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Diritti / Reportage

Droni in cielo, sgomberi a terra. Per i migranti Calais resta un inferno

Su un muro della spiaggia di Escalles, vicino a Calais, la scritta “Open the borders”. In lontananza, sull’altro lato della Manica, le scogliere di Dover © Davide Pignata

I controlli delle autorità francesi spingono le persone a partire da luoghi ancora più distanti dalle coste del Regno Unito, aumentando così i rischi della traversata. A terra, intanto, le attività dei solidali vengono costantemente ostacolate

Tratto da Altreconomia 269 — Aprile 2024

A quasi otto anni dallo smantellamento della “giungla” di Calais (il più grande accampamento informale d’Europa che ha ospitato fino a diecimila persone in transito), nella Regione dell’Hauts-de-France si concentrano ancora migliaia di migranti in attesa di attraversare il canale della Manica. Ci vogliono circa duemila euro da pagare a un passeur per un posto su una barca, senza garanzia di successo.

“È sempre più difficile partire dalle spiagge di Calais, perché sono estremamente controllate, anche con droni e aerei”, spiega Jeanne Bonnet, responsabile della casa di accoglienza La Margelle. Non sono rari i racconti di gommoni sovraffollati, pronti a salpare, squarciati dagli agenti di polizia francese che costringono così i passeggeri a tuffarsi nelle gelide acque della Manica. Data la quasi impossibilità di partire da Calais, i migranti in partenza si spingono in altre località più o meno distanti per tentare di attraversare con meno controlli. Ma i rischi aumentano.

“Partendo da luoghi più lontani dalla costa inglese il viaggio diventa più difficile -aggiunge Bonnet-. Il tempo di attraversamento con piccole barche da Boulogne-sur-Mer al Regno Unito raddoppia e la traversata è più pericolosa. Qualche settimana fa abbiamo accolto un gruppo di persone iraniane che hanno camminato 30 chilometri per ritornare fino a qui: avevano tentato di salire su una barca proprio a Boulogne-sur-Mer, ma hanno fallito”.

Intanto, nei giorni in cui il primo ministro britannico Rishi Sunak tenta in tutti i modi di convincere le Camere e le corti nazionali e internazionali della legittimità del piano Ruanda (l’accordo in discussione ormai da anni per inviare nel Paese africano i nuovi richiedenti asilo arrivati sulle coste britanniche), nel canale della Manica gli attraversamenti continuano e con essi le tragiche morti. Tra il 13 e 14 gennaio i corpi di cinque ragazzi siriani, tra i 14 e i 26 anni, sono stati rinvenuti al largo di Wimereux, cittadina a 30 chilometri da Calais.

Qualche giorno dopo, il 27 gennaio, un ragazzo sudanese di 19 anni è stato schiacciato dal rimorchio di un camion su cui era salito nel tentativo di raggiungere Londra. Un mese dopo, il 28 febbraio, a seguito di un’operazione di salvataggio nella Manica, sono stati registrati un altro morto e due dispersi, di cui ancora non si conosce l’identità. Infine, la notte del 3 marzo, nel tentativo di compiere la traversata con una piccola barca, sotto lo sguardo dei genitori e di tre fratelli, è morta una bambina di sette anni. Sono loro le prime vittime dell’anno sul confine tra Francia e Regno Unito. 

“È sempre più difficile partire dalle spiagge di Calais verso il Regno Unito, perché sono estremamente controllate, anche con droni e aerei” – Jeanne Bonnet

Secondo i dati di Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, nel 2023 sono stati registrati 62.067 tentativi di attraversamento della Manica, con 36.704 arrivi sulle coste britanniche, un terzo in meno rispetto al 2022. Lucy Moreton, dell’Immigration services union (Isu), in un’intervista del primo gennaio al Guardian, ha affermato che la diminuzione degli attraversamenti è probabilmente dovuta alle “condizioni meteorologiche estremamente avverse” che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dello scorso anno.

Oltre al maltempo altri impedimenti non atmosferici precludono un attraversamento sicuro, soprattutto in cittadine come Calais e Dunkerque: droni, telecamere termiche, pattugliamento costante delle spiagge con unità mobili e aeree, sgomberi sistematici degli accampamenti informali. A gennaio 2024 l’osservatorio Human rights observers, che riporta e denuncia le violenze delle autorità nei confronti di persone transitanti sul confine franco-britannico, ha documentato 101 sgomberi di sei accampamenti informali nella sola Calais da parte degli agenti della Compagnie républicaine de sécurité (Crs), unità di polizia francese con funzioni antisommossa.

“Gli sgomberi avvengono ogni 48 ore -riprende Bonnet-. La polizia requisisce tende, sacchi a pelo e coperte, anche con le condizioni meteo estreme di questo inverno, nonostante le alluvioni e la neve. Gli agenti della Crs che si occupano di queste operazioni rimangono a Calais per due settimane prima di spostarsi in un altro luogo; forse anche per loro tutto questo è troppo da sopportare per un lungo periodo”.

