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Cultura e scienza / Intervista

Festeggiando dieci anni di cinema indipendente di OpenDDB

© OpenDDB

La piattaforma è nata a Bologna nel 2013 dall’esigenza di conciliare sostenibilità economica con accessibilità delle opere da parte di tutti. Per farlo i suoi fondatori hanno sviluppato un modello di distribuzione alternativo. Che ora si apre anche a nuove forme e linguaggi. Appuntamento a Bologna dal 12 al 14 maggio

OpenDDB, la piattaforma di streaming di distribuzione dal basso (della cui storia avevamo parlato anche qui), festeggia il suo decimo compleanno. E lo fa a Bologna, città dove il progetto e il gruppo è nato, dal 12 al 14 maggio durante il Festival al centro sociale Vag61. Il progetto è partito nel 2013 per promuovere cinema ed editoria indipendente, oltre che accessibili a tutti, per sostenere la cultura come bene comune. Alla base di OpenDDB c’è la voglia di fare socialità nel condividere storie nelle forme più diverse: documentari, film, libri, e a breve saranno presenti sul nuovo sito anche podcast, reportage e inchieste brevi.

Si tratta di una piattaforma che si appoggia sullo streaming digitale, tuttavia, il modello non è quello di altri grandi colossi che offrono cataloghi pressoché illimitati a un prezzo fisso al mese. Gli spettatori possono scegliere sia di acquistare un film e sia di partecipare alle proiezioni in centri culturali -o se vogliono organizzarne una loro stessi-. La distribuzione delle opere avviene pagando un prezzo che non è fisso ma “consigliato” in base al tipo di produzione. La scelta di quanto pagare è affidata al pubblico, che riconosce il valore del prodotto in modo autonomo e versa quanto crede opportuno.

Questo meccanismo, che rompe ogni logica di mercato a cui siamo abituati nel mondo dell’entertainment, si è rivelato un punto di forza. A oggi sono più di 15mila gli iscritti effettivi al portale affiancati da una community social di circa 30mila followers sui canali ufficiali. Le proiezioni pubbliche effettuate nel 2022 in tutta Italia sono state 220, e il catalogo online conta oltre 600 opere tra film, documentari e libri, anche di autori celebri come Massimo Zamboni, Zerocalcare, RezzaMastrella, Silvano Agosti, Filippo Vendemmiati, Bernardo Iovene e Andrea Pennacchi, solo per citarne alcuni. Per celebrare questi dieci anni, Altreconomia ha intervistato Andrea Paco Mariani, uno dei fondatori di SMK Factory, la casa di produzione indipendente di Bologna da cui poi è germogliata OpenDDB.

Andrea come avete deciso di aprirvi al mondo della distribuzione in streaming con OpenDDB?
APM Come SMK Factory ci occupiamo da 14 anni principalmente di produzione multimedia soprattutto sotto forma di documentario e a breve usciremo con il dodicesimo e tredicesimo lungometraggio. Sulla scia del successo che aveva avuto durante la tournée il nostro documentario ambientato in Palestina -“Tomorrow’s Land”- abbiamo deciso di sperimentare per offrire un nuovo modello di auto-distribuzione che univa l’online e la proiezione fisica. Nel 2013 abbiamo deciso così di lanciare la prima versione di OpenDDB, eravamo totalmente inesperti e lavoravamo anche in un contesto, come quello del mondo della cultura, con grossi problemi di agibilità se sei una piattaforma emergente. Il cuore del progetto è la necessità di coniugare la sostenibilità economica, tramite anche raccolte fondi e autofinanziamenti, con l’accessibilità per tutti alle opere. Ciò ha portato poi a fare un ragionamento sul prezzo variabile che oggi è il codice genetico della piattaforma. Il primo sito che abbiamo lanciato ad aprile di quell’anno era stato messo in piedi molto velocemente, da un lato perché si voleva consolidare un modello alternativo che comunque aveva funzionato con il documentario e dall’altro rendere questo duplice sistema disponibile anche ad altre in realtà emergenti come la nostra. La prima versione era quindi molto “grezza” e comprendeva inizialmente una selezione di otto, dieci opere, tra cui le nostre e quelle di altri registri e autori.

