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Carlo III e il Regno Unito dei paradisi fiscali: la lettera aperta di Tax justice network
In vista della sua incoronazione, la rete indipendente che da vent’anni si occupa di equità fiscale ha scritto una lettera a Carlo III invitandolo ad affrontare seriamente lo scandaloso regime fiscale agevolato del Regno Unito e dei territori satellite a beneficio di multinazionali e potenti. “Una delle ingiustizie più durature del mondo”
In vista della sua incoronazione ufficiale, la rete indipendente Tax justice network -che da vent’anni si occupa di equità fiscale- ha scritto una lettera aperta-appello a Carlo III invitandolo ad affrontare seriamente lo scandaloso regime fiscale agevolato del Regno Unito e dei territori satellite. “Le ‘regole’ finanziarie delle giurisdizioni di Sua Maestà rappresentano la più grande minaccia nonviolenta al mondo per i diritti umani”, scrive il direttore esecutivo, Alex Cobham. Ecco la traduzione in italiano dell’appello. A cura di Andrea Siccardo
Sir, noi di Tax justice network ( Tjn) crediamo che i nostri sistemi fiscali e finanziari siano gli strumenti più potenti per creare una società giusta che dia uguale peso ai bisogni di tutti. Quest’anno, mentre celebriamo il nostro ventesimo anniversario, notiamo il cambiamento di epoca che si riflette nell’incoronazione di Sua Maestà. Ci auguriamo che questo possa segnare un momento cruciale per affrontare i gravi costi umani e finanziari patiti dai comuni cittadini britannici, del Commonwealth e di tutto il mondo, a causa del Regno Unito e della sua rete di paradisi fiscali su cui Sua Maestà è sovrano.
Saluto le dichiarazioni di Sua Maestà ai Paesi del Commonwealth lo scorso anno, secondo cui “dobbiamo trovare nuovi modi per riconoscere il nostro passato” e accolgo con favore il desiderio espresso di approfondire la comprensione di Sua Maestà stessa dell’impatto duraturo della schiavitù e di altri aspetti della violenza e dello sfruttamento coloniale.
Molti degli attuali “paradisi fiscali satellite” britannici (le Isole Vergini Britanniche, le Cayman, Bermuda, Jersey e Guernsey, ndr) sono infatti un’eredità irrisolta di quel periodo, essendo stati agevolati nello sviluppo come centri finanziari e di segretezza quando l’Impero britannico ha iniziato a trasformarsi nel XX secolo. Questi paradisi fiscali continuano a penalizzare i loro stessi abitanti, nonché alcune delle popolazioni più povere a livello globale e, naturalmente, i cittadini del Regno Unito.
Crediamo che Sua Maestà possa contribuire indicando la strada per porre fine a una delle ingiustizie più durature del mondo. Il Regno Unito, le dipendenze della Corona e i Territori britannici d’Oltremare sono collettivamente responsabili di favorire quasi il 40% delle perdite di gettito fiscale che i Paesi di tutto il mondo subiscono ogni anno a causa del trasferimento dei profitti da parte delle multinazionali e dell’evasione off-shore per mezzo di individui ricchi e potenti. Questo fa del Regno Unito e della sua rete di paradisi fiscali satellite il più grande artefice dell’abuso fiscale globale. Secondo le nostre ultime stime contenute nel rapporto State of tax justice, la somma di questa perdita imposta al mondo dagli Stati a tassazione agevolata britannici ammonta a oltre 189 miliardi di dollari all’anno, pari a più di tre volte il budget per gli aiuti umanitari richiesto dalle Nazioni Unite per il 2023.
Anche il Regno Unito soffre del “gioco a perdere” dei paradisi fiscali. Secondo le nostre stime, lo stesso Regno Unito perde ogni anno almeno 52 miliardi di dollari a causa dell’abuso fiscale globale, il che equivale alla sottrazione del salario annuo di oltre un milione di infermieri del Servizio sanitario nazionale a causa di multinazionali e individui facoltosi che non pagano le tasse nel Paese.
