltura rigenerativa: “Nel tempo, vogliamo compensare il nostro impatto ambientale, partendo dai nostri stabilimenti e tendendo ad ampliare l’obiettivo a tutta la filiera. Ma vogliamo anche rigenerare la terra. Sarà un percorso difficile, ma il vero successo deriva dalla sfide più complesse”.

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