Hai detto che il cuore di tutto, che poi vi distingue, è il prezzo variabile, puoi spiegare meglio come funziona?
APM C’è una donazione libera che varia in base al formato, per capirci su un file video come un film suggeriamo una cifra di solito di quattro euro, mentre per un libro digitale oppure cartaceo ce ne sarà un’altra. Adesso quando inizieremo anche ad aprirci a questi nuovi formati che abbiamo immaginato –podcast, reportage e inchieste brevi- ci sarà un ragionamento per fissare una donazione consigliata anche per loro. Al di là della cifra in sé, la riflessione che abbiamo consolidato negli anni è di non va avere un prezzo fisso sulle opere, lasciamo quindi alla persona la possibilità di scegliere, ovviamente è una scelta che può essere al ribasso o al rialzo, un po’ come all’antica pratica del caffè sospeso. C’è chi dona di meno perché non se lo può permettere ed è giusto, comunque, che possa accedere al film o al libro, e c’è chi invece può fare una donazione maggiore o che decide di dar più credito a sostegno del lavoro che c’è dietro. La donazione media varia di anno in anno ma finora è sempre stata più alta di quella consigliata.

È soprattutto visto il successo che questo metodo ha avuto che abbiamo deciso di non attivare mai una forma di abbonamento. Non che sia un meccanismo problematico di per sé ma l’utilizzo che se ne fa a oggi all’interno delle piattaforme digitali genera molta precarietà dei ritorni per gli artisti, soprattutto se il catalogo di scelta delle opere è molto ampio. Il rischio è che poi generi profitto per pochi e problemi per molti. Non a caso è il modello utilizzato dalle grosse multinazionali dell’entertainment, le quali hanno un pubblico talmente ampio che difficilmente si pongono il problema di sostenere la cultura del cinema indipendente.

Che valore ha secondo te avere una selezione, anche più ristretta ma di qualità, di produzioni all’interno di una piattaforma streaming?
APM La consapevolezza nella scelta di che cosa vedere è sicuramente alla base. C’è una differenza tra condivisione di saperi e di pratiche, e l’entertainment. La seconda è un atto di consumo, mentre la prima è un atto di partecipazione. Forse è questa una delle sfide più urgenti di questo momento, anche reduci dal blocco della socialità che c’è stato durante la pandemia da Covid-19. L’accelerazione del digitale che c’è stata negli ultimi anni ci ha portato dall’avere a disposizione un paio di canali sulla televisione tra cui scegliere, a un catalogo pressoché infinito. Quindi viene da chiedersi quanto ora un film sia frutto di una scelta oppure di una ricerca abbastanza casuale per coprire del tempo libero. In ogni caso vogliamo che lo streaming sia solo di supporto alla diffusione della cultura cinematografica, il vero cuore pulsante deve rimanere l’esperienza in sala, dove possono aver luogo una serie di relazioni personali e momenti di confronto e dibattito ineguagliabili con il digitale.

Come ha reagito la vostra piattaforma e soprattutto il vostro pubblico alla pandemia?
APM A inizio marzo 2020 stavamo rientrando dall’anteprima di “The milky way” a Firenze, che aveva visto una sala completamente sold-out anche se già contingentata nelle presenze. Abbiamo capito che da lì a poco la situazione sarebbe cambiata e la mattina dopo abbiamo lanciato lo streaming di comunità: un’azione solidale a uso completamente gratuito dove abbiamo messo a disposizione un ciclo ininterrotto di tutta la nostra filmografia per 64 giorni 24 ore su 24. Abbiamo proiettato quasi 200 titoli, di base gratuiti ma che potevano essere supportati da una donazione, completamente separata dalla visione, coinvolgendo oltre 200 autrici e autori e circa 250mila spettatori. Con i teatri e i cinema chiusi, la gente si è ovviamente aggrappata al digitale anche la tenuta psicologica e abbiamo letteralmente aumentato la community del 600% in quei 60 giorni. Ovviamente era le condizioni ci hanno portato a dover rinunciare all’aggregazione sociale che il cinema porta, e ne abbiamo poi sentito le conseguenze nei mesi successivi. Comunque abbiamo apprezzato che a seguito della nostra iniziativa anche altre realtà hanno seguito l’esempio e portato avanti progetti di comunità simili.