La ricerca dimostra che sono le maggiori multinazionali e le famiglie più ricche a essere responsabili della quasi totalità dell’abuso fiscale. Il risultato non è solo la sottrazione di fondi a servizi pubblici fondamentali, ma anche quello di indebolire le piccole imprese locali, costringendole a competere in condizioni di disparità con rivali più grandi che oltretutto godono di una tassazione ingiustamente favorevole.
Questi abusi rendono il sistema fiscale molto meno progressivo di quanto le norme legislative imporrebbero. Il risultato è che la società è segnata da disuguaglianze profonde e sovrapposte, soprattutto per le donne, le minoranze etniche e le persone con disabilità.
L’abuso fiscale globale è stato giustamente descritto dall’ex primo ministro del Niger Ibrahim Mayaki e dall’ex presidente della Lituania Dalia Grybauskaitė, nell’introduzione al rapporto del Gruppo di alto livello delle Nazioni Unite sulla responsabilità finanziaria internazionale, la trasparenza e l’integrità, come un “doppio furto”: sottrae miliardi di fondi pubblici e così facendo priva miliardi di persone di un futuro migliore.
Questo è particolarmente vero per i Paesi a basso reddito, che sono i più colpiti dall’abuso fiscale globale. Sebbene gli Stati con un reddito elevato perdano una quantità maggiore in termini monetari, queste rappresentano una quota minore delle loro entrate -si stima che rappresentino il 9,7% dei loro bilanci collettivi per la salute pubblica. I Paesi a basso reddito, in confronto, subiscono un danno minore in termini monetari, ma le loro perdite equivalgono a quasi la metà (48%) dei loro bilanci collettivi per la salute pubblica.
Molti Paesi a basso reddito che sopportano il peso maggiore della rete di paradisi fiscali britannici -quello che è stato definito “il secondo impero della Gran Bretagna”- stanno già facendo i conti con le eredità economiche e ambientali dell’impero coloniale britannico.
Negli ultimi anni è cresciuto il consenso sul fatto che l’abuso fiscale globale priva gli Stati delle risorse necessarie per adempiere ai loro obblighi in materia di diritti umani. Il contrasto dell’evasione e dei flussi finanziari illeciti è definito come uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite per il 2030. All’inizio di quest’anno, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha invitato l’Irlanda a “garantire che le politiche fiscali non contribuiscano all’abuso da parte di società registrate nello Stato ma operanti in altri Paesi, con un impatto negativo sulla disponibilità di risorse per la realizzazione dei diritti dei bambini in quei Paesi”.
Non mi dà alcun piacere il sottolineare a Sua Maestà, in quanto Capo di Stato e Sovrano delle dipendenze della Corona e dei Territori d’Oltremare, che le Isole Vergini Britanniche, le Cayman, Bermuda e Jersey si collocano tutte al di sopra dell’Irlanda nel Corporate tax haven index 2021, la nostra classifica delle giurisdizioni più favorevoli nell’aiutare le multinazionali a non pagare le imposte. L’Irlanda occupa l’11esimo posto ed è immediatamente seguita dalle Bahamas al 12esimo e dal Regno Unito al 13esimo. Purtroppo, si può dire che le “regole” finanziarie delle giurisdizioni di Sua Maestà rappresentino la più grande minaccia nonviolenta al mondo per i diritti umani.
Secondo una ricerca dell’Università di St. Andrews e dell’Università di Leicester, se le perdite fiscali globali causate dal Regno Unito, dalle dipendenze della Corona e dai territori britannici d’Oltremare venissero risolte, 6,4 milioni di persone nei Paesi a basso reddito otterrebbero accesso all’acqua potabile, 12,6 milioni ai servizi igienici di base e 1,2 milioni di bambini potrebbero frequentare la scuola per un anno in più. Questi effetti positivi avrebbero a loro volta un impatto a catena sulla riduzione della mortalità infantile, salvando la vita di oltre 220mila bambini sotto i cinque anni nel prossimo decennio.
