Finanza / Opinioni
Chi dice la verità tra Moody’s e la Caritas
Mentre l’agenzia di rating promuove il debito italiano attraverso un giudizio mediocre e in conflitto di interessi, salutato con entusiasmo dal governo, la Caritas mostra le condizioni reali del Paese: oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione. La politica fa finta di non accorgersi. L’analisi di Remo Valsecchi
Moody’s, così come Standard and Poor’s, DBRS Morningstar, e Fitch Ratings, ha “promosso” l’Italia pochi giorni fa confermando il rating BAA3, che giudica il nostro debito soggetto a un moderato rischio di rimborso e muta da negative a stabili le previsioni e prospettive (outlook) del Paese. Ovviamente i criteri di valutazione sono funzionali solo alla logica finanziaria e ignorano completamente la questione sociale, che alla finanza non interessa affatto.
Il Governo Meloni temeva un giudizio più severo e ha tirato un sospiro di sollievo, con molta enfasi e soddisfazione. “L’esecutivo sta lavorando bene e questo -dicono- ne è un riconoscimento”. In realtà è un giudizio mediocre dovuto solo alla grande redditività delle banche, frutto dell’aumento degli interessi sui mutui e alla cancellazione della tassazione sugli extra-profitti bancari.
Il mondo finanziario, di cui le società di rating sono un’espressione, non poteva certo mettere in cattiva luce un governo tanto generoso con la finanza. Queste società non sono affidabili e sono in costante conflitto di interessi, essendo sponsorizzate dalle stesse società che vengono analizzate e i giudizi sono condizionati. L’ha dichiarato anche Mario Draghi nel gennaio 2011 alla Procura della Repubblica di Trani che stava indagando sui report di Moody’s e Standard and Poor’s, ed è probabile che gli investitori istituzionali -banche, assicurazioni e fondi- abbiano la stessa opinione di Draghi, visto quanto hanno perso con la Lehman Brothers o la Silicon Valley Bank.
L’Italia, da decenni, chiude il bilancio con un disavanzo primario, differenza negativa tra entrate e uscite correnti al netto degli interessi dei titoli di Stato, e il nuovo debito è destinato al rimborso di quello in scadenza e non agli investimenti. Chissà come hanno potuto ritenere accettabile la capacità di rimborso nonostante il debito pubblico sia in costante e continua ascesa, pur in assenza di investimenti significativi.
Il giudizio delle società di rating è espresso con riferimento al bilancio di previsione, quello appunto in discussione in queste settimane, che ha un’attendibilità a dir poco limitata. Per questo preferisco analizzare il consuntivo, cioè quello che rappresenta quanto avvenuto nell’anno precedente e non le ipotesi dell’anno successivo. Faccio un esempio di scarsa attendibilità del bilancio di previsione: in quello relativo all’anno 2022 erano state inserite entrate per 10,5 miliardi di euro dalla tassazione degli extra-profitti del settore energetico. Dopo la riscossione di 2,6 miliardi, il residuo delle entrate previste è scomparso e sono rimasti 112 milioni di euro, con il rischio di dover rimborsare tutto quanto riscosso.
A smentire le società di rating e il governo, proprio negli stessi giorni della comunicazione di Moody’s, ci ha pensato la Caritas, secondo la quale in Italia si contano oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione. Significa che un residente su dieci oggi non ha accesso a un livello di vita dignitoso e che il lavoro non è più causa sufficiente di benessere: il 47% dei nuclei in povertà assoluta risulta avere il capofamiglia occupato. La Caritas sottolinea che la presenza di oltre 2,1 milioni di famiglie povere è una sconfitta non solo per chi ne è direttamente coinvolto ma anche per l’intera società, data la perdita di capitale umano, sociale, relazionale che produce gravi e visibili impatti anche sul piano dei diritti.
Come è possibile dunque che due valutazioni di sistema siano tanto diverse e contrastanti? Quella della Caritas, infatti, denuncia il grave disagio sociale e conferma il fallimento della politica economica degli ultimi decenni. È la conferma che l’economia, ormai assurta a guida della politica, sostituendola, non è una scienza ma solo un tecnicismo utilizzato per l’obiettivo che si vuole perseguire. Quella della finanza, del neoliberismo e delle società di rating ha l’unico obiettivo di creare una concentrazione della ricchezza, quella solo finanziaria, che sta distruggendo l’economia reale, ossia il sistema delle imprese che produce la ricchezza reale e crea occupazione, e i mercati reali dove la concorrenza diventa il vero strumento di regolazione dei prezzi.
Quale soluzione? Una riforma radicale del sistema, un ritorno al passato, che tolga dal mercato la finanza limitando la sua funzione a essere lo strumento di collegamento dei risparmi con gli investimenti. L’obiettivo deve però diventare quello di un welfare in grado di conciliare l’iniziativa economica privata con la questione sociale. Ossia realizzare il principio fissato dall’Articolo 41 della Costituzione.
Remo Valsecchi, già commercialista, è autore del nostro dossier “Carissimo gas”
© riproduzione riservata