Diritti / Intervista
“Contro i confini”. Tra l’illusione del controllo e i successi autoritari
Le frontiere non fermano i flussi delle persone in movimento e causano molti dei mali che fingono di prevenire. Occorre una svolta radicale per eliminarle perché il sistema, così come è concepito, non può essere riformato, osserva Luke de Noronha, docente universitario e co-autore di un recente saggio sul tema. Lo abbiamo intervistato
“I controlli dell’immigrazione non impediscono il movimento degli esseri umani né proteggono i cittadini. I confini causano molti di quegli stessi mali che fingono di prevenire, compresa la perdita di vite umane, trattamenti crudeli e degradanti e una crescente disuguaglianza. Non riescono a incidere sulle condizioni che determinano i processi migratori -ineguaglianze globali, espropri di terre, stili di vita, collassi climatici- e rendono vulnerabili a diverse forme di sfruttamento e abuso le persone in movimento”.
Ne è convinto Luke de Noronha, professore associato in Race, ethnicity e post-colonial studies presso l’University college di Londra e co-autore, insieme alla scrittrice e attivista Gracie Mae Bradley, del saggio “Contro i confini” tradotto e pubblicato in Italia da Add nel luglio di quest’anno. I confini, in altre parole, non fanno altro che peggiorare i problemi e creano condizioni che danneggiano tutti: separano i lavoratori e le famiglie, alimentano il razzismo, rafforzano le disparità, incoraggiano lo sviluppo di tecnologie di sorveglianza e controllo.
“Io e Gracie Mae Bradley abbiamo partecipato spesso a incontri pubblici durante i quali si discuteva della Brexit, dello scandalo Windrush o dei voli charter con cui vengono deportati i cittadini stranieri dal Regno Unito -racconta de Noronha ad Altreconomia-. E ci siamo ritrovati nell’affermare concetti molto simili, a partire dal fatto che i controlli sull’immigrazione puntano a mettere le persone nelle caselle ‘giuste’. Quello che si fa alle frontiere dei Paesi occidentali è il tentativo di dividere le persone tra meritevoli e non meritevoli: in questa visione, inasprire i controlli è l’unico modo per evitare che le seconde li varchino”.
La gestione dei confini è basata sull’illusione “per la quale un giorno si possa gestire la migrazione, mettere appunto le persone nelle giuste ‘caselle’ e ottenere i numeri corretti -spiega- ma nessun governo ha mai avuto successo, hanno tutti semplicemente fallito. Gli unici che potrebbero riuscirci, in questi termini, sono quelli autoritari”.
Il libro è nato dunque dall’esigenza di provare a eliminare le “caselle” in cui si cerca di inserire -anche forzatamente- le persone e di scardinare questo meccanismo: ogni individuo, scrivono i due autori nel saggio, è sempre molto più che un lavoratore, un coniuge o un rifugiato. E lo fa in con un’ottica radicale: “Una politica liberale che cerca di migliorare i diritti delle persone che vengono ‘incasellate’ non può funzionare nel lungo periodo -spiega de Noronha- perché non sfida la logica del potere dello Stato di impedire il libero movimento delle persone: cercare di riformare questo sistema è un vicolo cieco”.
L’abolizione delle frontiere si inserisce quindi in un’azione politica più ampia, rivoluzionaria, all’interno delle battaglie per la giustizia economica, l’uguaglianza razziale e le ecologie sostenibili. Una politica “basata sulla convinzione che non ci sarà mai un futuro vivibile laddove i confini tra le comunità politiche vengono sorvegliati ricorrendo alla violenza -puntualizza-. Abbiamo voluto analizzare l’impatto dei confini, a livello globale, rispetto ad alcuni temi che sono al centro dell’agenda dei gruppi progressisti. Nel capitolo sul razzismo, ad esempio, proviamo a evidenziare come questi comportamenti discriminatori si mobilitino attraverso la costante riproduzione della figura del migrante come minaccia: di conseguenza la lotta al razzismo, alla violenza delle polizie verso chi ha la pelle di un colore diverso deve fondamentalmente essere collegata a quella di chi si batte per superare i confini. Nel capitolo sulla classe, affermiamo che l’esclusione dei migranti dalle lotte sindacali per ottenere maggiori diritti per i lavoratori e paghe più alte rappresenta un vicolo cieco”.
Perché l’abolizione dei confini è importante dal suo punto di vista?
