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Ecco come è possibile tornare all’economia di montagna
Servono coraggio e passione, ma anche il sostegno delle istituzioni e dei consumatori, come dimostrano le storie che abbiamo raccolto dalla Val Sabbia alla Val di Taro. “L’atto agricolo deve ritornare a essere un atto sociale”
Gianfranco Flocchini è nato nel 1960 nelle Pertiche di Val Sabbia (Brescia). Ha deciso di tornare in montagna dopo una parentesi lavorativa lontana dalla propria terra d’origine. Qui, insieme alla moglie Anna Bacchetti, nel 2001 ha fondato l’azienda agricola Biodase, recuperando un terreno e un fienile di famiglia a 850 metri di quota, da cui si gode una vista spettacolare sui monti e i boschi circostanti. Sul loro ettaro di terreno Gianfranco e Anna producono frutti di bosco: ribes, lamponi, more, fragole, castagne, sambuco, corniolo, uva fragola, amarene, rosa canina. I frutti vengono raccolti e subito trasformati nel laboratorio aziendale in confetture dolcificate con zucchero di canna o succo d’agave bio: “La scelta del metodo biologico -dice Gianfranco- è stata naturale, dettata dal rispetto per la terra. Ma non solo: se avessimo coltivato con metodo convenzionale avremmo dovuto abbassare il prezzo di nostri prodotti e non retto la concorrenza coi prodotti di pianura, mentre il biologico assicura un notevole valore aggiunto che ripaga i costi e garantisce un reddito equo. In montagna il suolo è meno fertile, l’esposizione solare inferiore, i terreni sono in pendenza, i costi di manodopera maggiori. Tanto lavoro è manuale: grazie al bio riusciamo a spuntare meglio i costi”. Biodase è uno degli esempi di aziende agricole montane di successo, che può vantare una consolidata clientela e un fatturato annuo di circa 40.000 euro (dati 2016), comprensivi sia dei ricavi della propria produzione sia di quelli derivati dalla trasformazione per conto terzi di succhi e marmellate.
In Italia, le aree montane significativamente distanti dai centri di offerta dei servizi essenziali, dette “aree interne”, occupano il 60% del territorio nazionale, ma ospitano soltanto un quarto della popolazione totale. Un tempo vocate all’agricoltura e all’allevamento famigliari organizzati su piccola scala, offrono risorse uniche dal punto di vista culturale e ambientale grazie alla secolare interazione tra uomo e natura che ne ha plasmato i territori, assai diversificati da zona a zona. Nel corso del Novecento, queste zone marginali sono state segnate dall’inesorabile spopolamento verso i centri urbani e industrializzati.
L’emigrazione verso i fondovalle continua ancora oggi, ma c’è chi, come Gianfranco, lascia la città per spostarsi in montagna dove iniziare una nuova avventura di vita e di lavoro. Al fenomeno di coloro che, per semplificazione, vengono chiamati “nuovi montanari” sono stati dedicati numerosi studi. In particolare, l’Associazione torinese “Dislivelli”, che pubblica mensilmente l’omonimo web magazine di cultura e antropologia di montagna (www.dislivelli.eu), documenta dal 2010 i vissuti di chi compie questa scelta in controtendenza.
Il ruolo delle istituzioni è importante. Nel caso di Biodase, ad esempio, gli investimenti iniziali sono stati a carico dei titolari, mentre i successivi acquisti di macchinari e attrezzature di laboratorio sono stati possibili grazie al contributo a fondo perduto erogato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale (PSR): lo strumento dell’Unione europea che permette alle singole Regioni italiane di sostenere e finanziare gli interventi nel settore agricolo e forestale. Ai finanziamenti previsti dai bandi annuali del PSR si accede grazie al raggiungimento di un punteggio assegnato sulla base di una serie di fattori: risultare agricoltori in attività, possedere un’adeguata preparazione professionale, presentare un piano aziendale per lo sviluppo dell’attività agricola. Vengono inoltre tenuti in conto la posizione dell’azienda (il punteggio assegnato è maggiore se in zone svantaggiate di montagna), l’estensione dell’area coltivabile o il numero dei capi d’allevamento, nonché l’età del titolare dell’azienda. Un occhio di riguardo, infatti, è riservato ai giovani: a chi si insedia per la prima volta in un’azienda agricola e ha un’età compresa tra i 18 e i 40 anni è dedicata una specifica sottomisura del PSR. Bisogna essere titolari di un’impresa individuale e aver già iniziato l’insediamento in un’azienda agricola o di essere già titolari di una partita IVA agricola.
La bresciana Anna Crescenti, classe 1974, è un virtuoso esempio di chi ha beneficiato di 25.000 euro del “Premio Giovani” per la sua azienda agricola biologica Comazera: “Io e mio marito Matteo Gatti siamo ingegneri ambientali. Dopo la laurea abbiamo lavorato per alcuni anni per delle ong nell’ambito della sicurezza e della progettazione di infrastrutture in zone di guerra. È stata un’esperienza molto forte e arricchente, ma a un certo punto abbiamo capito che la montagna, da sempre una nostra grande passione, ci stava chiamando ed è così che, nel 2010, abbiamo deciso di stabilirci in Val Camonica: abbiamo acquistato un terreno di circa 4.000 metri quadri a 1.300 metri di quota, nel Comune di Corteno Golgi, posto tra Edolo e il Passo dell’Aprica. Qui coltiviamo frutti di bosco, ortaggi, mais rustici, patate ed erbe aromatiche. Vendiamo i nostri prodotti sia freschi sia trasformati, che lavoriamo nel laboratorio realizzato grazie al PSR, che ci ha finanziati al 40%. Fare agricoltura ci impone di rimanere sul luogo, ma grazie all’organizzazione Wwoof (World Wide Opportunities on Organic Farms) portiamo il mondo in casa nostra, ospitando persone provenienti da vari Paesi che ci aiutano nel lavoro nei campi in cambio di vitto e alloggio. Il fatturato di Comazera viene ancora oggi totalmente reinvestito in azienda. Perciò, per far fronte all’economia familiare Matteo, svolge ancora qualche consulenza di ingegneria all’estero e nei mesi liberi mi aiuta nei lavori agricoli. Il nostro obiettivo è quello di aumentare la produzione recuperando altri terreni e offrire ospitalità”.