Voi siete nati nell’ambiente bolognese ma poi cresciuti in tutta Italia e non solo, com’è avvenuta la vostra diffusione in questi anni?
APM Ci sono alcune città dove siamo molto presenti e radicati storicamente: Bologna è sicuramente la principale ma anche Brescia, Torino e Roma sono città dove ormai da diversi anni facciamo aggregazione culturale, proiezione e diffusione. Da poco prima della pandemia in avanti abbiamo anche strutturato una rete distributiva anche sul territorio italiano, tant’è che ora quando usciamo con un film nostro o quando distribuiamo un film di altri, come ad esempio è stato per “E tu come stai?” che tratta della lotta degli operai della Gkn di Firenze, le proiezioni vengono pensate già con uno spettro nazionale e se non internazionale. Sul sito le opere sono presenti in almeno quattro lingue, dopodiché abbiamo relazioni con l’estero per portare le nostre proiezioni in festival in Belgio, Francia e Argentina. Non c’è più la vocazione esclusivamente sulla singola città.

Va da sé, però, che Bologna rimane la città dove il progetto e il gruppo è nato, e dove appunto festeggeremo il decennale dal 12 al 14 maggio durante il Festival a Vag61, che è al centro sociale di cui facciamo parte qui a Bologna, la casa in cui viviamo. Avremmo diversi ospiti, talk, proiezioni e presentazioni. L’obiettivo è quello di raccontare come sono stati questi primi dieci anni, ma anche di mappare le prospettive dei successivi. Questo approccio è stato utilizzato sia per individuare gli argomenti di cui parleremo sia le modalità. Faremo per esempio presentazioni di libri, visto che da un paio di anni ci siamo aperti al mondo delle case editrici indipendenti, ci sarà un focus sulle inchieste brevi e podcast, che saranno visibili nella nuova piattaforma nell’autunno prossimo. Avranno tutti dei temi che comunque ci stanno a cuore come i diritti dei lavoratori e lavoratrici, e il Kurdistan solo per citarne due. Comunque siamo una piattaforma che fa precise scelte d’identità politica, e di conseguenza intendiamo continuare a muoverci in quella direzione, sia lato distribuzione che produzione con SMK Factory.

In conclusione, che cosa vi ha spinto ad aprire la vostra offerta culturale anche a podcast, reportage e inchieste brevi?
APM Negli anni abbiamo consolidato un modello di sostenibilità alternativa inizialmente limitato alla produzione di documentari; tuttavia, la nostra volontà è sempre stata quella di condividere conoscenze e storie non solo con chi fa il nostro stesso mestiere, ma coinvolgere anche realtà vicine che promuovono gli stessi valori. Abbiamo iniziato sette anni fa con l’editoria indipendente, che rimane comunque una parte più esigua del catalogo. Per continuare a fare rete e cercare di promuovere anche le piccole realtà emergenti abbiamo deciso di estendere anche a queste altri formati di comunicazione e di storytelling, anche per evitare di lasciare tutto il mercato in mano alle grandi imprese e dare un supporto alla creazione creativa dal basso. Per adesso abbiamo lavorato principalmente sulla fattibilità tecnica dell’inserimento di questi contenuti, e ora partirà la parte più relazionale di ricerca di contatti e materiali interessanti, con la stessa attenzione che poniamo nel selezionare i temi per i nostri documentari. Cambiamo la forma ma non i valori politici che vogliamo portare avanti.

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