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Inclusione e recupero dei tessuti: la nuova sartoria sociale di Mani Tese

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Elisa Terzi e Rita Dallolio, due volontarie della sartoria sociale ManiGolde, mentre lavorano al disegno di un nuovo abito negli spazi del laboratorio nella sede di Finale Emilia di Mani Tese. © Marta Facchini

A Finale Emilia è nato il laboratorio di comunità ManiGolde. Le collezioni sono create a partire da capi raccolti nel mercatino dell’usato e da scampoli di stoffa. Una risposta di socialità in un territorio ancora ferito dal terremoto del 2012

Tratto da Altreconomia 223 — Febbraio 2020

Cristiana sta imbastendo un vestito da sera. Prende un tessuto nero e lo lavora con cura: disegna la forma, aggiusta la lunghezza. Poi, taglia le maniche. Si appoggia su un tavolo che è riempito da pezzi di stoffa. “Sono soddisfatta: è venuto bene”, dice mentre lo sistema su uno degli appendiabiti nella sartoria sociale ManiGolde a Finale Emilia, in provincia di Modena. Il laboratorio si trova in una delle stanze della sede della ong Mani Tese: nata negli anni Sessanta, sede centrale a Milano, si occupa di giustizia economica, sociale e ambientale in Italia e nel mondo. È presente sul territorio della Bassa modenese dal 1996, impegnata in percorsi di cultura del riuso, sostenibilità ambientale e integrazione sociale attraverso laboratori, tirocini lavorativi, incontri e la vendita di oggetti rielaborati. La sede in Emilia è stata autocostruita ed è diventata un importante punto di aggregazione dopo il terremoto del 2012.

“L’idea di una sartoria dove recuperare tessuti di scarto e portare avanti progetti lavorativi con persone in condizioni di fragilità è venuta quasi per caso. Quando abbiamo organizzato la prima riunione, abbiamo visto che l’adesione c’era e le energie anche. Allora, ci siamo subito messe in moto”, spiega Cristiana Cesari, stilista, mentre controlla le gonne in fila sulle stampelle nella stanza che fino a poco tempo prima era il magazzino di Mani Tese. Lo spazio dove si sistemavano i vestiti e gli oggetti donati all’organizzazione, poi venduti nei giorni d’apertura del mercatino dell’usato, il mercoledì e il sabato, adesso è riempito da macchine per cucire e manichini, scatole di bottoni e cerniere, rotoli di filo e abiti da modificare. “ManiGolde è pensato in continuità con i principi sedimentati nei luoghi in cui ci troviamo: l’inclusione e la cultura del riuso dei materiali”, prosegue Cristiana. “Non è un caso che accanto a noi ci sia la banda Rulli Frulli, che crea strumenti musicali da vecchi oggetti. C’è un filo conduttore”. Nata nel 2010 da un’idea di Federico Alberghini, e accolta a Mani Tese dopo il terremoto, la banda fa suonare insieme ragazzi con e senza disabilità, usando strumenti musicali realizzati tramite materiali di riuso. Oggi, ne fanno parte circa 70 persone fra gli otto e 30 anni.

“ManiGolde è partito da poco. Da un caffè con Elisa Terzi, che è subito diventata una delle anime del progetto. Eppure, la sartoria si mostra già come un incubatore di idee e pratiche”, spiega Gaia Barbieri. Fa parte di Mani Tese a Finale Emilia dagli inizi e ha seguito il gruppo di volontari che si occupa degli inserimenti lavorativi e delle persone con fragilità. Nella sartoria sociale arriveranno due donne ma la prospettiva è rafforzare la collaborazione con i servizi sociali di Finale Emilia, che hanno mostrato interesse. “La collaborazione punta a costruire inserimenti mirati. E questo scambio con il Comune è un riconoscimento del nostro lavoro e di come Mani Tese sia un bene che va speso sul suo territorio”, dice aggiungendo che ManiGolde riesce anche a trasmettere un forte messaggio di critica nei confronti dell’industria della moda e di rispetto per il lavoro lento, pensato, attento ai materiali e a chi li maneggia. “Ha fatto conoscere persone con vissuti diversi alle spalle. Le ha fatte parlare ancora prima di sapere le storie che si portano dietro. A Mani Tese ci si incontra e si creano relazioni prima di imparare altro -afferma Gaia-. È un luogo dove si sperimentano pratiche, si occupano spazi, si creano ponti”, commenta.

