Interni / Inchiesta
La “Fase 2” al buio in Lombardia. Mancano i dati e un sistema di sorveglianza sanitaria
Anche l’Agenzia di tutela della salute di Milano ha negato il nostro accesso agli atti per ricostruire quel che è successo sui territori, negli ospedali o nelle RSA lombarde. Aggiungendo un dettaglio: la Regione avrebbe avviato solo a fine aprile, due mesi dopo Codogno e alla vigilia delle “riaperture”, le attività di raccolta e strutturazione di un quadro epidemiologico “valido”. Agnoletto: “Si procede a tentoni”
In Lombardia ci si appresta alla “Fase 2” al buio. A oggi manca infatti un quadro epidemiologico “valido” a livello regionale di quel che è successo sui territori, negli ospedali o nelle RSA. E secondo l’Agenzia di tutela della salute di Milano, la Regione avrebbe avviato solo alla fine aprile, a due mesi dai fatti di Codogno, le attività di raccolta e strutturazione dei dati coinvolgendo ATS e Comuni.
Una “elaborazione valida” e pubblicamente accessibile ancora non ci sarebbe, stando a quanto ha scritto il 28 aprile il direttore generale dell’ATS della Città metropolitana di Milano, Walter Bergamaschi, rispondendo all’istanza di accesso civico di Altreconomia relativa, tra le altre cose, al numero dei decessi (negli ospedali e nelle RSA), ai contagi tra il personale sanitario inclusi i medici di base, ai dispositivi di protezione distribuiti anche nelle RSA e ai flussi da e verso gli ospedali.
L’ATS del capoluogo lombardo è stata l’ultima delle otto Agenzie territoriali a dare riscontro alla nostra richiesta inoltrata all’inizio di aprile (link al primo articolo). Come tutti gli altri suoi omologhi (Mannino in Val Padana, Silva a Pavia, Gutierrez per Insubria, Sileo a Brescia, Casazza in Brianza, Giupponi a Bergamo, Cecconami per Montagna), anche il dg di Milano ha lamentato “nocumento sull’efficienza dell’Amministrazione” e “causa di intralcio”, opponendo un diniego “fotocopia” -riproposto da tutte le ATS e gran parte delle Aziende socio sanitarie territoriali (ASST)- e sostenendo che “l’elaborazione di una mole considerevole di dati, allo stato non aggregati […] non può essere evasa”.
Appena prima dei saluti, però, Bergamaschi ha aggiunto un tassello interessante.
“L’osservatorio epidemiologico regionale -si legge nella risposta del direttore generale- sta avviando delle attività collegate alle richieste pervenute, anche mediante il coinvolgimento degli uffici di epidemiologia delle ATS e delle amministrazioni comunali, che permetteranno di raccogliere e strutturare correttamente i dati mediante elaborazioni valide, che potranno essere messe a disposizione per l’accesso pubblico”.
Non si capisce quindi se i dati richiesti ci sono, seppur non aggregati, come del resto hanno sostenuto tutte le ATS e ASST interpellate, o invece se solo ora la Regione abbia iniziato a raccoglierli dalle ATS e dai Comuni per poterli poi elaborare, come indicato da Bergamaschi.
In ogni caso il diritto di accesso al dato è compromesso, come spiega ad Altreconomia l’avvocato Ernesto Belisario, specializzato in diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione e co-autore con Avviso Pubblico del libro “La trasparenza (im)possibile”. “La situazione di emergenza legata alla pandemia non può essere una motivazione sufficiente per cancellare o sospendere completamente il diritto di accesso ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni. La contingenza potrebbe semmai giustificare il differimento nella risposta, non il diniego totale delle richieste di trasparenza. Inoltre, così come chiarito da circolari e sentenze, prima di rigettare le domande, le amministrazioni dovrebbero instaurare un dialogo collaborativo con i richiedenti, preoccupandosi di come soddisfare la pretesa conoscitiva compatibilmente con la situazione di emergenza. La trasparenza non è soltanto un adempimento, ma un metodo di lavoro, un dovere per le istituzioni democratiche, anche in condizioni di emergenza”.
Se così fosse se ne dedurrebbe che da parte delle ATS e quindi della Regione Lombardia non esiste alcuna strategia pianificata e basata su evidenze epidemiologiche, oltre che scientifiche, di contrasto al Covid 19. Si procede a tentoni, navigando a vista, affidandosi periodicamente a qualche annuncio ad effetto, a qualche fotografia d’impatto o a qualche inaugurazione a consumo dei media mainstream. D’altra parte il 29 aprile la task force sanitaria della Regione Lombardia ha comunicato che il 21 febbraio quando si è individuato il primo caso di Coronavirus a Codogno vi erano ben 1.200 cittadini lombardi già infettati, quasi la metà dei quali, 546, probabilmente già dal 26 gennaio. Ammettiamo pure che i primi giorni dell’infezione tutti fossero asintomatici, ma non è credibile che nelle quattro settimane che hanno preceduto il 21 febbraio, nessuna di queste 1.200 persone abbia visto l’infezione evolvere verso una sintomatologia più grave e più evidente. Sarà accaduto in centinaia di casi. Com’è possibile che il sistema di sorveglianza sanitaria non se ne sia accorto e non abbia attivato l’allerta?
Stando ai riscontri dell’ATS di Milano -conclude Agnoletto- la risposta appare molto semplice: il sistema di sorveglianza sanitaria non c’è o se c’è non funziona. E i contagi si sono diffusi con le conseguenze che tutti conosciamo. L’epidemiologia e la statistica sanitaria non sono degli optional, sono strumenti essenziali per governare la problematiche di sanità pubblica; ma al Pirellone e nei vertici delle ATS non pare vi sia questa elementare consapevolezza”.
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