“Il contadino di montagna non può e non deve trovarsi da solo. Se si hanno sensibilità e intenti comuni bisogna unirsi e lavorare insieme, con solidarietà e mutualismo”
Per avviare attività agricole e accedere dunque ai finanziamenti è necessario un iniziale e oneroso investimento di capitali. Spiega Michele Corti, docente di Zootecnia di montagna presso il Dipartimento scienze e politiche dell’ambiente dell’Università degli Studi di Milano e titolare del sito ruralpini.it dedicato a cultura, società e politica della montagna: “In generale, le procedure di accesso ai finanziamenti, specie per gli interventi di carattere progettuale, implicano un impegnativo lavoro amministrativo e burocratico che mal si concilia con le piccole dimensioni aziendali, per le quali le organizzazioni agricole, assuefatte alle pratiche ordinarie, non sono sempre preparate. La piccola azienda di montagna è scoraggiata dai pesanti oneri della progettazione anche di interventi minimi e da prescrizioni tecniche spesso ridondanti, che fanno lievitare i costi e comportano pesanti ammortamenti. A queste difficoltà si uniscono i problemi del credito bancario, che non viene concesso prima di diventare azienda agricola, la frammentazione dei fondi e una legislazione non ancora adeguata ai nuovi assetti economico-sociali che non sempre consentono di approfittare della pur ampia disponibilità di terreni incolti. Nuove opportunità possono derivare dal superamento di una visione aziendalistica delle realtà contadine, nel coinvolgimento da parte dei produttori che si insediano in montagna dei coproduttori e dei consumatori, all’insegna di relazioni economiche-sociali di prossimità e di mutualismo”.
Su questi valori si basa la positiva esperienza dell’Associazione Piccoli Produttori dell’Alta Val Taro (Appennino parmense), nata nel 2013 per coinvolgere i produttori locali (ad oggi circa 15), perlopiù non originari del luogo e provenienti da contesti diversi. Tra di essi vi sono anche alcuni giovani che hanno deciso di tornare a un’agricoltura non industriale e di riadattare vecchi casali abbandonati o sfitti da decenni. Da quattro anni, l’Associazione promuove e gestisce il bio-mercato del contadino a Borgo Val di Taro, in convenzione con l’Amministrazione comunale: vi prendono parte i produttori locali che, sulla base del disciplinare che l’associazione ha adottato per le produzioni, fanno riferimento alla certificazione biologica e al progetto del Distretto di Economia Solidale di Parma sull’autocertificazione partecipata. Fondamentale sponda per la riuscita di questa iniziativa è la legge 19/2014 della Regione Emilia-Romagna per la promozione e il sostegno dell’economia solidale.
In montagna giunge anche chi decide di operare nell’ambito rurale senza però aprire un’azienda agricola, mantenendo il cosiddetto “regime di esonero” che riguarda le imprese con un fatturato massimo di 7.000 euro all’anno: è il caso di Nicola Savio (1971) e Noemi Zago (1973), che nel 2006 abbandonano Torino per avviare la microfattoria “Officina Walden” nelle Prealpi del Canavese, in Comune di Lessolo. “Grazie ai nostri risparmi abbiamo acquistato un terreno di 11.000 metri quadri dove abbiamo realizzato un orto e piantato alberi da frutto e arbusti. Facciamo vendita sia diretta in azienda degli ortaggi freschi sia tramite una sorta di abbonamento annuale da parte di clienti che si impegnano a ricevere ogni settimana una cassetta dei nostri prodotti di stagione”. Grazie all’Associazione Orto di Carta, Nicola tiene corsi di formazione a chi desidera approcciarsi all’attività orticola su piccola scala, dalle tecniche volte a ridurre le lavorazioni alle strategie migliori per fronteggiare le criticità stagionali, dalla programmazione del lavoro per evitare inutili sprechi alla comunicazione e al marketing, dal tipo di regime fiscale da adottare alla pianificazione economico-finanziaria.
Nei contesti montani, dove le piccole estensioni agricole, la brevità della stagione produttiva e le sfavorevoli caratteristiche geo-morfologiche dei terreni spesso non consentono di ricavare il necessario per il proprio sostentamento, è fondamentale la cooperazione e l’aiuto reciproco tra le singole realtà contadine. Patrizio Mazzucchelli si è trasferito negli anni 80 da Milano a Teglio, in Valtellina. Presso la sua azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine riproduce varietà orticole e cerealicole valtellinesi e alpine in collaborazione con la Fondazione svizzera Pro Specie Rara. Dice Patrizio: “Il contadino di montagna non può e non deve trovarsi da solo. Se si hanno sensibilità e intenti comuni bisogna unirsi e lavorare insieme, garantendo alcuni caratteri di solidarietà e mutualismo che le società agricole del passato conoscevano bene. L’atto agricolo deve ritornare ad essere un atto sociale, che permetta, ad esempio, di condividere l’acquisto di macchinari come mietitrebbie, mietileghe, trebbie stanziali, che difficilmente un singolo riuscirebbe ad acquistare”.
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