ManiGolde vuole trasmettere un forte messaggio di critica nei confronti dell’industria della moda e di rispetto per il lavoro lento, attento ai materiali e a chi li maneggia

“I ragazzi che vengono a fare un tirocinio non se ne voglio andare più. E spesso ritornano come volontari. Succede perché si pensa, e si agisce, in base alle necessità di ognuno, alle sue potenzialità”, spiega Anna Confente: ha conosciuto Mani Tese nell’ambito del suo lavoro, per poi diventare volontaria dell’associazione. “Le potenzialità si rafforzano perché si capiscono le abilità e i talenti di ognuno. Anche rimettendo in discussione le decisioni iniziali. Siamo in un luogo fertile, dove si cresce”, afferma, mentre Rita Dallolio, stilista e modellista, disegna un abito su un foglio bianco. “Ora nel gruppo siamo in 11: prima ci conoscevamo tutte di vista e ora lavoriamo insieme. Ognuna di noi ha competenze specifiche: chi sa cucire, chi si occupa del campionario, chi gestisce la comunicazione”, racconta. Anche Rita conosce Mani Tese da anni. Veniva al mercatino a portare quello che non indossava più: quando ha saputo della sartoria sociale, ha deciso di partecipare come volontaria mettendo a disposizione tempo e abilità. “Abbiamo pensato al nome ManiGolde perché la parola simboleggia i principi che la animano: essere ribelli quanto basta e tendere verso l’esterno. Accogliere, custodire un oggetto che viene dal passato e ridargli valore”, conclude.

ManiGolde si muove su due livelli: modifica indumenti usati e ne crea di nuovi utilizzando tessuti di scarto. La prima linea si chiamerà RiMani: i vestiti vintage donati a Mani Tese prendono una forma nuova, trasformati e reinterpretati anche con l’aggiunta di accessori. L’altra collezione, invece, sarà creata ex novo e chiamata ManiGolde. “L’obiettivo è arrivare ad avere un nostro marchio riconoscibile. Per marzo saranno pronti i primi capi: inizieremo a vendere nel mercatino che si organizza il sabato ma vogliamo arrivare nei negozi e mettere su dei pop-up store in punti strategici. Stiamo pensando anche agli acquisti online. Il prezzo sarà deciso in base al materiale impiegato e a quanto tempo c’è voluto per lavorarlo”, prosegue Rita.

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Un dettaglio di un abito vintage donato a Mani Tese di Finale Emilia. Sarà modificato ed entrerà a fare parte della collezione RiMani della sartoria sociale. © Marta Facchini

Vicino al manichino dove ha appoggiato una camicia si trova la fila delle macchine per cucire. Sono state comprate grazie a una donazione della ditta Mantovanibenne, che ha sede a Mirandola (MO): “È una delle prime aziende che ha creduto nel nostro progetto. Anche se siamo partite da poco e ci troviamo nella fase della preparazione dei capi abbiamo ricevuto molto sostegno. Da privati e da realtà del territorio. Siamo rimaste sorprese ma osservare tutto questo entusiasmo intorno a noi ci fa capire che siamo sulla giusta strada”, spiega Lucrezia Roncadi. Ha studiato Accademia delle Belle Arti a Bologna e lavora come educatrice. Per ManiGolde si è occupata della stesura dei progetti e della comunicazione. Nel corso dell’anno in cui ha fatto il servizio civile a Mani Tese ha curato gli incontri sulla cooperazione internazionale che l’ong porta avanti nelle classi delle scuole superiori e ha dato una mano al mercatino del fine settimana. “Quando si arriva qui, si sa che non si acquista semplicemente un oggetto recuperato ma si sostengono i progetti dell’organizzazione. E credo che nel tempo questa consapevolezza si sia rafforzata: i ragazzi che vengono come volontari sanno di essere parte di una visione più grande della singola attività che stanno svolgendo”, sottolinea, ricordando come nel 2019 i volontari siano aumentati anche “perché c’è più attenzione verso il sociale, l’economia circolare, l’ambiente”. Ne sono arrivati almeno una ventina, in particolare tra i giovani e gli adolescenti, e la fascia d’età arriva fino a chi è in pensione.

“Operiamo in un territorio difficile. A Finale Emilia non c’è un cinema, un teatro. Mani Tese organizza incontri, proiezioni, concerti. Per un ragazzo che vive qui, è tutto” – Lucrezia

“Ci troviamo in una realtà che crea relazioni anche a partire dai luoghi che la compongono, che sono tutti collegati perché tra le stanze c’è una continuità. Il posto dove si selezionano gli oggetti donati. La stanza dei vestiti recuperati e la sartoria, dove non si getta via quasi nulla. Gli spazi dei giocattoli per i bambini e gli scaffali riempiti di libri. La sartoria e accanto i locali della banda musicale: tutti lavorano su scarti, se ne prendono cura trasformandoli”, aggiunge Lucrezia. “Operiamo in un territorio difficile e quanto successo quasi dieci anni fa ha aumentato le problematiche che già conoscevamo. Dopo il terremoto, Mani Tese ha riempito un vuoto. Non solo accogliendo chi non aveva più una casa perché la struttura era antisismica e fortunatamente non aveva subito danni. Ha offerto un’alternativa a chi abita in uno spazio che non offre molto”, prosegue. “Non c’è un cinema, un teatro. Bisognerebbe arrivare fino a Modena per vedere un film in una sala. Invece a Mani Tese si organizzano incontri, proiezioni, concerti. Per un ragazzo che vive qui, è tutto. E a noi fa capire che questo è un territorio da cui non possiamo andare via perché può rinascere. Noi rimaniamo e lo rimettiamo su”.

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