Data la cadenza quasi quotidiana di queste operazioni, le associazioni che si occupano della distribuzione di tende e sacchi a pelo si scontrano sempre più con la quasi impossibilità (operativa ed economica) di consegnare il materiale in modo continuativo. Agli sgomberi si aggiunge il tentativo di rendere inagibili i luoghi di accampamento e di distribuzione: negli ultimi anni, secondo le direttive comunali, sono state scaricate più di 800 tonnellate di massi in alcune zone nel centro e nella periferia di Calais, per non permettere alle persone migranti di piantarci le tende o alle associazioni di consegnare cibo e materiale. L’ultimo caso risale a fine novembre 2023, quando delle ruspe mandate dal Comune hanno scavato una serie di fossi e scaricato delle grandi rocce in una zona vicina a un accampamento informale dove le associazioni di primo soccorso organizzavano le attività.

“La polizia cerca in tutti i modi di impedire le distribuzioni di cibo, per esempio chiudendo al traffico le strade dove vengono organizzate le consegne” – Jeanne Bonnet

Per rispondere alle necessità delle persone in movimento e denunciare i soprusi delle autorità nei loro confronti esiste ormai da anni una variegata rete di associazioni: c’è chi cucina e distribuisce cibo e materiale negli insediamenti informali, chi organizza piccole accoglienze per le persone più vulnerabili, chi fornisce un accompagnamento giuridico, medico o sociale, chi monitora e denuncia i comportamenti illeciti della polizia. L’ostilità degli agenti coinvolge direttamente anche loro.

“Siamo sempre sotto pressione nelle nostre azioni quotidiane -sottolinea Bonnet-. Quando organizziamo delle attività in spiaggia con le persone accolte a La Margelle, capita che gli agenti ci intimidiscano alludendo al fatto che siamo lì per aiutare le persone a emigrare in maniera irregolare”. Bonnet continua raccontando che sono le associazioni che si occupano delle distribuzioni a essere maggiormente in difficoltà: “La polizia sta cercando in tutti i modi di impedirle, per esempio chiudendo al traffico le strade dove solitamente vengono organizzate le consegne di cibo e materiale”.

In passato l’ostruzione alle distribuzioni era più esplicita perché giustificata legalmente: tra settembre 2020 e ottobre 2022 un decreto prefettizio aveva infatti vietato la possibilità di consegnare cibo per le strade del centro di Calais. Il motivo? Prima l’emergenza sanitaria, e poi il “rischio di disturbo all’ordine pubblico”. Le persone (appartenenti ad associazioni o singoli cittadini) che in quel lasso di tempo sono state identificate durante una distribuzione di cibo a Calais, hanno ricevuto una sanzione amministrativa di 135 euro. Solo il 22 ottobre 2022, dopo due anni, il tribunale amministrativo di Lille ha considerato le ordinanze prefettizie “sproporzionate”, portando così alla loro sospensione. 

Volontari e persone in transito della casa di accoglienza La Margelle mentre svolgono un’attività ricreativa in spiaggia. Le realtà che lavorano con i migranti a Calais vengono spesso intimidite dalle forze dell’ordine francesi © Letizia Santhià

Queste azioni più o meno esplicite volte a reprimere le attività solidali, insieme ai controlli capillari e agli sgomberi sistematici, rendono insostenibile la vita delle persone migranti che si trovano a Calais. L’obiettivo di questo insieme di impedimenti sembra essere disincentivare l’arrivo di transitanti a Calais e poi nel Regno Unito, ma ha degli effetti collaterali. Data la mancanza di alternative, le partenze avvengono in condizioni precarie e insicure, perché l’obiettivo è lasciarsi alle spalle il prima possibile la situazione non più sopportabile in cui si vive. Attraversamenti della Manica che non raramente comportano la morte di chi li intraprende. 

Secondo Calais migrant solidarity, sono 26 le persone decedute nel 2023, due i dispersi. Jean-Luc Dubaële, sindaco di Wimereux, la città al largo della quale sono stati trovati i corpi delle prime cinque vittime del 2024, in un’intervista rilasciata all’emittente francese Bfm Tv poco dopo la tragedia, ha indicato come colpevoli per queste morti da una parte i trafficanti, “criminali e assassini” che sfruttano persone vulnerabili, e dall’altra il Regno Unito, meta troppo attrattiva per l’ottenimento di documenti e per lo svolgimento di lavori informali. 

Continuare a concentrarsi solamente sui fattori attrattivi (pull factor) o sui mediatori (passeur), invece che interrogarsi sui motivi (push factor) che hanno spinto le persone a migrare svela un punto di vista parziale sul fenomeno. Ampliare lo sguardo alle ragioni che spingono le persone a migrare (le prime vittime dell’anno nella Manica sono infatti di nazionalità sudanese e afghana) e alle responsabilità dei Paesi di destinazione aiuterebbe forse a capire che l’elefante nella stanza non sono politiche di asilo troppo favorevoli o i trafficanti, ma la mancanza di un’alternativa sicura e accessibile per persone in cerca di una protezione. 

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