Diritti / Attualità
Da Finale Emilia alla Guinea-Bissau, storie di sartorie sociali
Il progetto “Ricucire il futuro”, sostenuto dalla Ong Mani Tese, mette in collegamento le Manigolde con il laboratorio Renascer Alfaiataria nella capitale del paese africano. Uno scambio di tessuti e modelli per sostenere l’indipendenza delle donne e l’artigianato locale
La sartoria sociale delle Manigolde a Finale Emilia e la sartoria comunitaria Renascer Alfaiataria, nel quartiere di Antula a Bissau in Guinea, sono legate da un filo. Le artigiane del laboratorio di cucito in provincia di Modena, infatti, scambiano idee, modelli e tessuti con le colleghe del Paese africano. Il ponte è stato aperto nell’ambito del progetto “Ricucire il futuro”: avviato nel gennaio 2021 dalla Ong Mani Tese, con l’obiettivo di favorire l’autonomia economica e sociale di ragazze e donne vulnerabili in Guinea-Bissau grazie alla loro formazione professionale nella sartoria situata nella capitale.
A Renascer Alfaiataria le ragazze vengono avviate al mestiere, dall’uso della macchina elettrica fino al taglio e alla cucitura dei vestiti. Finora le Manigolde hanno contribuito a distanza: la sartoria emiliana, specializzata nel riutilizzo di tessuti e nell’adattamento di capi già esistenti, ha spedito stoffe e attrezzature ad Antula dopo un incontro virtuale in cui le partecipanti dei laboratori si sono conosciute. La collaborazione non finisce qui: l’idea è organizzare workshop online nei quali si realizzeranno insieme capi con modelli e stoffe tradizionali mettendo in comune le esperienze delle due realtà. “A dicembre a Bissau organizzeremo una fiera dove le sarte potranno esporre i loro lavori -spiega ad Altreconomia Anna Bartalini, capo progetto di Mani Tese in Guinea-Bissau-. Sarà un momento dedicato all’empowerment femminile condotto insieme a organizzazioni che combattono la violenza di genere e portano avanti attività di sensibilizzazione sui diritti delle donne. Iniziative che non è facile trovare nel Paese né in città”.
La Guinea-Bissau, dove Mani Tese opera dal 1979, è uno dei Paesi più poveri al mondo. Nel 2018 si trovava al 178esimo posto nel Gender Inequality Index che segnala le ineguaglianze di genere e le discriminazioni come ostacoli allo sviluppo economico e sociale di uno Stato, specialmente nelle aree rurali. Rispetto agli uomini le donne guineane hanno un limitatissimo accesso ai servizi sanitari e un minore accesso all’istruzione. Hanno ridotte entrate economiche, meno possibilità di trovare lavoro e pochi strumenti di contrasto alla povertà. Sono spesso vittime di violenze ma hanno scarse protezioni giuridiche. “La nostra idea per il prossimo anno è aprire un piccolo fondo per sostenere le persone che hanno partecipato ai corsi e supportarle nel reinserimento nella società”, prosegue Bartalini.
Le donne al lavoro nella sartoria comunitaria sono formate da una sarto professionista in collaborazione con l’organizzazione Amic che gestisce un centro di protezione per donne e bambine provenienti da contesti di violenza. I materiali e le stoffe usati nel laboratorio vengono comprati nei mercati cittadini: nel laboratorio si riproducono abiti della tradizione perché, tra gli obiettivi di “Ricucire il futuro”, c’è anche il recupero dell’artigianato locale e delle sue tradizioni. “Molte donne che hanno partecipato ai corsi hanno visto il loro ruolo riconosciuto nella famiglia e nella comunità -prosegue Bartalini-. Nella sartoria sono organizzate attività di sensibilizzazione sui diritti, in particolare in relazione alle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni forzati”.
Due pratiche comuni nel Paese. In Guinea-Bissau la percentuale di donne e bambine vittime di mutilazioni genitali femminili è elevata: come riportano dati Unicef del 2020, le ha subite il 29% di ragazze di età fino ai 14 anni e il 44% di donne tra 15 e 49 anni. In media circa il 10% delle ragazze sono costrette a sposarsi prima di raggiungere i 15 anni e il 29% si sposa prima dei 18. Molto spesso il matrimonio è una conseguenza della povertà. “Anche grazie gli incontri e alle attività di ascolto e sensibilizzazione, la sartoria è diventata un luogo conosciuto nel quartiere. A noi si uniscono anche donne che magari stanno passando per strada e guardano che cosa stiamo facendo”.
Dall’altro capo del filo ci sono le Manigolde. “Una parte della nostra collaborazione in ‘Ricucire il futuro’ consiste nell’organizzare incontri sulla moda sostenibile e sulle alternative alla fast fashion”, spiega la coordinatrice Lucrezia Roncadi. Tra le attività in programma c’è l’evento conclusivo in cui si racconteranno i risultati raggiunti nel progetto, il prossimo 13 novembre a Finale Emilia, moderato da Altreconomia.
La sartoria, aperta agli inizi del 2020, ha dato via a due produzioni: la linea “Rimani”, in cui i capi sono realizzati valorizzando vestiti già esistenti ma che presentano alcuni difetti, e “Emani” dove i capi sono creati con un processo di upcycling di tessuti e accessori dell’industria di abbigliamento. Ora le volontarie stanno per aprire un negozio in centro a Finale Emilia. “Il ricavato sarà utilizzato per sostenere ulteriori progetti locali. Abbiamo avuto l’idea di comprare un forno per la ceramica e per realizzare una muova linea di prodotti”, prosegue Roncadi. “Nel nostro primo incontro con le ragazze di Antula, abbiamo visto come si sono appassionate alla tecnica dell’uncinetto. Abbiamo inviato loro i materiali necessari e realizzato un tutorial su come realizzarlo. Abbiamo pensato alla collaborazione come a un continuo scambio”.
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