Nel 2013, il fondatore di Tax justice network ed ex consigliere economico degli Stati del Jersey, John Christensen, ha scritto una lettera alla Regina Elisabetta II, descrivendo in dettaglio come il Regno Unito e le sue giurisdizioni si siano classificate ai primi posti nell’edizione 2013 del Financial secrecy index. L’indice è una classifica dei Paesi in base alla loro complicità nell’aiutare gli individui a nascondere le proprie finanze allo stato di diritto. Da allora, il Regno Unito ha solo peggiorato la sua posizione, passando dal 21esimo posto del 2013 al 13esimo del 2022. Mentre le successive edizioni del nostro Financial secrecy index mostrano che, se il mondo sta affrontando con successo il problema, il Regno Unito si distingue come uno dei pochi Paesi che sta aumentando drasticamente la propria offerta di segretezza finanziaria.
Nel 2015 e nel 2016, il governo ha dimostrato una vera leadership in questo campo, diventando la prima nazione a adottare un registro pubblico della proprietà effettiva e la prima a integrare il potere legale di richiedere alle multinazionali di pubblicare i loro “Country by country report”. Tax justice network è stato tra i primi a battersi per queste misure già nel 2003. Riteniamo che queste riforme siano tra i più potenti strumenti di trasparenza a disposizione dei governi per dissipare il segreto finanziario che consente l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro e la corruzione, e per smascherare il trasferimento dei profitti che consente gli abusi fiscali delle imprese. L’allora cancelliere dello Scacchiere (il ministro inglese dell’Economia, ndr) George Osborne ha incoraggiato l’Unione europea e i membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) a seguire l’esempio del Regno Unito in materia di trasparenza.
Purtroppo, il governo di Sua Maestà si è ritirato da questi progressi. La scadenza per l’istituzione di registri pubblici della proprietà effettiva da parte delle Dipendenze della Corona e dei Territori d’Oltremare è stata posticipata e le recenti dichiarazioni dei funzionari lasciano intendere che le giurisdizioni potrebbero non istituire mai tali registri. Jersey ha addirittura introdotto quest’anno una nuova forma di registro anonimo dei veicoli societari.
L’aspetto più dannoso è che il Tesoro di Sua Maestà ha rinnegato pubblicamente nel 2020, sotto l’allora cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, l’impegno a richiedere una rendicontazione pubblica “Paese per Paese” (Country by country reporting). Ad oggi, il governo di Sua Maestà non ha mai esercitato il potere legale di cui continua a godere ai sensi del Finance Act 2016 per richiedere alle multinazionali di rendere pubbliche le loro relazioni in modo dettagliato. Con i nostri alleati di Tax Justice UK, abbiamo stimato che l’esercizio di questo potere legale può far recuperare al governo di Sua Maestà almeno 2,5 miliardi di sterline di imposte societarie all’anno, che altrimenti andrebbero perse nei paradisi fiscali. L’Ue e l’Australia si stanno muovendo per aumentare la trasparenza in questo settore, mentre il Regno Unito rimane risolutamente opaco.
L’effetto complessivo è che la rete di paradisi fiscali del Regno Unito, di cui Sua Maestà è sovrana, continua a facilitare l’abuso fiscale transfrontaliero e altri flussi finanziari illeciti a spese del mondo. Invece di iniziare a pagare le riparazioni per la violenza, la schiavitù e lo sfruttamento causati dall’impero britannico, il “secondo impero” del Regno Unito sta continuando ad aumentare i debiti che abbiamo.
La cui entità è quasi certamente impagabile. Come minimo, però, è arrivato il momento di fermare le lancette. Ciò significa invertire le politiche che sostengono la segretezza finanziaria e il trasferimento dei profitti, e che mantengono il “secondo impero” del Regno Unito come l’attore più dannoso a livello globale.
Inoltre, il Regno Unito ha una responsabilità nei confronti delle giurisdizioni che compongono la sua rete di paradisi fiscali -molte delle quali sono state incoraggiate a intraprendere questa strada fin dagli anni Cinquanta da funzionari e politici britannici, sulla base del fatto che ciò avrebbe ridotto la necessità di aiuti ufficiali e generato flussi finanziari a sostegno della City di Londra. I principali economisti e attivisti di tutto il mondo che si sono riuniti in occasione della conferenza che abbiamo ospitato l’anno scorso sul tema “Il ruolo del Regno Unito nella fiscalità come strumento di giustizia razziale” hanno sottolineato l’importanza che il Paese impegni ora fondi significativi per soddisfare la legittima richiesta di risarcimento e per sostenere il perseguimento di modelli economici alternativi e meno dannosi.