LDN Non ho mai trovato un argomento con un fondamento etico che possa essere considerato di sinistra che possa difendere i controlli sull’immigrazione. Il momento storico in cui viviamo è caratterizzato da una tale crisi globale -legata ai cambiamenti climatici e alla crisi del capitalismo- che non ha senso per un singolo Paese pensare di risolvere prima propri problemi per poi dedicarsi in un secondo momento allo sviluppo di altri Stati o alla condivisione della ricchezza. Le preoccupazioni dei poveri di tutto il mondo dovrebbero essere le preoccupazioni di tutti noi che lottiamo per un mondo migliore. Alcune argomentazioni a favore del controllo dei confini si basano sul fatto che si dovrebbe investire per aiutare le persone a migliorare le proprie condizioni di vita dove si trovano. Sono d’accordo con questa prospettiva ma il problema comunque rimane: ci sarà comunque chi, per i motivi più diversi, sceglierà di spostarsi per andare alla ricerca di opportunità di vita migliori, per avere un tipo di vita diverso, per la semplice sopravvivenza. Se partiamo dal presupposto che tutti hanno diritto a vivere nelle migliori condizioni possibili è difficile immaginare come possono essere giustificati i controlli sul movimento delle persone: l’unica posizione verso cui muoversi è quella in cui i controlli sull’immigrazione sono illegittimi.
Nel vostro saggio si analizzano anche i cambiamenti che hanno subito i confini, che oggi non corrispondono più solamente con le frontiere esterne dei singoli Stati
LDN Negli ultimi trent’anni i confini sono stati sempre più internalizzati. Mentre negli anni Novanta l’accento veniva posto prevalentemente sulle frontiere esterne, una volta che le persone erano riuscite a entrare nel Paese non c’era un’infrastruttura di polizia per identificarle, trattenerle e rimuoverle. Oggi invece la crescita del settore della detenzione è enorme in tutto il mondo sviluppato: penso ai campi di confinamento in Grecia, ai centri di pre-espulsione nel Regno Unito e a quello che succede negli Stati Uniti. Questa architettura della detenzione è un segno che le frontiere “seguono” le persone: si spendono cifre enormi per identificare chi non dovrebbe essere qui anche facendo ricorso alla sorveglianza digitale, alla condivisione dei dati. Per questo i confini riguardano tutti noi, i nostri vicini e i nostri colleghi. Non è un qualcosa di lontano e che interessa solo le persone in movimento che attraversano il mare.
Nel vostro saggio vengono citate istituzioni come la Banca mondiale o testate giornalistiche come l’Economist secondo cui la libertà di movimento delle persone incrementa l’efficienza e la produttività dei mercati. È davvero così?
LDN La destra afferma che la libera circolazione dei lavoratori, della forza lavoro priva di diritti, renderebbe i mercati del lavoro più produttivi a livello globale. Quello che per noi è importante ricordare è che le persone non sono mai riducibili esclusivamente alla loro forza lavoro.
A suo avviso c’è spazio nella politica europea o dei singoli Stati per prendere in considerazione la vostra proposta?
LDN Anche se in questo momento l’idea dell’abolizione totale delle frontiere non è sostenibile politicamente penso che l’obiettivo del nostro libro sia quello di dare una spinta a chi si trova all’interno delle istituzioni e di orientarla verso un certo percorso. Guardiamo a quello che ha fatto la destra negli ultimi anni: attraverso un uso tattico dei messaggi di propaganda e della paura portato molti partiti al punto in cui delle pratiche molto estreme sono diventate la norma. All’interno del Partito laburista, durante la dirigenza di Jeremy Corbyn, c’era un gruppo che ha cercato di definire una posizione più radicale su temi come economia, clima e migrazione. Ma una delle argomentazioni del libro è che se ci concentriamo troppo sugli appuntamenti elettorali probabilmente non riusciremo a costruire alcune delle idee e delle istituzioni che potrebbero cambiare davvero nel momento in cui le condizioni dovessero maturare. Di conseguenza, se non c’è un partito politico su cui esercitare pressioni dovremmo pensare a un lavoro diverso: penso ad attività di mutuo soccorso o a campagne di sensibilizzazione. Penso sia necessario costruire nuovi modelli di affiliazione a lungo termine, in modo tale da essere pronti quando ci saranno maggiori opportunità nel mainstream.
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