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“Curo i pazienti Covid-19 ogni giorno, in cambio l’Italia mi ha lasciato senza medico di base”
Il dottor Fils Timb Timb si è laureato in medicina a Bologna e oggi lavora nell’Unità speciale di continuità assistenziale della città, assistendo a casa i pazienti. Per oltre un anno è stato lasciato in un limbo dalla questura, senza medico di base e tessera sanitaria. Per l’Asgi non è un caso isolato
“È da marzo di quest’anno che curo i pazienti Covid-19, eppure il mio permesso di soggiorno non veniva rinnovato e così mi è stato negato il diritto ad avere un medico di base e a iscrivermi al Servizio sanitario: se dovessi ammalarmi, non saprei veramente come fare”. Fils Timb Timb, 34 anni, è arrabbiato quando racconta la sua storia: arrivato dal Camerun nove anni fa con in mano una laurea in chimica, a Bologna si è iscritto di nuovo all’università, questa volta per studiare medicina. Oggi, dopo la laurea, sta aspettando l’assegnazione per la specializzazione: vorrebbe diventare radiologo. Per sei anni ha avuto un permesso di soggiorno da studente, e nell’ottobre 2019 ha fatto richiesta per un permesso da lavoratore autonomo. Per più di un anno non ha ricevuto risposta, con tutti i problemi che questo ha comportato, tra cui la difficoltà di ottenere la tessera sanitaria e avere un medico curante, ma anche di rinnovare il passaporto e quindi di viaggiare, nemmeno per motivi di lavoro.
“Ricordo quando ci chiamarono ad assistere i pazienti Covid-19 nelle loro case: c’era un po’ di paura, non sapevamo a cosa andavamo incontro -racconta Fils-. Mi sono detto che un medico, in un momento di emergenza, non può tirarsi indietro: è come un soldato che, quando arriva la guerra, sceglie di lasciare l’esercito. Alla fine è il mio lavoro: cerco sempre di seguire le regole, e se prendo il virus pazienza. Il problema è un altro: per un anno ho lavorato aspettando che il mio permesso di soggiorno venisse rinnovato, senza avere neanche il medico di base”. A inizio dicembre 2020, finalmente, la questura di Bologna l’ha contattato: il permesso di soggiorno era stato concesso, poteva andare a ritirarlo. Ma una volta arrivato lì, Fils ha avuto una brutta sorpresa: il suo documento scade il 31 dicembre di quest’anno, poche settimane dopo averlo ottenuto.
“La storia di Fils non è un unicum -spiega l’avvocata Nazzarena Zorzella, parte dell’Associazione di studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-. Molto spesso il permesso di soggiorno arriva pochi mesi prima della scadenza, visto che ha decorrenza dalla data in cui viene fatta la domanda, non da quando viene rilasciato. Così, tante persone vivono per mesi, se non per anni, con il cedolino della richiesta di rinnovo: chi non lo vede non ci crede”. Sotto il profilo formale il cedolino è equivalente al permesso di soggiorno: con esso si può quindi lavorare e mantenere l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale. Nei fatti, però, molti datori di lavoro non lo considerano sufficiente per firmare o rinnovare un contratto, e allo stesso modo vari uffici dell’Asl fanno problemi dicendo che il cedolino è molto vecchio. “C’è una mala informazione, o una resistenza -continua Zorzella-. Su questo, però, la legge è molto chiara: il diritto ad avere un medico di base dev’essere garantito, così come il diritto di lavorare. Oggi si sta aprendo sempre di più la forbice tra quello che è previsto dalla normativa e quello che si fa nella pratica”.
Anche rispetto alla durata del permesso di soggiorno, il Testo unico sull’immigrazione lascia ampio margine alle questure. Fils ad esempio aveva richiesto un permesso di due anni, e per questo aveva allegato il suo bilancio provvisorio da lavoratore autonomo firmato dalla commercialista. Ma la questura di Bologna gli ha concesso un permesso che dura solo un anno e due mesi, sostenendo che nel documento consegnato mancasse la firma. “Anche in questo caso dipende da chi incontri nell’ufficio -spiega Zorzella-. Le questure hanno interesse ad accorciare la durata del permesso di soggiorno: più è breve, più di frequente la persona viene controllata, e più paga per il rinnovo, che costa ogni volta 80 euro più 27 di marca da bollo. Ma se esiste un diritto, quello dev’essere garantito, punto”.
Così oggi Fils sta aspettando di firmare il contratto di specializzazione, per poter richiedere un permesso di soggiorno da lavoratore dipendente. Nel frattempo fa la guardia medica a Imola e continua a lavorare nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) che assistono a casa i pazienti Covid-19, di cui fa parte da marzo, in piena “fase uno”.
“Prima di cominciare il turno facciamo un meeting, consultiamo gli elenchi dell’igiene pubblica e ci dividiamo le persone in base alla zona della città, poi partiamo -racconta Fils-. Entriamo in casa delle persone completamente bardati: doppia mascherina, visiera, cuffia, tuta, guanti. Una volta dentro dobbiamo essere molto veloci, perché più siamo rapidi più è bassa la probabilità di prendere il virus. Visitiamo il paziente e decidiamo se lasciarlo a casa, mandarlo in ospedale o parlare con il medico di base per dargli dei consigli alla luce di quello che vediamo, perché lui non può rendersi conto con i propri occhi delle condizioni della persona”.
Fils racconta che molti si stupiscono ancora di vedere un medico nero: qualcuno gli chiede da dove viene, oppure se è uno studente. “Non c’è cattiveria, solo curiosità -dice-. Il nostro è un lavoro delicato. Spesso mi sono chiesto: mi alzo tutte le mattine e mi prendo il rischio di infettarmi per che cosa? Per curare gli italiani, non mia madre. Ho aspettato il permesso di soggiorno, che mi merito di diritto, per più di un anno: mi devo ancora sentire preso in giro in questo modo? Mi sono stancato dell’Italia: non vedo l’ora di finire il mio percorso formativo qui e poi andarmene. E mi dispiace dirlo: questo Paese mi ha dato tanto, mi ha permesso di studiare in una delle migliori Università, e la mia idea all’inizio era di integrarmi e rimanere. Ma continuo a sbattere contro un muro, e oggi sono veramente stanco”.
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