Porre fine al nostro ruolo nell’abuso fiscale sarebbe vantaggioso anche per i cittadini del Regno Unito. Nel messaggio di Natale dello scorso anno, Sua Maestà ha parlato di “grande ansia e difficoltà” per coloro che lottano per “pagare le bollette e portare cibo e riscaldamento alle loro famiglie”. In questo contesto di difficoltà economiche è difficile capire perché il Tesoro di Sua Maestà lasci sul tavolo l’opzione di recuperare 2,5 miliardi di sterline di tasse dalle aziende e scelga invece di chiedere a milioni di persone che lavorano duramente di pagare più tasse sui loro redditi.
Il Tesoro di Sua Maestà continua, inoltre, a sotto-finanziare le misure di applicazione delle tasse, anche se i dati dimostrano che ogni sterlina spesa in questo senso ne porterà altre otto di entrate, semplicemente migliorando il rispetto delle norme da parte dei contribuenti più abbienti che attualmente godono di impunità. È una triste prova del trionfo dell’ideologia sull’evidenza il fatto che il Regno Unito perde nove volte di più per le frodi fiscali che per le frodi previdenziali, ma dedichi più del triplo del personale alla lotta contro queste ultime. Una ricerca di TaxWatch UK mostra anche che il Paese persegue un numero di procedimenti penali per frode previdenziale 23 volte superiore a quello per frode fiscale.
A livello internazionale, il Regno Unito sta ostacolando la marcia del progresso. Nel novembre dello scorso anno, in un momento storico, i Paesi del mondo hanno adottato all’unanimità una risoluzione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per avviare i negoziati sull’istituzione di un nuovo ruolo dell’Onu per il monitoraggio e la definizione delle norme fiscali globali. Questi negoziati hanno il potenziale per inaugurare una nuova era di giustizia economica, in cui per la prima volta nella storia le nostre regole fiscali globali saranno discusse e decise in un forum democratico e aperto presso l’Onu.
Negli ultimi sessant’anni, le regole fiscali globali sono state stabilite da un piccolo club di Paesi ricchi dell’Ocse, molti dei quali, come la Svizzera e il Regno Unito, sono i maggiori facilitatori dell’abuso fiscale globale. Il tentativo ormai decennale dell’Ocse di riformare l’abuso fiscale globale è fallito.
Per la maggior parte del mondo, il trasferimento all’Onu delle regole sulla tassazione globale offrirà l’opportunità di avere piena sovranità sui propri diritti fiscali per la prima volta dalla loro indipendenza. Anche per i cittadini dei Paesi membri dell’Ocse, compreso il Regno Unito, la mossa ristabilirà lo spazio per una tassazione veramente equa, fornendo trasparenza e responsabilità pubblica sui loro diritti fiscali, che i loro governi hanno spesso trattato a porte chiuse presso l’Ocse, dove le lobby aziendali e i paradisi fiscali hanno esercitato a lungo un’influenza eccessiva.
È preoccupante che il governo di Sua Maestà abbia già tentato di ostacolare questi negoziati e di impedire il passaggio alle Nazioni Unite. Il Regno Unito, l’Ocse e altri Paesi ricchi hanno esercitato una pressione diplomatica senza precedenti lo scorso anno per impedire che la risoluzione venisse votata. Il Regno Unito ha espresso la sua opposizione ai negoziati all’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso anno e si prevede che farà leva sul suo peso per bloccare il successo dei negoziati.
La nostra speranza è che questi negoziati vadano a buon fine e portino a una convenzione fiscale dell’Onu che fornisca le soluzioni politiche da tempo richieste dai principali economisti, attivisti e comunità per porre veramente fine all’abuso fiscale globale. Tutto ciò per porre fine al doppio furto di mezzi di sussistenza e di futuro che le multinazionali e i ricchi individui hanno imposto al mondo, e lo hanno fatto in gran parte sfruttando le leggi e i sistemi finanziari delle nazioni e dei territori su cui Sua Maestà regna.
Questi negoziati segnano un bivio nella storia per le persone di tutto il mondo, per il nostro Pianeta e per le generazioni future. In momenti come questo della storia, le persone hanno guardato alla Famiglia Reale come guida, esempio e speranza. Esorto Sua Maestà a far sentire la sua voce in questa discussione globale che riecheggerà nella storia.
Infine, desidero lodare l’esempio che Sua Maestà ha dato impegnandosi a pagare volontariamente l’imposta sul reddito, come fece la Regina Elisabetta II; e ricordare, nell’ambito dell’attività caritatevole di Sua Maestà, il Prince’s responsible business network business in the community per il suo ruolo nel promuovere pratiche commerciali responsabili, l’uguaglianza sul posto di lavoro, l’equità dei congedi parentali e una giusta transizione climatica.
In questo senso, Sua Maestà potrebbe essere interessata al lavoro della Fair tax foundation, un’organizzazione britannica all’avanguardia che gestisce il Fair tax mark, un sistema di accreditamento solido e indipendente per le imprese che viene spesso definito “lo standard di riferimento per una condotta fiscale responsabile”. Il Fair tax mark ha avuto un enorme successo nell’ispirare le imprese e le iniziative britanniche a esercitare e a essere orgogliose di pagare la giusta quota di tasse, al momento giusto e nel posto giusto.
Tra i membri accreditati del Fair tax mark figurano ora alcuni dei maggiori datori di lavoro del Regno Unito, come Co-operative Group, Richer sounds, Timpson group, Scottish water e Dŵr cymru/Welsh water, nonché le aziende FTSE 250 SSE, Pennon group PLC, MJ Gleeson e The Watches of Switzerland group.
Il Fair tax mark è diventato di recente un accreditamento disponibile a livello internazionale, portando questo “segno” britannico di onore e ingegnosità in tutto il mondo. Anche le multinazionali tedesche, italiane e danesi hanno ora ottenuto il riconoscimento.
L’elusione fiscale delle imprese è in cima alla lista delle preoccupazioni dell’opinione pubblica britannica nel 2022 per il decimo anno consecutivo, secondo un sondaggio dell’Institute for business ethics. Alla domanda su quali siano le questioni che più necessitano di essere affrontate nella loro visione della responsabilità aziendale, l’opinione pubblica britannica ha messo l’evasione fiscale al di sopra della corruzione e delle tangenti, e al di sopra della responsabilità ambientale e dello sfruttamento dei lavoratori. In un sondaggio condotto dalla Fair tax foundation nello stesso anno, tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che preferirebbero fare acquisti o lavorare per aziende che possono dimostrare di pagare la loro giusta quota di tasse.
Dato il lavoro stimolante del Fair tax mark e il sostegno schiacciante dell’opinione pubblica britannica per la condotta fiscale che il marchio promuove, desidero invitare Sua Maestà a considerare ancora una volta di dare un altro lodevole esempio incoraggiando le imprese di Sua Maestà a richiedere l’accreditamento del Fair tax mark.
Le tasse sono il nostro “super potere sociale”. Invece di vivere vite brevi, dure e solitarie, le tasse ci permettono di organizzarci per creare il potenziale di uno Stato con la capacità e la responsabilità di sostenere il progresso per tutti noi.
Il contratto sociale è a rischio quando le disuguaglianze si sovrappongono, quando le origini di molte ricchezze sono in discussione e quando la conformità fiscale delle famiglie a più alto reddito è chiaramente scarsa. La piena trasparenza finanziaria e fiscale della monarchia offre a Sua Maestà la possibilità di dare un forte impulso al bene comune.
Con i migliori auguri, Alex Cobham, Direttore esecutivo di Tax justice network
Alex Cobham è economista e direttore esecutivo della rete Tax justice network. Il suo lavoro si concentra sui flussi finanziari illeciti, sulla tassazione efficace per lo sviluppo e sulle disuguaglianze. È stato ricercatore presso l’Università di Oxford, Christian Aid, Save the children e il Center for global development e ha svolto numerose consulenze, tra cui quelle per l’Unctad, la Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite, Dfid e la Banca Mondiale
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